Laurence Stephen Lowry (1887-1976) - Piccadilly Circus 1960
W l’Inghilterra
di Simonetta Greganti Law
Consiglio di Zia Marisa: “studia il francese a scuola perché la grammatica è complessa… tanto poi l’inglese lo impari facilmente” ma poi quando ho provato a farlo da sola con i corsi De Agostini comprati in edicola, tanto facile non mi è sembrato. “The pen is on the table” avrei dovuto ripetere ma la penna non l’ho mai trovata.
Al diploma zia Marisa interviene nuovamente: “devi andare a vivere per qualche mese a Londra” e siccome comanda lei, i miei mi catapultano in Inghilterra.
- Primo shock “London is very cold”. Passo dai 30 gradi d’agosto a Roma ai 7 di Londra.
- Secondo trauma “London is very gray” così da un cielo turchese passo a uno tipicamente definito “fumo di Londra” e questo solo per evitare aggettivi poco qualificativi.
- Terza botta “goodbye nice coffee” e passo dagli espresso alle sbobbe annacquate…forse annacquate dalle lacrime di chi cerca di berle.
- Ultima sconvolgente metamorfosi, abbandono l’uso della parola per quello limitato ai gesti. Noi italiani siamo comunque avvantaggiati in questa mimica, e così anch’io non ho avuto bisogno della voce per comunicare meglio di Marcel Marceau.
Però zia Marisa messa al corrente dei miei non-progressi insiste pure per telefono: “Devi farti degli amici, devi fare un po’ di conversazione”.
Obbedisco.
Vado al parco e, sorridendo a tutti, utilizzo l’unica parola che sapevo bene, anche se pronunciata con una R troppo sonora e una G finale ben marcata: “good moRninG, good moRninG, good moRninG”, ripetevo a tutti fingendo di essere felice.
Finalmente abbocca un pesce.
Un ragazzo si ferma e comincia a parlarmi.
“Cavoli ma che starà dicendo? E mo’ che gli rispondo?” Finalmente una domanda come nell’esercizio di pag. 22 “Where are you from?”
“Italy and you?”
“I’m Irish”.
Purtroppo senza dizionario alla mano, come prima stupida traduzione mentale mi viene solo: Ir…ah deve essere Iraniano e allora utilizzando le nozioni del primo capitolo di “English for beginners” azzardo una frase anch’io: “but you have blue eyes, blond hair, and not dark skin”. A questa ovvia osservazione il ragazzo si dilegua senza lasciarmi neppure il tempo di aggiungere “goodbye”. Ero nuovamente sola.
Avevo fame e mi bloccava la paura di ordinare un fazzoletto (handkerchief) al posto delle acciughe (anchovies). Non riuscivo a distinguere la differenza tra questi due vocaboli.
Anche se non avevo la parola, gli altri sensi: vista, udito e olfatto, mi si erano affinati come quelli d’un segugio. Tra la folla di Londra percepivo solo chi parlava in italiano e soprattutto annusavo l’odore di chi aveva dei panini. Adocchio una famigliola del sud Italia e come l’Orso Yogi penso solo alla conquista del loro cestino del pic nic. Non so l’inglese ma sono brava a contrattare e in cambio di pane e mortadella li ho accompagnati a visitare una Londra fuori da ogni guida turistica dato che m’inventavo tutto non conoscendola neanch’io.
Quando mi hanno chiesto dove potevano spedire le loro cartoline io gli ho indicato con sollievo un bidone appena adocchiato con scritto “LITTER”. Non sapevo ancora che significava immondizia. Ma anche loro: se non sai la lingua stattene a casa!
La fame e la mancanza dei cibi italiani mi avevano costretta ad abituarmi a quelli inglesi: bovril, marmite, orange squash - dovevo assaggiarli.
L’orange squash mi è sembrato una cosa promettente.
Avevo sete e decido che un’aranciata avrebbe accompagnato il pranzetto appena comprato.
Acquisto la bottiglia con sull’etichetta il disegno di una bella arancia rossa e me la porto a tavola.
Ne verso un bel bicchierone e tremo dal disgusto. È così piena di zuccheri che sudo saccarosio. Dopo un brivido di schifo decido che avrei dovuto abituarmi al gusto inglese e mi scolo tutto il bicchiere. Troppo dolce per dissetarmi. Mi rassegno a versarmene ancora e leggo sull’etichetta: “un misurino va diluito in 250ml di acqua fredda, agitare bene”.
Cavoli, era proprio sciroppo concentrato di glucosio. Per riparare al danno mi sono attaccata al rubinetto dell’acqua e ne ho bevuta fino ad affogare. Poi per agitare il tutto, come da istruzioni, ho iniziato a far capriole: sembravo felice invece ero disperata!
Il resto del pranzo consisteva in steak and kidney pie, speravo di rifarmi la bocca. Mi avevano assicurato che era una tortina di carne…senza specificare quale.
Avrei preferito non scoprire mai che kidney significava reni.
Così per sopravvivere senza avvelenarmi ho accelerato lo studio di tutti i vocaboli relativi al cibo. Anziché studiare in biblioteca mi sono specializzata al supermercato.
Dopo qualche mese ho finalmente conosciuto John e per la paura che mi scappasse dall’amo come il ragazzo irlandese, l’ho sposato.
Al nostro primo incontro non volevo svelargli i miei buchi neri sulla conoscenza dell’inglese perciò ho finto di ascoltare interessata tutti i suoi monologhi intellettuali. La mia concentrazione invece era tutta impegnata solo ed esclusivamente ad evitare agli occhi di incrociarsi per il forte sforzo mentale cercando di mantenere uno sguardo attento e vispo anziché da strabica.
Oggi, quando riparliamo del nostro primo incontro, mi confessa che l’ho fregato in pieno dato che per tutto il pomeriggio non si era accorto di stare a parlar da solo. Il dubbio però gli è sorto quando, invitandomi a cena, per ottenere la mia risposta aveva dovuto mimare “gnam gnam”. Solo allora ho annuito: “Ah gnam gnam, oh yes”.
Ancor oggi, dopo tanti anni di convivenza, il nostro linguaggio è molto onomatopeico però posso vantarmi di aver cresciuto una figlia che si è laureata ad Oxford…in linguaggio dei segni.