Agnolo Bronzino (Firenze, 1503 - 1572) - Lorenzo il Magnifico
Le grandi famiglie: I Medici - 9 - Ascesa e splendore di Casa Medici
di Mauro Lanzi
9. Lorenzo “il Magnifico” - Lorenzo e Giuliano
Lorenzo de’ Medici è senza dubbio il personaggio di maggior spicco del secondo quattrocento italiano, non solo per essere stato il cittadino più eminente di Firenze, ma anche e soprattutto il politico più lucido e lungimirante di tutta Italia in questo periodo.
Il titolo di “Magnifico”, che gli è universalmente riconosciuto, non è certo dovuto all’ostentazione nella vita privata, vestiva in forma assai sobria, mangiava in modo frugale, quanto alla saggezza ed all’equilibrio con cui seppe governare in tempi difficili una città turbolenta, potendo contare solo sulla sua personale intelligenza, nonché allo splendore che seppe dare a Firenze, che con lui si eleva a capitale artistica e culturale d’Italia e d’Europa e perno dell’equilibrio politico in Italia.
In Lorenzo la proverbiale intelligenza della famiglia Medici raggiunge il suo culmine: probabilmente nessun altro uomo dei suoi tempi ha dimostrato tanto talento negli aspetti più disparati: nella abilità e nel giudizio con cui conduceva gli affari di Stato, nella saggezza politica e nella rapidità delle decisioni, nell’ascendente che sapeva esercitare sugli uomini, nella profonda cultura classica, nella composizione poetica e letteraria, nel gusto artistico e nell’apprezzamento critico di tutte le branche dell’arte, fino alle conoscenze più pratiche come nel campo dell’agricoltura, o alla sensibilità che dimostrava per i bisogni del popolo.
Lorenzo succede al padre all’età di soli 20 anni, sei mesi dopo il suo matrimonio con Clarice Orsini (sopra), primo matrimonio non endogamo in casa Medici, cioè realizzato fuori della cerchia della nobiltà fiorentina. Lorenzo era in realtà innamorato di Lucrezia Donati (a lato), regina del torneo vinto da Lorenzo, quattro mesi prima del matrimonio; a lei Lorenzo aveva dedicato la sua sciarpa dopo la vittoria (su cui spiccava il motto “Le temp revient”), a lei scriveva infuocati sonetti d’amore, con lei si incontrava spesso, grazie ad un marito compiacente.
La ragion di stato però aveva avuto la meglio, la famiglia Orsini era assai potente, una alleanza poteva essere utile: così il matrimonio si era celebrato con grande sfarzo, ultima consolazione per Piero ormai vicino alla fine: l’unione tra Lorenzo e Clarice si dimostrerà solida, malgrado le ripetute infedeltà del marito, prima fra tutte il legame con Lucrezia che si protrarrà ben oltre le nozze.
I primi nove anni del governo di Lorenzo furono caratterizzati dalla stretta intesa con Giuliano.
Tra i due fratelli non si segnalarono mai contrasti, rancori o dissensi; insieme curavano gli affari di stato, insieme seppero dar vita ad un periodo di feste, d’arte, di poesia, di gioia di vivere, quale mai si era visto prima a Firenze. Si organizzavano cortei e spettacoli costosissimi, pieni di sapienza classica e di grande poesia, cui collaboravano i dotti più rinomati, da Marsilio Ficino, al Pulci, al Poliziano, sempre sotto la sapiente regia dei due fratelli.
Due occasioni occorre ricordare, innanzitutto la visita a Firenze del nuovo duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, accompagnato dalla moglie, Bona di Savoia, e da un seguito di oltre 500 persone, tra fanti, cavalieri, palafrenieri cortigiani ed altro, con il quale il Duca intendeva impressionare con una dimostrazione di opulenza e di forza i due giovani reggitori di Firenze.
Galeazzo era una delle figure più enigmatiche dei suoi tempi: accorto e sagace reggitore del suo regno, era roso da demoni che lo portavano a manifestarsi in eccessi di brutalità estrema; si raccontava che facesse irruzione nelle case dei nobili milanesi per violentare mogli e figlie o che si dilettasse nel far torturare i suoi oppositori, infliggendo lui stesso i tormenti. Morirà male.
In questa circostanza però, giunto con l’intenzione di sbalordire i fiorentini con l’ostentazione della sua opulenza, rimase conquistato da quanto vide intorno a sé, confessando di aver mai visto una tale raccolta di capolavori ed opere d’arte, quanti ne erano raccolti nel palazzo dei Medici. L’arte guadagnò a Firenze il rispetto di questo brutale signore e l’alleanza ne uscì rafforzata.
L’altra circostanza degna di menzione fu il cosiddetto “torneo di Giuliano” che nel 1475 attirò su Firenze l’attenzione ammirata di visitatori da tutta Italia per la sua magnificenza ed il suo splendore: il torneo si tenne in piazza Santa Croce, anche oggi una magnifica piazza, ma che allora vide gli spettacoli più splendidi di tutta Europa. Regina della giostra era ancora una volta Lucrezia Donati, mentre Regina di Bellezza era la giovanissima Simonetta Cattaneo, una fanciulla sedicenne, giunta da Genova, in sposa ad un Vespucci.
Questo magnifico torneo fu immortalato da poeti ed artisti; la poesia innanzitutto, Agnolo Ambrogini, detto il Poliziano dalla città di origine (Montepulciano, Mons Politianus) compone in omaggio a Giuliano la sua opera più famosa Stanze per la Giostra di Giuliano: più largamente conosciuto è il ricordo che ne ha lasciato la pittura con le opere forse più famose del Botticelli: La nascita di Venere, Marte e Venere e L’allegoria della Primavera.
Il Botticelli si ispira direttamente per la composizione di queste opere al testo del Poliziano: nella nascita di Venere, compare la Venere Anandiomene mentre scivola lieve sulle onde, i piedi poggiati su una conchiglia, sospinta dai venti di Zefiri alati verso la riva seminata di fiori, in mezzo ad una pioggia di rose. Una ninfa solitaria balza in avanti per offrirle un manto seminato di margherite.
L’opera che è forse il capolavoro del Botticelli, la Primavera, ci parla più direttamente di Lorenzo, del suo talento nell’organizzare la festa, della sua poesia che canta le gioie del maggio in Toscana, le bellezze della natura, la gioventù, primavera della vita.
“Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia,
chi vuol esser lieto sia di doman non v’è certezza”
Nel quadro, protetta da un gruppo di aranci dal vento impetuoso e dal sole, Venere presiede al ritorno della primavera; dinanzi a lei danzano le tre Grazie, Flora sparge a piene mani fiori variopinti, Mercurio (Giuliano) disperde le nuvole dell’inverno, un piccolo dio cieco, Amore, scocca le sue frecce.
In questo felice periodo, grazie ai due Medici, Firenze era divenuta realmente la capitale d’Italia e d’Europa, non solo per l’arte e la cultura, ma anche per quell’insieme indefinito di moda, “glamour”, bellezza, entusiasmo, che si ritroveranno, forse, solo nella Parigi della “Belle epoque”.
Avrete forse notato che il personaggio centrale nelle due opere è lo stesso, quella Simonetta Cattaneo, regina di bellezza, di cui era invaghito Giuliano, che morirà di lì a poco di tisi, quasi simbolo della caducità della bellezza e della gioia di vivere.
Fu sepolta, cosa inusuale a quei tempi, a viso scoperto.
“Morte bella parea sul suo bel viso”