Aggiornato al 18/04/2024

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Voltaire

I libri della mia vita.

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Giacomo Albè (1829-1893) – Ritratto di Ippolito Nievo


Passioni italiane: il mio amico Ippolito.

 
Tra i libri italiani ce ne sono molti che ho apprezzato e letto con grande piacere.

Non mi riferisco ai grandi capolavori che, conosciuti in classe, sviscerati nei temi e nei commenti, preparati per i sudati esami, hanno perso in questi passaggi gran parte del loro fascino.
Solo in età adulta, riletti e riscoperti, rivelano la loro bellezza e profondità e appaiono del tutto nuovi e sorprendenti.
Tuttavia proprio uno di questi grandi ebbi la fortuna di comprendere e amare già ai tempi della scuola  media.

Nel 1960 la televisione italiana mise in onda uno sceneggiato intitolato La Pisana, tratto dal romanzo di Ippolito Nievo “ Le confessioni di un italiano”.
Non ho mai visto questo sceneggiato a puntate, giudicato per adulti e quindi censurato dal mio rigorosissimo padre.
La mia classe però lo vedeva e all’unanimità decise che assomigliavo molto alla protagonista dello sceneggiato, la Pisana, appunto, interpretata da Lidia Alfonsi.
Mi fu affibbiato questo soprannome e persino per gli insegnanti divenni “la Pisana”.
Fu gioco forza procurarmi il romanzo per conoscere, almeno letterariamente, la mia sosia.

Mi immersi in quelle pagine, attenta alla musica delle descrizioni incantevoli e divertenti, cullata dal dolce accento della campagna veneta che con il suo cortese sense of humour mi  presentava situazioni e personaggi empatici e gradevoli.

“L’Italiano” che si confessa è un vecchio ottuagenario, che racconta insieme alle sue avventure quelle di un’Italia in formazione e in lotta per la sua unità e indipendenza.
La seconda parte del romanzo è incentrata su questi temi e quindi Carlino, il romantico protagonista, giovane e fervente patriota, ci porta con sé in fughe avventurose in varie città d’Italia e d’Europa.

Io non tanto ero interessata a questi pericolosi ed eroici girovagare dovuti alle sue scelte politiche, quanto alle alterne vicende del suo complicato amore per la bella cugina la cui infanzia mi aveva stregato.
La Pisana adulta mi piacque così tanto da rendermi fiera del soprannome che mi avevano dato.
Nievo infatti ci dipinge un personaggio femminile unico nella letteratura italiana di quel tempo.
Una donna moderna, spregiudicata, imprevedibile, libera, del tutto insofferente ai condizionamenti morali e sociali dell’epoca, capace di coraggio e intraprendenza.
Non fu apprezzata e capita dalla critica del tempo e ci fu chi gridò addirittura allo scandalo.
Per me invece fu una rivelazione.
Così vicina ai miei desideri e ideali.
Così confortante nel suo essere diversa e perfettamente “sbagliata”.

La parte comunque per me più intensa del libro è la prima, quella che si svolge al castello di Fratta, dove il conte zio di Carlino regna sovrano su una piccola corte di campagna magica e scalcagnata.
Il povero nipote, orfano e disprezzato, viene tollerato e strapazzato come un servo, restando però nobile e coraggioso, libero e fiero come un vero eroe.
Ricordo ancora molto bene le prime pagine sull’infanzia di Carlino al castello e, nonostante siano passati molti anni da quella lettura, se chiudo gli occhi, rivedo ancora molto chiaramente il bizzarro caseggiato di Fratta, dagli angoli irregolari, dai tetti zeppi di comignoli, dai cortili disordinati e fangosi, frequentati da polli, cavalli e ogni sorta di animali.
La zona più affascinante è la famosa cucina: immenso regno misterioso, pieno di fumo e di anfratti, una caverna magica dove il ragazzino vive, si rifugia, si nasconde, lavora pazientemente o rabbiosamente al girarrosto o alla grattugia del formaggio.
Le pagine che descrivono la cucina di Fratta sono così vivide che leggendo quasi si sente lo sfrigolio e il profumo degli spiedi.

Delizia e tortura di Carlino è la cuginetta Pisana, capricciosa, tenera e crudele compagna di giochi e di avventure.
Mi fu facile essere entrambi i personaggi poiché amavo allo stesso modo i due aspetti contrapposti.
La deliziosa prepotenza della bambina e la coraggiosa devozione del ragazzino.
Capivo perfettamente gli strani comportamenti di Pisana e le reazioni del suo compagno di giochi.
Inoltre Pisana aveva una sorella maggiore, Clara, bella, buona, santa, aggraziata, devota, insomma l’ideale femminile dell’epoca, l’esatto opposto della sorella minore.
Mi sembrò una coincidenza incredibile: anch’io avevo una sorella più grande così.
Pisana mi aiutava a volermi bene: infatti nonostante l’ impulsività, le bizze, le prepotenze, era di fondo buona e generosa e capace di slanci e atti di imprevedibile coraggio e altruismo.
Era questo il suo fascino, era questo che faceva di Carlino il suo devoto cavaliere.

 

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Giovanni Tarlao (1950 -    ) – Un caldo tramonto di mezza estate

 

Il punto però per cui il libro divenne uno dei miei prediletti è un poco più avanti.
Carlino si è perso vagabondando per la campagna assolata e deserta.
Per tutto il giorno l’avevo seguito tra boschi e frasche, salendo e scendendo colline, ascoltando i suoi pensieri e le sue riflessioni ed ecco che, ormai al tramonto, con la consapevolezza di trovarsi lontano da casa e in un luogo sconosciuto, scopre il mare che non aveva mai visto.
L’emozione davanti a quell’infinito, azzurro, luccicante tremolio, incendiato dal sole morente, la percezione e la visione di tanta naturale e totale bellezza sono così grandi, che il bambino cade in ginocchio stupefatto e piangente in adorante ringraziamento al Dio della bellezza del quale sente la presenza.

Tutto questo viene raccontato con tale arte da sentirne la musicalità e il crescendo man mano che si procede nella lettura ed io, che il mare già l’avevo ben conosciuto e amato, fui in grado di sentire il mio cuore battere assordante con quello di Carlino e come lui mi sentii il groppo in gola e le lacrime agli occhi.

L’amore per il suo libro mi fece ammirare anche il suo autore del quale volli conoscere la vita e le idee.

Ippolito Nievo scrisse giovanissimo il suo capolavoro, aveva 27/28 anni, e secondo me attinse molto ai suoi sentimenti e alle sue emozioni nel descrivere Carlino.
Era uno di quegli italiani che mi fanno ancora amare il mio paese e i suoi abitanti, nonostante lo squallore e la vergogna in cui ultimamente troppo spesso si ritrova.
Aveva partecipato alla seconda guerra di indipendenza nell’esercito regio, poi, disgustato dalla pace di Villafranca, si ritirò in campagna, per poi tornare ad arruolarsi coi garibaldini.
Garibaldi lo stimò così tanto che gli affidò un incarico molto delicato e di grande responsabilità; lui confessò di aver accettato solo perché il generale glielo aveva chiesto di persona e quasi supplicando, ritenendolo il solo del quale potersi fidare in quella situazione.

Si trattava di gestire le finanze dell’impresa dei Mille, compito gravoso e pesantissimo per il quale il giovane Nievo, intraprendente, romantico e avventuroso, dovette rinunciare alla vita di azione per dedicarsi alle noiosissime pignolerie contabili.
Il suo rigore e la sua incorruttibilità lo resero antipatico a molti e naturalmente gli crearono numerosi nemici.
A questo punto la sua storia – come spesso ahimè succede in questo nostro disgraziato paese - lo costringe a doversi giustificare e difendere il suo operato contro gli attacchi ingiuriosi e infamanti che una parte della stampa di allora montò contro di lui.
Si trattava in realtà di una manovra del governo di Cavour che temeva l’eccessivo entusiasmo per Garibaldi e i suoi, dopo il successo dello sbarco in Sicilia.
Occorreva ridimensionare questa popolarità e ricordare che c’era un re a capo del nuovo stato.
A questo scopo fu montata una campagna diffamatoria su corruzione e mala gestione del denaro raccolto e Ippolito Nievo, come delegato responsabile, doveva giustificarsi in prima persona.
Era uno degli ultimi garibaldini rimasto sull’isola e anche di questa situazione moltissimo patì, come raccontano le sue lettere ai familiari, e di fronte a una simile accusa si precipitò sulla prima nave in partenza con tutti i suoi documenti e le sue precisissime registrazioni.

Era il 4 marzo 1861.
La sua nave si chiamava Ercole.
Partì da Palermo con buon tempo e buon mare.
Quello stesso giorno, sulla stessa rotta, dirette a Napoli c’erano altre quattro imbarcazioni che puntualmente la mattina del 5 marzo attraccarono al porto, nonostante durante la notte ci fosse stata una forte tempesta.
L’Ercole, invece, a Napoli non arrivò mai, né di lei si ebbe mai alcuna traccia, né degli ottanta uomini che aveva a bordo, né della nave.
Letteralmente sparì in mare e della sua scomparsa, ancor più misteriosamente, ci si occupò solo dopo parecchi giorni.



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Francesco De Grandi (1968 -    ) – Naufragio – Olio su tela (2014)


Una delle prime misteriose stragi all’italiana?
Un’incredibile coincidenza?
Di certo di questo fatto se ne parlò molto poco e pochissimi sanno che Ippolito Nievo, che io definisco eroico per la sua pazienza e la sua integrità, dovette subire accuse, ingiurie, sospetti nonostante la sua dedizione e la sua onestà.

Molti erano invece i personaggi che avrebbero tratto vantaggio da una sparizione così provvidenziale: coloro che avevano davvero rubato e dei quali Ippolito aveva rigorosamente annotato ogni prelievo dai fondi, coloro che avevano montato le calunnie contro di lui per interessi politici, e persino la massoneria inglese che aveva raccolto una cifra impressionante per quei tempi per favorire un’Italia antipapista, ma che di tale supporto non desiderava alcuna pubblicità.
E’ vero che durante quella famigerata notte il tempo divenne minaccioso, ma è davvero strano che in un tratto di mare sul quale si trovavano contemporaneamente altre quattro imbarcazioni solo l’Ercole scomparve in modo così assoluto senza lasciare relitti o testimoni.

Nel 1976 Stanislao Nievo, pronipote dello scrittore e scrittore a sua volta, pubblicò un bel libro, Il prato in fondo al mare, nel quale narra la sua appassionata avventura alla ricerca della nave del suo parente.
La storia è avvincente e interessante, ma anche la ricerca appassionata di Stanislao lascia dubbi e incertezze poiché trovò nei diversi archivi visitati solo cartellette vuote e dell’Ercole, scomparso con la cassa di preziosi documenti, nessuna traccia.
Restano le lettere di Ippolito ai familiari dalle quali si evince la sua ansia e preoccupazione e la sua integrità e innocenza.
Lo scrittore aveva trent’anni quando fu inghiottito dal mare, quel mare che aveva descritto in modo così coinvolgente e magnifico e davanti al quale il ragazzino si era inginocchiato piangente di fronte alla sua misteriosa e immensa bellezza.

Una sorta di premonizione?
Tutto ciò che si aggira intorno a Nievo è magico, profondo  e misterioso.
Nonostante ciò per me sarà sempre “ Il caro amico Ippolito” che sento vicino, sereno e sorridente, ogni volta che guardo il mare.

(continua)

Inserito il:23/03/2015 19:44:55
Ultimo aggiornamento:25/05/2015 12:04:23
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