Carle Vernet (1758 – 1836) - Due moscardini dopo il Termidoro
La Rivoluzione Francese (16) - La fine della Rivoluzione
di Mauro Lanzi
La morte di Robespierre chiude il periodo “eroico” della Rivoluzione Francese, inizia la restaurazione; da principio si va verso la normalizzazione della situazione politica in Francia, con il ritorno al potere della borghesia benestante ed affarista; apparentemente nulla cambia, tutti i poteri restano affidati all’Assemblea, alla Convenzione, anche i Comitati restano al loro posto, ma, essendo venuti meno i grandi personaggi che avevano dominato la scena politica negli anni precedenti, ora tocca ai comprimari, i cosiddetti “Termidoriani” occupare il proscenio, in rappresentanza di una “destra” che aspirava ad uscire dall’emergenza del Terrore e mirava ad attuare una politica moderata, orientata al liberalismo in economia, o anche all’affarismo.
All’esordio i nuovi padroni del sistema non sembrano diversi dai precedenti, inizia il periodo detto del “Terrore bianco”, una gigantesca resa dei conti diretta contro chiunque fosse coinvolto con il precedente regime; salgono sul patibolo prima i grandi nomi, Carrier, l’autore delle noyaudes di Nantes, Fouquier Thinville, l’accusatore del Tribunale Rivoluzionario, Herman il presidente dello stesso tribunale , insieme ad altri dieci giudici, Cambon, l’uomo della finanza, riesce a fuggire in extremis; poi la repressione si rivolge ai personaggi minori, definiti genericamente “terroristi”, e si estende a tutte le province, coinvolgendo anche gli aderenti ai vari club giacobini. Ultimo colpo ai “terroristi”, nel novembre 1794, fu sciolto, in tutta la Francia, il Club dei Giacobini; se si pensa quale palestra di pensiero e di idee erano stati i Club Giacobini per la Rivoluzione, non si può non concludere che alla Rivoluzione, quella vera, feconda erano state tarpate le ali.
Per dare un segnale di discontinuità col passato regime, si decise, ad un certo momento, di evitare, per quanto possibile, lo spettacolo quotidiano delle esecuzioni pubbliche, si dette inizio alla prassi di condannare gli imputati alla deportazione alla Guyana francese, prassi che verrà presto bollata col termine di “ghigliottina secca”, perché si otteneva lo stesso risultato, l’eliminazione fisica dei condannati, senza un pubblico spargimento di sangue; chi volesse saperne di più, si rilegga il bel libro di R. Belbenoit, “Ghigliottina secca”, appunto; Belbenoit, un piccolo delinquente francese, viene condannato, nel 1920, alla deportazione nell’”Isola del Diavolo”, la Caienna: nel suo libro narra le sue vicende, dalle inumane condizioni di prigionia ai molteplici tentativi di fuga, che ricordano molto da vicino quanto tutti abbiamo visto nel film “Papillon” (che alcuni ritengono ispirato proprio alle memorie di Belbenoit). Belbenoit riuscirà infine a raggiungere gli Stati Uniti, dove morì molti anni dopo da uomo libero. La Caienna divenne luogo di deportazione degli avversari politici nel corso della Rivoluzione, sarà poi trasformata in una vera e propria colonia penale con Napoleone III; sarà chiusa definitivamente solo nel 1953.
Ma torniamo alla nostra storia; i “Termidoriani”, cioè la classe dirigente che si appropria del potere dopo la scomparsa di Robespierre, partivano avvantaggiati dalla favorevole situazione militare, conseguente la vittoria di Fleurus; il Belgio era già stato occupato prima del Termidoro, da lì a poco anche l’Olanda viene occupata senza colpo ferire, gli inglesi si reimbarcano, anche la Spagna, la Toscana ed altri alleati minori abbandonano la coalizione; da ultima anche la Prussia si ritira; la I Coalizione non esiste più, resiste solo l’Austria; i termidoriani, con un atteggiamento assurdamente intransigente nei confronti dell’Impero, si lasciano sfuggire la migliore occasione di concludere una pace globale.
Le maggiori difficoltà in quei frangenti venivano quindi dall’interno, per la crisi devastante degli assegnati, per l’incremento dei costi delle derrate essenziali conseguente l’abolizione del calmiere, per la rivolta delle sezioni che già rimpiangevano Robespierre; rialzava la testa anche la destra monarchica, rinsanguata dal rientro di molti emigrati ed appoggiata da bande paramilitari costituite dalla “jeunesse dorée”, i rampolli della piccola borghesia, detti anche “moscardini”, impegnati in frequenti scontri con giacobini e montagnardi.
La debolezza di fondo dei Termidoriani dipendeva dalla mancanza di una base politica, che garantisse stabilità e progresso economico, ondeggiavano tra le repressioni dell’una o dell’altra fazione, a volte con l’aiuto dell’esercito, ma erano in sostanza schiacciati tra una risorta reazione aristocratica e le masse giacobino-sanculotte di Parigi; per uscire da questo vicolo cieco, lo strumento che si pensò di adottare nel 1795 (22 Agosto) fu una nuova Costituzione, che verrà detta Costituzione dell’anno III.
L’alleanza tra Termidoriani e destre che presiedette alla sua stesura si preoccupò soprattutto di evitare ogni deriva verso la democrazia del ’93 e di sbarrare il passo ad ogni possibile dittatura; di conseguenza, la Carta del ’95 ripudiava molti dei principi che avevano ispirato le precedenti Costituzioni, nella Dichiarazione dei Diritti, anziché affermare che “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei loro diritti” si diceva semplicemente: “L’eguaglianza consiste in ciò che la legge è uguale per tutti”, una definizione assai riduttiva rispetto alla Dichiarazione dell’89. Così scomparivano dal testo il diritto all’insurrezione, sancito nella Costituzione dell’anno I, ed il dovere dello stato di assistenza agli incapienti. Per quanto riguarda il diritto di voto, non era stata riesumata la distinzione tra cittadini attivi e passivi, ma si era introdotto un criterio censitario a doppio turno ancora più limitante; ai votanti di primo livello veniva richiesto il pagamento di una qualsiasi imposta diretta, ma per essere nominato elettore bisognava dimostrare una rendita fondiaria assai consistente; erano questi “elettori”, sembra 30.000 al massimo in tutta la Francia, che sceglievano i rappresentanti nelle assemblee; spettava quindi ai notabili governare ed amministrare il Paese; libertà ed uguaglianza stavano a significare semplicemente che le porte di accesso alla borghesia dei notabili erano aperte a chiunque si dimostrasse capace di ascendervi per merito, lavoro o fortuna; d’altro canto, di normalizzazione o restaurazione si è parlato e tale fu.
Il potere legislativo veniva articolato in due assemblee, il Consiglio dei Cinquecento ed il Consiglio degli Anziani (250), i decreti deliberati dai Cinquecento erano trasformati in legge dagli Anziani, cui spettava anche il compito di designare l’esecutivo, detto Direttorio, a capo del quale ritroviamo, guarda caso, il principale protagonista del Termidoro, Paul Barras.
La Convenzione si sciolse il 26 ottobre del 1795, dopo essere stata riunita per più di tre anni ed aver conosciuto i più clamorosi rivolgimenti di tutto il periodo della Rivoluzione; dal governo della Gironda, alla condanna a morte dei reali, al Grande Terrore, all’esecuzione di Robespierre. Malgrado la nuova Costituzione, il Direttorio e le assemblee che subentrarono ad essa si trovarono di fronte agli stessi problemi del precedente regime, svalutazione degli assegnati, inflazione e carestia, scontri ripetuti tra fazioni monarchiche e giacobine: in più si erano riaccese la chouannerie e la rivolta vandeana, alimentate anche da un tentativo di sbarco in Bretagna di una truppa di emigrati aiutati dalla flotta inglese, mentre ai confini si veniva costituendo la II coalizione, che si dimostrerà assai più compatta ed agguerrita della prima.
Per rispondere a tutte le minacce sia interne che esterne il Direttorio disponeva di un solo strumento valido, l’esercito; l’esercito rivoluzionario era stato forse il prodotto più formidabile della Repubblica Giacobina; nato dalla leva in massa proclamata nel momento di massima emergenza, Vandea guerra ai confini, si era trasformato col tempo in un’armata di combattenti professionisti, dato che non c’era stata nessuna chiamata alle armi tra il ’93 ed il ’98; le reclute erano state affiancate a veterani, che provvedevano ad istruirle e a condurle sul campo, stipendi e vitto erano uniformati per tutti, gli ufficiali venivano designati dai loro stessi subordinati, non vigeva la tipica disciplina di caserma, quanto una gerarchia basata sul merito e sul coraggio; i soldati erano trattati come uomini liberi non come automi; se a questo aggiungete il sentimento della missione rivoluzionaria, profondamente radicato negli animi, e le migliorie nell’armamento e nelle strategie introdotte da Carnot, avrete l’immagine di uno strumento di guerra quasi perfetto, che il genio di Napoleone renderà invincibile. Proprio l’esercito, sotto la guida di Hoche, massacra gli emigrati sbarcati a Quiberon (3 Termidoro, 27 luglio 1795) e soffoca la chouannerie, ancora, guidato da Bonaparte, schiaccia un’insurrezione realista a Parigi (13 vendemmiaio anno IV, 5 ottobre 1795) ed altro ancora; questo successo frutta a Bonaparte il comando dell’Armata d’Italia, dove l’esercito francese passa di vittoria in vittoria, sbaraglia gli avversari, fino alla pace di Campoformio (1797), negoziata e siglata dallo stesso Napoleone. L’Austria deve abbandonare l’Italia, l’esercito quindi si dimostra capace di conquistare stati e nazioni, pagare da sé le proprie spese e, con le sue conquiste, mantenere anche il governo di Parigi.
Perché meravigliarsi allora se alla fine il più intelligente, il più energico, il più abile dei capi militari, Napoleone Bonaparte arrivò a concludere che l’esercito poteva fare assolutamente a meno di quel fiacco governo civile? Questo è il senso degli eventi del 18 brumaio anno VIII, dicembre 1799; un colpo di stato spazza via gli istituti in essere, creando un nuovo organo costituzionale, il Consolato, in cui emerge rapidamente Napoleone come primo console, per essere infine incoronato imperatore il 2 dicembre 1804.
Questa è la fine della Rivoluzione, la nostra narrazione si conclude qui; ma, crediamo, si debba rispondere ad una domanda, che sorge spontanea: dopo dieci anni di eventi convulsi ed anche tragici si era tornati al punto di partenza? La Francia era tornata ad essere governata da un autocrate, tra l’altro molto più energico e accentratore del povero Luigi XVI; la Rivoluzione era quindi fallita, tante sofferenze, tanti morti, tanti sacrifici non erano serviti a nulla?
No, non è proprio così; certo pesa la scomparsa della democrazia parlamentare, che sia pure in forme diverse aveva accompagnato tutto il percorso della Rivoluzione; i valori fondanti della Rivoluzione però sopravvivono e vengono diffusi in tutta Europa proprio dalle armate napoleoniche; parliamo dell’abolizione dei privilegi di nascita, cioè della nobiltà, dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge ed al fisco, dell’apertura all’ascesa sociale per impegno e merito, del diritto/dovere dell’istruzione di base per tutti (la nostra scuola ha mantenuto l’impostazione data da Napoleone, sulla base dei presupposti della Rivoluzione), della laicità dello stato e del rispetto per tutti i culti, ed altro ancora; vale la pena ricordare che la Francia era stata il primo paese in Europa ad abolire ogni discriminazione nei confronti degli ebrei e questo principio fu diffuso di conseguenza in tutta Europa.
Da sottolineare infine gli aspetti economici della Rivoluzione, che furono forse i più incisivi e duraturi; con la confisca della proprietà fondiaria prima del clero, poi della monarchia e della nobiltà si realizzò in questo periodo in Francia il più gigantesco trasferimento di ricchezza, all’interno di un stesso paese, che la storia ricordi; inizialmente questi beni caddero, spesso, nelle mani di accaparratori e speculatori, ma poi, migliori criteri di lottizzazione aprirono le porte alla piccola proprietà agraria; i contadini , costretti a vendere le proprie derrate contro pagamento in assegnati, si accorsero che la carta moneta svalutata, che detenevano in gran quantità, poteva essere utilmente impiegata nell’acquisto dei lotti di terreno messi all’asta, oltretutto a valore facciale. Nasce così la piccola proprietà contadina, zoccolo duro della società francese fino ai giorni nostri, una classe sociale convinta sostenitrice dei valori fondanti della Rivoluzione, perché da questi scaturiva il suo benessere. Così in Francia la rivoluzione sociale si saldò alla rivoluzione politica, cosa che, purtroppo, nel nostro Risorgimento non avvenne; le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi.
Tornando agli aspetti più strettamente politici, bisogna ammettere che nel periodo napoleonico, la democrazia parlamentare fu soppressa, governava un’autocrazia; bisogna però sottolineare che, anche con Napoleone, non c’è posto per l’idea della sovranità per diritto divino, Napoleone divenne imperatore a seguito di un referendum, per volontà del popolo! Non ci saranno più sudditi, ma cittadini. È una rivoluzione copernicana!!
L’ideale democratico aveva comunque radici profonde, non scomparve, rimase vivo sotto le ceneri per riemergere nel 1830, nel ’48, nel 1870, quando, fallito il secondo impero, la Repubblica Francese si afferma definitivamente come la democrazia guida di tutta Europa.
Napoleone al passaggio delle Alpi