Westfaelischer Friede in Muenster (Gerard Terborch 1648)
L’ordine mondiale (2)
di Mauro Lanzi
L’Ordine Vestfaliano
- La Guerra dei Trent’anni e le origini del sistema vestfaliano
La riforma protestante aveva distrutto le basi di un ordine mondiale retto da “due spade”, l’impero ed il papato, l’impero medievale, fondato sull’universalità di religione e potere politico, con la frattura religiosa, era destinato a venir meno; il precario equilibrio cercato ad Augusta fra stati tedeschi ed impero, non resse molto e dopo pochi decenni la contesa esplose nella più feroce e devastante guerra di religione mai vista, non solo in Europa, ma nel mondo intero, la cosiddetta Guerra dei Trent’Anni (1618 – 1648). Stragi e devastazioni furono inaudite, un terzo della popolazione del centro Europa perì nel conflitto, ma più importanti ancora furono gli aspetti politici che emersero da questa vicenda.
La scintilla che innescò l’esplosione si accese in Boemia, il cui re, un Asburgo, era anche imperatore del Sacro Romano Impero; quando nel 1617 l’imperatore Mattia, privo di eredi, designò a succedergli il cugino, l’ultracattolico Ferdinando di Stiria, la situazione precipitò; gli editti dell’imperatore (Editti di restituzione) furono il motivo della “Defenestrazione di Praga”, quando i messi imperiali furono gettati dalle finestre del castello, e quindi l’origine della rivolta dei protestanti boemi; gli insorti arrivarono ad insediare sul trono un principe luterano, Federico V del Palatinato, ponendo le basi di un’inedita prospettiva, un Imperatore non cattolico sul trono del Sacro Romano Impero; e questa fu la prima novità di rilievo. La reazione della Lega cattolica non si fece attendere, la rivolta boema fu soffocata nel sangue e Federico V, Re di un inverno, fu costretto alla fuga; l’incendio però era acceso e richiamava nuovi attori. Si fanno avanti per primi gli svedesi guidati da un giovane e geniale sovrano, Gustavo Adolfo, che scende in campo a fianco dei luterani, per la prima volta entra nelle vicende dell’Impero uno stato esterno all’impero. Dopo la sua morte in battaglia, il testimone è raccolto dalla Francia e questo è il vero fatto nuovo, il più eclatante di tutto il conflitto; un regno cattolico, guidato per di più da un cardinale di Santa Romana Chiesa, il cardinal Richelieu, si schiera a fianco della coalizione protestante; alle indignate rimostranze di chi gli ricordava i suoi doveri di obbedienza alla universale ed eterna Chiesa cattolica, Richelieu rispondeva : “L’anima è immortale, la sua salvezza è nell’aldilà, lo stato non ha immortalità, la sua salvezza è su questa terra”. Richelieu doveva aver ben studiato Machiavelli, con lui la separazione tra morale individuale e morale politica diviene un fatto asseverato.
La firma della pace di Vestfalia (più propriamente dei trattati di Munster e Osnabrück), che nel 1648 conclude il conflitto, porta il marchio di queste novità ed apre la porta ad un mondo nuovo.
Vestfalia non fu una delle tante paci con cui si chiudevano le guerre di quei tempi, Vestfalia ebbe un’importanza diversa, gettò le basi di un nuovo ordine globale, creò il terzo macro-scenario di cui dobbiamo occuparci. La guerra aveva annientato le pretese di universalità e solidarietà confessionale, e questo proprio a seguito dell’intervento della Francia a fianco delle forze protestanti. I partecipanti ai negoziati dovettero necessariamente accettare questa premessa ed accedere ad accordi di compromesso, ma, inavvertitamente, senza che nessuno lo volesse o lo dichiarasse apertamente, gettarono anche le basi di norme ed istituti di valenza mondiale; con il trattato di Vestfalia si sancirono in particolare i seguenti principi:
- Tutti gli stati sovrani hanno diritto ad una propria identità politica, a tutti, piccoli o grandi, doveva essere riconosciuta la stessa dignità di nazione.
- Gli stati sovrani, e non l’impero, sono i mattoni fondanti dell’ordine europeo.
- Ogni stato firmatario ha diritto di scegliere la propria struttura interna ed il proprio orientamento religioso, senza interventi esterni.
- In ognuno degli stati firmatari viene riconosciuto alle sette minoritarie il diritto di praticare il proprio credo, al riparo da conversioni forzate.
Queste semplici proposizioni implicavano in realtà ben altro, cioè la distruzione di un sistema, in cui un solo centro di potere era stato, fino allora, pienamente legittimo. La concezione vestfaliana assumeva la molteplicità come punto di partenza, esprimeva il tentativo di istituzionalizzare un ordine internazionale non basato sul predominio di una sola entità o di un solo paese ma su di un equilibrio multilaterale tra diverse potenze. Il “sovranismo” che di recente abbiamo visto riemergere nelle dottrine di alcuni partiti ha queste origini.
Quindi l’assetto vestfaliano si differenzia dalla molteplicità caotica vista in periodi precedenti, perché cerca di stabilire delle regole basate sull’equilibrio di potere tra le nazioni, pur senza stabilire una politica comune o una configurazione fissa di alleanze.
Il più grande e significativo vantaggio lo ebbe la Francia, che si era liberata di colpo del suo più pericoloso antagonista, la Germania unita: ma, quando, a sua volta, la Francia di Luigi XIV tentò di sovvertire l’ordine europeo per imporre la sua egemonia, il sistema vestfaliano reagì, sotto la guida della Gran Bretagna, ed alla fine il potente re di Francia fu costretto a rinunziare ai suoi intenti (pace di Utrecht, 1713). Si evidenziò proprio in questa circostanza la necessità, per un sistema multipolare, dell’esistenza di un ente regolatore, di un custode degli equilibri, possibilmente super partes; in questo ruolo si affermò e si confermerà in futuro la Gran Bretagna, che, forte del suo dominio sui mari, non avendo ambizioni territoriali sul continente ( quindi super partes), era nelle condizioni ideali per scegliere i tempi e la portata del suo impegno, equilibrando le fazioni in campo, in modo da evitare l’egemonia di una nazione sul continente.
2. Ascesa e apogeo dell’ordine vestfaliano
L’assetto multipolare affermatosi in Europa aveva generato anche un altro cambiamento strutturale di fondamentale importanza negli stati vestfaliani, aveva riportato all’interno di ogni stato la sua ragione d’essere, gli obiettivi per cui meritava impegnarsi o combattere; questo fu il fattore alla base dello sviluppo dell’Europa negli anni a seguire.
Emersero energie nuove; lo sviluppo della potenza degli stati europei nei secoli XVII e XVIII fu trainato dall’imporsi di una nuova classe, la borghesia mercantile e capitalista, a scapito della nobiltà feudale, tipica espressione dell’età medievale; a questa classe emergente le autorità di governo affidarono la ricostruzione in tempi brevi dell’economia distrutta o compromessa dalla guerra; lo stretto legame di questa nuova borghesia con la politica è il fatto nuovo di questo periodo, ad essa venivano concesse misure protezionistiche per promuovere la nascita e l’incremento di attività industriali e commerciali e pure l’aperto appoggio per intraprendere nuove imprese coloniali.
Il colonialismo aveva vissuto una prima fase di affermazione subito dopo le scoperte di Colombo, fase che aveva visto come protagonisti i regni ed i governi, portoghese e spagnolo, che si erano impegnati in prima persona nella organizzazione e nella gestione dei territori occupati dai “Conquistadores”. Ora tutto cambia, le imprese coloniali di Inghilterra, Olanda e anche Francia sono espressione dell’iniziativa privata, che impegna risorse, uomini e capitali propri in questi progetti; la East Indian Company inglese, la VOC olandese, tutte le compagnie inglesi piccole o grandi che danno vita agli insediamenti sulle coste del Nord America sono finanziate da società di capitale privato, che intendono gestire per proprio conto i traffici sviluppati ed i territori occupati. I governi nazionali si preoccupano di aiutarle, concedendo loro copertura legale, diritti di monopolio ed esenzioni daziarie, a volte anche aiuti militari, ma, almeno agli inizi non si propongono di sostituirsi ad esse. L’intraprendenza mercantile ed imprenditoriale, il gusto del rischio nati con queste imprese e nutriti in seno ad una nuova borghesia, strettamente legata al potere politico, furono la molla del travolgente sviluppo europeo in quei secoli. Se a questo si aggiunge la capacità di produrre innovazione in campo industriale, frutto di un pensiero libero da remore, vincoli o preconcetti religiosi, ecco che abbiamo davanti a noi tutti gli elementi che portarono, a metà settecento, alla prima Rivoluzione Industriale, per effetto della quale le nazioni occidentali furono proiettate in una dimensione economica, politica e culturale che si poneva ampiamente al di sopra di tutto il resto del mondo. Le energie liberate dall’assetto multipolare e dal sovranismo conseguenti alla pace di Vestfalia condussero progressivamente, ma irresistibilmente l’Europa ai vertici del mondo. Anche le guerre, che frequentemente insanguinavano l’Europa, non furono, in ultima analisi, di ostacolo a questa crescita, perché promossero la creazione e l’adozione di nuovi armamenti, sempre più potenti e micidiali, che costituirono la base della superiorità militare europea su tutti gli altri stati.
Premessa indispensabile però al perpetuarsi del sistema multipolare vestfaliano continuava ad essere, come agli inizi, l’equilibrio dei poteri in Europa. Questo equilibrio fu brevemente interrotto dalla Rivoluzione Francese, che si proponeva di esportare agli altri popoli gli ideali di libertà ed uguaglianza nati dall’illuminismo, violando così il principio di non ingerenza sancito a Vestfalia; le imprese napoleoniche su questi ideali fondarono un effimero impero. Poi il sistema reagì, Napoleone fu sconfitto, l’equilibrio europeo fu ricostruito. Grazie soprattutto al genio di Metternich, al Congresso di Vienna si arrivò persino a riportare nel sistema anche la nazione sconfitta, la Francia, responsabile di più di 15 anni di guerre! Addirittura il Congresso andò oltre il semplice principio di bilanciamento delle forze, cercò di fondare e rendere operante quello che fu detto il “Concerto Europeo”, cioè una serie di accordi per cui le principali potenze si impegnavano a cooperare per mantenere lo “status quo”, cioè gli assetti politici interni e l’equilibrio tra gli stati.
Grazie alla pace ed alla sicurezza ristabilite dai trattati di Vienna, le energie liberate dall’assetto multipolare e dal sovranismo conseguenti alla pace di Vestfalia portarono in questo secolo gli stati europei al culmine della loro parabola, grazie ad una superiorità incontrastata in campo industriale e militare, ad un dominio senza precedenti su uomini e risorse materiali, ad un controllo pressoché assoluto di commercio e finanza internazionali; l’Europa era il vero centro del mondo. Come spesso accade, dall’apogeo al collasso il passo fu breve; il successo del modello vestfaliano era basato, come detto più volte, sull’equilibrio tra i poteri nazionali, ma premessa indispensabile di questo equilibrio era una Germania divisa, l’obiettivo fortemente voluto da Richelieu e sancito dalla pace di Vestfalia. Dopo Vestfalia, iniziò un percorso di ricomposizione o di riaggregazione; dei 251 stati tedeschi, in origine, alla metà del XIX secolo sopravvivevano tre grandi regni (Prussia, Sassonia, Baviera), più una moltitudine di staterelli o municipalità indipendenti: la Germania, quindi, non metteva paura, non ancora. Il cambiamento radicale si ebbe il 18 Gennaio 1871, quando, dopo la vittoria sulla Francia di Napoleone III, nel salone degli specchi di Versailles, Bismarck proclamò la nascita del II Reich della Nazione Tedesca, che riuniva in un solo ambito tutti i regni ed i principati tedeschi. Il periodo vestfaliano si era concluso.
- La rottura degli equilibri e la fine dell’ordine vestfaliano
Riflettiamoci un attimo: quanto accaduto a Versailles era stupefacente: sotto lo sguardo attonito dell’Europa era nata una nuova, grande, minacciosa potenza; una nazione di 65 milioni di abitanti (contro i 35 della Francia), una nazione compatta per lingua, cultura, senso di appartenenza, che si estendeva dalle Alpi Bavaresi, all’Alsazia, al mare del Nord, al mar Baltico, sospinta da un impetuoso sviluppo economico, da una assoluta supremazia tecnica e industriale, e dotata di una forza militare ineguagliata in Europa e nel mondo.
L’equilibrio cercato a Vestfalia si era rotto, perché premessa e condizione essenziale per questo equilibrio era la divisione degli stati tedeschi. In questi giorni, per analizzare i motivi del conflitto in Ucraina, si rispolverano le cause delle guerre mondiali, in particolare la prima, citando revanscismo, irredentismo, nazionalismo e quant’altro: non date retta, la causa di conflitti così ampi e devastanti è sempre una ed una sola: la rottura degli equilibri. Ed è così anche oggi. Rotto l’equilibrio, la Germania era tornata ad essere la potenza dominante in Europa, tanto forte da poter sconfiggere ciascuno dei suoi nemici preso singolarmente, ma forse non tutti messi insieme. Quindi, lo sforzo tedesco negli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale fu orientato ad individuare la strategia che consentisse alla Germania di battere una forte alleanza di stati ostili; la soluzione fu trovata nel famoso piano Von Schlieffen, cioè la guerra preventiva, l’attacco alla Francia attraverso il Belgio neutrale. I piani per lo scontro erano quindi pronti; quando l’accerchiamento della Germania parve realizzarsi con l’alleanza tra Francia, Russia ed Inghilterra, bastò un incidente, tutto sommato banale per quei tempi, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, per far scattare gli automatismi che getteranno tutta l’Europa in una guerra da cui non si riprenderà mai più. La Prima Guerra Mondiale si concluse con il trattato di pace di Versailles, forse uno dei documenti più inadeguati che la storia ricordi; spinte dal generoso idealismo presidente americano, Woodrow Wilson, le potenze vincitrici cercarono di ricreare un ordine mondiale basato sui principi di legittimità ed autodeterminazione dei popoli, sostanzialmente una versione rivista e corretta dell’assetto Vestfaliano, che soddisfacesse le aspirazioni e le spinte identitarie delle tante etnie che popolavano l’Europa.
Dai negoziati venne fuori un assetto sbilenco; la pretesa di rendere giustizia a tutte le componenti etniche, aveva aperto il vaso di Pandora delle rivendicazioni delle minoranze, per soddisfarle si erano creati stati o troppo deboli o troppo eterogenei per stare in piedi (Cecoslovacchia, Jugoslavia), lasciando comunque ampie fasce di malcontento. Soprattutto non si riuscì, come era riuscito al Congresso di Vienna, a riportare nel concerto europeo la nazione ritenuta principale responsabile della guerra, la Germania; il trattato di Versailles, viceversa, fu, nei confronti della Germania, da un lato, troppo punitivo per consentire una riconciliazione, dall’altro, troppo debole per impedire il riarmo tedesco. Le esauste democrazie occidentali, poi, non seppero neppure vegliare sull’applicazione delle mediocri clausole del trattato, l’America si era persino rifiutata di approvarlo. Le due superstiti democrazie europee, Francia ed Inghilterra, si ritrassero, per malinteso amor di pace, davanti alla necessità di azioni drastiche per arrestare l’ascesa nazista; Hitler quindi ebbe buon gioco, in soli otto anni ricostruì la potenza industriale e militare tedesca e partì alla conquista dell’Europa.
L’Europa fu consumata da un’altra guerra globale, con esiti assai più devastanti della prima, l’ordine mondiale andava ricostruito su altre basi. Vedremo quali.