Teodoro Wolf Ferrari (Venezia, 1878 - Treviso, 1945) - Primo manifesto Olivetti (1912)
Comunicazione Olivetti: dal mito alla storia
L’ultimo libro di Giacomo Ghidelli
Prefazione di Pietro Bordoli
Quando ho ricevuto la telefonata di Giacomo Ghidelli che mi proponeva di scrivere una prefazione alla sua ultima fatica letteraria, mi sono sentito lusingato del fatto che avesse pensato al sottoscritto. Confesso però che, apprendendo il contenuto del suo saggio, la mia reazione spontanea è stata: “No, non è possibile, ancora un altro torrente a ingrossare il fiume di parole scritte sulla Olivetti, su Adriano, su De Benedetti, basta!”.
Se cercate la parola Olivetti su Google ottenete circa 2.070.000 risultati e se restringete la ricerca a “storia della Olivetti” ve ne sono comunque proposti ben 866.000!
Eppure...
La stima che ho sempre avuto per Giacomo ha prevalso sulle perplessità pregiudiziali (l’ho conosciuto molti anni fa, già potendone constatare la professionalità e capacità di scrittore quando collaborava come copywriter free-lance con la Direzione Pubblicità della Olivetti, che mi era stata affidata nella seconda metà del 1979) e mi sono immerso quindi in una lettura attenta delle vicende aziendali da lui descritte (benché a me abbastanza note avendo trascorso in tempi diversi più di sedici anni in Olivetti), correlate o interpretate, questo in modo decisamente innovativo, con l’occhio dell’esperto di comunicazione in grado di valutarne ogni aspetto nelle sue diverse forme.
Soprattutto molto convincente l’esame della comunicazione Olivetti da un punto di vista storico, con la sua stretta correlazione con il percorso compiuto dall’azienda dalla sua fondazione fino alla sua fine. Troppo spesso il mito olivettiano prende nell’immaginario collettivo il sopravvento sulla realtà, mentre la disanima di Ghidelli, nella sua lucidità e completezza di informazione, ne ridimensiona la portata, riconoscendo peraltro razionalmente l’assoluta validità del linguaggio usato dall’azienda in ogni sua fase: dall’età dell’oro di Camillo e di Adriano, orientato a messaggi ricchi di cultura con obiettivi sostanzialmente di immagine istituzionale e di esaltazione di una missione culturale a fianco della presentazione del prodotto oggetto di comunicazione, per giungere fino alla pubblicità posta al servizio del marketing per la promozione e il supporto alla commercializzazione dei prodotti e servizi offerti al mercato. Felice e sapiente la scelta delle immagini a corredo del testo, a dimostrazione immediata della validità di quanto affermato e di sicuro interesse per tutti i lettori, dai meno informati a coloro che già siano maggiormente a conoscenza dei fatti rievocati.
Nel saggio di Ghidelli trova un ampio spazio e una giusta valorizzazione la figura del fondatore Camillo, che sovente nella letteratura passa in un eccessivo secondo piano rispetto al figlio Adriano: le immagini del periodo di Camillo Olivetti dall’inizio fino al 1938 e la dettagliata descrizione del suo pensiero e delle sue azioni ne sono la conferma.
L’imponente opera di Adriano viene poi illustrata secondo l’interessante concetto di Design globale, che poggia su quattro pilastri: giustizia, cultura, bellezza e comunicazione; Ghidelli avverte il lettore che si tratta di una divisione puramente discorsiva, ma risulta davvero efficace per seguire correttamente i diversi aspetti trattati.
Particolarmente riuscita l’esposizione della figura e dell’operato di Renzo Zorzi, nume tutelare dell’immagine Olivetti chiamato da Visentini nel 1965 a formare e dirigere la Direzione Relazioni Culturali, Disegno Industriale, Pubblicità. Certamente Renzo Zorzi ha rappresentato per la Olivetti un importante elemento di continuità tra la fase di Adriano e quella successiva in materia di comunicazione, iniziative culturali, difesa della bellezza nel design e nella grafica.
La sua personalità e la sua cultura hanno dato continuità malgrado l’avvicendamento in un ventennio di diversi amministratori delegati e alti dirigenti commerciali; ho avuto personalmente il piacere di averlo come capo diretto e di apprezzarne, tra le altre, le sue doti di signorilità.
Questo non significa che le nostre idee fossero sempre allineate.
Un esempio: nell’ormai lontano novembre del 1979 scrissi all’ing. Carlo De Benedetti, su sua sollecitazione, una relazione in cui proponevo la costituzione di una società denominata Olivetti Advertising, con 100% capitale Olivetti, ma indipendente rispetto alla struttura.
Nella mia funzione di Direttore della Pubblicità avevo allora una chiara visione delle potenzialità del mio ristretto gruppo di collaboratori qualificati, tra i quali l’Autore di questo saggio, nonché dell’appeal che tale società poteva avere sul mercato della comunicazione nel caso si fosse presentata come Società autonoma e non come in-house agency.
Sfruttando la notorietà acquisita costantemente negli anni dalla Pubblicità Olivetti, questa impostazione, oltre alla ottimizzazione dei costi e dei prodotti realizzati per le Consociate del Guppo Olivetti (il budget 1979 di spesa pubblicitaria ammontava a 18,522 miliardi di lire), avrebbe potuto acquisire parecchi clienti esterni ponendosi come uno dei player qualificati nel sia pur affollato parterre delle agenzie di pubblicità.
Avevo l’approvazione della Direzione Finanziaria di Mario Gabrielli ed essendo io in ottimi rapporti con tutti i clienti interni, in primis Divisione Commerciale Italia e le altre consociate italiane, ero certo che l’operazione sarebbe andata in porto, grazie anche alla naturale propensione di De Benedetti a trasformare centri di costo in centri di profitto.
Il progetto invece non vide la luce e ciò a causa dell’opposizione di Zorzi, che esprimeva purtroppo scarsa fiducia nelle capacità dei miei collaboratori, grafici e copywriter, forse perché privi del fascino dei loro predecessori d’antan, troppo spesso mitizzati. Inoltre, certamente non vedeva di buon occhio lo scorporo di una costola importante della sua Direzione.
Io stesso, considerato forse solo un prestito da funzioni di marketing e non un professionista della pubblicità, prestavo mio malgrado il fianco a detrattori con scarsa visione prospettica.
È fin troppo scontato dire che la storia non si fa con i se e con i ma; peraltro, guardando ai traguardi raggiunti da Giacomo Ghidelli e da altri suoi colleghi di allora, possiamo dire che, nel suo piccolo, ma non troppo, la Olivetti Advertising rientra a pieno titolo nel novero delle occasioni perdute.
(Informazioni su editore e disponibilità del libro in calce alla home page)