Garry Hamilton (Ontario, Canada – Contemporary) – Kite surfer
Poesia del cielo
di Simonetta Greganti Law
Margaret, Louise e Olga sorseggiavano uno Spritz nella tiepida ora del sole calante sedute al tavolo di un bar che regalava ai clienti una fantasmagorica vista mare colorata di rosso.
Erano praticamente in bilico su uno strapiombo che, sebbene protetto da un solido muretto, risultava ai loro sguardi sognanti come sospeso sul mondo.
La brezza marina riempiva i polmoni d’ossigeno e di iodio mentre le menti, per l’effetto del Campari, fluttuavano sospese al disopra del mare.
Le tre amiche si sentivano come spettatrici del loggione di un teatro con veduta panoramica unita alla magia di un’atmosfera trepidante e viscerale.
Con gli occhi curiosi cercavano di abbracciare quel golfo e con la fantasia volavano agili immaginando di essere gabbiani pronti a sfidare la resistenza dei capricci del vento.
Louise si sorprese che nel cielo sembrassero essere le sole a librarsi; infatti non vi erano uccelli.
Dov’era finita quell’immagine del gabbiano pura e semplice, simbolo di libertà che rimaneva impressa nel lettore del libro di R. Bach “Il gabbiano Jonathan Livingston”?
Sapeva bene che oggi questo animale non si poteva più considerare il candido uccello che s’innalzava sopra le onde del mare e che evocava la luce, la leggerezza e uno spazio senza confini.
La sua voce sgraziata, la sua adattabilità alla sopravvivenza lo aveva portato a scegliere di ricercare il cibo nelle discariche delle città e, non temendo l’uomo, era pronto ad attaccarlo pur di procacciarsi qualcosa da mangiare.
La poesia di questo uccello si era così trasformata nella nota stonata del suo stridere. Non lo si elogiava più anzi, quasi sgomentava.
Il cielo era perciò libero; nessun volatile sfrecciava in questo spazio illimitato ma, ammirare l’evolversi delle sfumature delle tinte che mescolandosi le une con le altre cominciavano a confondersi ricreando tonalità vaporose e sempre diverse, era sufficiente a inorgoglire il cuore.
Bastava comunque abbassare lo sguardo verso la costa per vedere come questo fosse invece il regno indiscusso dei Kitesurfer, angeli con ali sgargianti, che si rincorrevano in aria e accarezzavano il mare.
I discendenti di Icaro erano i nuovi padroni dell’aria che, nella loro ricerca di emozioni, domavano il vento per incontrarsi con l’infinito.
Le tre amiche ammiravano questa danza lontana che alternava salti nell’aria a tuffi nell’onda e si stupivano della forza di questi ragazzi disposti a sfidare la vita per assaporare l’ebbrezza data dal vento e dal mare.
Era facile essere felici di fronte a questa armonia di acrobazie spettacolari, a questa coreografia di spruzzi, balzi e piroette che veniva rappresentata sotto ai riflettori di un tramonto che si rispecchiava nelle acque.
Olga si domandò ad alta voce come questi intrecci improvvisati potessero essere così coordinati in un mare senza strade e poi, estasiata da tutto questo, aggiunse: “solo ora capisco come nasce la poesia: Poseidone, Eolo e Apollo stanno inscenando questo spettacolo per ispirare Calliope”.
Fu così che Margaret si alzò in piedi e iniziò a declamare: “ Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale”. Poi aggiunse: “quest’immagine dell’aquilone del Pascoli è ancora molto attuale. Certo l’aquilone della tradizione è solamente attaccato a un filo, una cometa per il ciel turchino, e non ai sottili cavi che servono a manovrare il kite di oggi per planare sull’acqua. Eppure il cuore, nel guardarli, palpita ancora allo stesso modo. A prescindere da questi complicati volteggi non bisognerebbe mai dimenticarsi come far volare un semplice aquilone!”
Degustando il suo Spritz Louise osservò che il tramonto si era riversato anche nei loro calici dove il Campari, unito alle bollicine del prosecco, sembrava aver ritrovato gli stessi riflessi crepuscolari del mare.
Osservò inoltre come ci potesse essere della poesia anche nei loro stuzzichini d’accompagno all’aperitivo e sottolineò come lo snack offerto dal bar fosse il più indicato il quel momento. Scommise che sicuramente le sue amiche non erano a conoscenza del fatto che i taralli un tempo venissero tradizionalmente inzuppati nell’acqua del mare. Spiegando questo aggiunse: “ecco che si ripete in miniatura lo stesso spettacolo acrobatico al quale stiamo assistendo” e, tuffando come un kitesurf il suo tarallo alle olive nere nel suo tramonto in calice, se lo portò alla bocca.
Taralli alle olive nere
Impastare 300g di farina di grano tenero con 100g di vino bianco, 70g di olio extravergine d’oliva, un pizzico abbondante di peperoncino tritato, meno di mezzo cucchiaino di miele, 4g di sale e olive nere denocciolate fatte a pezzettini, circa una ventina.
Ottenuto un impasto liscio e omogeneo riporlo in frigo per circa mezz’ora dopo averlo avvolto in una pellicola per alimenti.
Ricavare poi dall’impasto raffreddato dei piccoli bastoncini che andranno chiusi ad anello sigillando bene il punto di unione. Si otterranno così i taralli che andranno infornati a forno preriscaldato a 180°/200° per circa 30 minuti, o finché saranno ben dorati.
Si possono aromatizzare con dei semi di finocchio, pepe o peperoncino o con del rosmarino tritato.
Stuzzicanti e irresistibili!