Aggiornato al 06/01/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Luigi XVI ai piedi del patibolo

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La Rivoluzione Francese (8) - Processo e condanna di Luigi XVI

 Tradimento e collasso delle armate francesi.

 

di Mauro Lanzi

                          

L’assalto alle Tuileries aveva causato, di fatto, la caduta della monarchia; inizialmente l’Assemblea aveva votato unicamente la “sospensione” del Re, i Girondini speravano ancora di salvare la monarchia; alle Tuileries era però venuta allo scoperto tutta una serie di documenti compromettenti, che provavano alcuni fatti scabrosi; Luigi aveva continuato a pagare gli uomini della sua guardia anche dopo che erano emigrati a Coblenza, aveva costituito a Parigi un’agenzia di corruzione e spionaggio e finanziava i giornali monarchici. Non erano accuse eclatanti, ma furono sufficienti per decretare la fine della Monarchia e l’avvento della Repubblica; ma non bastava, si parlava di processo: i girondini non avrebbero mai voluto mettere sotto accusa il Re, sia alla Legislativa che alla Convenzione; quando i Montagnardi, dopo l’abolizione della Monarchia, cercarono di risollevare la questione, di iniziare un processo al Re, i Girondini rispondevano loro, che secondo la Costituzione, la persona del Re era inviolabile.

Sembrava un argomento conclusivo, ma una replica folgorante la dette loro un giovanissimo deputato, di una bellezza efebica, che più tardi sarà detto “l’Angelo della Morte”, Louis Antoine de Saint Just (immagine sotto): Saint Just riconosceva che in linea di diritto il Re non poteva essere giudicato, ma sosteneva non si trattasse di fare un processo ma di un atto politico: “Luigi ha combattuto contro il popolo ed è stato vinto; è un barbaro, un nemico prigioniero di guerra, è il massacratore della Bastiglia, del Campo di Marte, delle Tuileries; quale nemico, quale straniero vi ha fatto più male di lui?”

Per comprendere la dinamica della politica in questo periodo, occorre ricordare che il punto debole della struttura decisionale è che un unico organo, la Convenzione, riuniva di fatto tutti i poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario; si poteva definire dittatura di un’assemblea, assemblea che inevitabilmente risultava manovrabile da abili demagoghi; quindi vedremo spesso eloquenza e doti oratorie fare premio sulla sostanza degli argomenti, i grandi oratori dominano la politica. Così la tirata di Saint Just ribalta i termini della questione, i Girondini devono cambiare strategia. Il nuovo argomento che mettono in campo parte proprio dalla tematica sollevata da Saint Just, se il procedimento contro Luigi, argomentavano i Girondini, era un fatto politico, la decisione ultima spettava al popolo, primo ed unico detentore del potere politico; ma un appello al popolo avrebbe comportato un’altra sconfitta certa per la Montagna, perché il sentimento monarchico era ancora fortemente radicato in tutta la Francia, almeno fuori Parigi: così dovette scendere in campo Robespierre, che si scagliò contro una proposta che definiva impropria ed inopportuna quando il Paese era in guerra. L’intervento di Robespierre si svolse tutto su di un terreno politico ideologico, senza finzioni giuridiche:

 “Un re detronizzato, tuonava Robespierre, serve soltanto a due usi: o sconvolgere la tranquillità dello stato o mettere a repentaglio la libertà [...]. Ora qual è la norma che una sana politica prescrive per cementare la repubblica nascente? È quella di stampare profondamente nei cuori il disprezzo per la regalità e di colpire di stupore tutti i partigiani del re...».  Per ribadire la sua contrarietà alla votazione popolare, Robespierre concluse poi la sua arringa con una frase rimasta famosa: “La virtù è sempre stata in minoranza sulla terra!” Frase di grande effetto, ma anche frase sconcertante per chi, come noi, è abituato a ragionare in termini di democrazia, sembra evocare una dittatura dei virtuosi, che è quanto di fatto Robespierre cercherà di realizzare al culmine della sua carriera politica. Comunque, ancora una volta la retorica ebbe la meglio sul diritto e si stabilì che il processo si sarebbe celebrato davanti alla Convenzione, che divenne quindi anche organo giudicante. Robespierre, che, paradossalmente, l’anno precedente aveva proposto l’abolizione della pena di morte, di fatto sarà lui, principalmente, a sospingere il re sulla ghigliottina, per togliere alla monarchia l’alone di sacralità, che, secondo Robespierre toccava al popolo e solo al popolo.

Danton, sollecitato dai suoi amici realisti, fece un ultimo tentativo per salvare il Re; fece approvare una proposta che allargava l’accusa a tutti i Borbone, compresi i rami collaterali, come gli Orleans; la manovra, che tendeva ad annegare il processo al Re in un contesto assai più ampio e confuso, fallì inaspettatamente per un fatto clamoroso ed inatteso, la scoperta del cosiddetto “armadio di ferro”; Luigi XVI, negli anni precedenti, aveva incaricato un fabbro di Versailles, un certo Gamain, di realizzare ed incassare in una parete delle Tuilieries, un armadio rinforzato nascosto alla vista; dopo la caduta della monarchia, Gamain pensò bene di coprirsi le spalle ed andò da Roland, ministro dell’interno, a svelare il segreto. Roland, che era uno dei capi della Gironda, decise di aprire l’armadio e lo fece da solo, cosa che gli valse infinite accuse per il sospetto che avesse occultato prove compromettenti per i suoi. Nonostante ciò i documenti che vennero alla luce furono di portata impressionante, si trovarono carteggi compromettenti con Mirabeau, Lafayette, Talleyrand, Talon (capo della polizia segreta), diversi vescovi refrattari ed altri ancora. A questo punto il processo divenne inevitabile; il 10 Dicembre fu depositato l’atto di accusa, il giorno seguente Luigi comparì davanti la Convenzione. L’uomo che si presentò all’Assemblea non aveva nulla della regalità di un tempo, era un uomo smagrito, disfatto, con la barba lunga e i capelli in disordine, perché gli erano stati sequestrati rasoi e forbici, al punto che molti delegati furono mossi a compassione, Robespierre stesso vacillò; in realtà non si voleva processare l’uomo, ma il simbolo.

Il processo a Luigi XVI o a Luigi Capeto (come era stato incongruamente rinominato, visto che la dinastia Borbone non risaliva a Ugo Capeto, la cui discendenza si era estinta nel 1300) è stato oggetto di innumerevoli ricostruzioni ed analisi critiche, giunte tutte ad un’unica conclusione, non esistevano, a carico di Luigi, prove concrete di crimini capitali. Anche i documenti dell’armadio di ferro provavano intrallazzi, forse deplorevoli, ma comuni in politica, niente di più. L’atto di accusa fu incredibilmente confuso e contraddittorio; il redattore, Lindet, aveva compilato una specie di excursus di tutti gli eventi a partire dall’’89, le accuse a Luigi erano vaghe e prive di riscontri probatori; non si capiva se si dovesse fare un processo a Luigi o alla monarchia come istituzione.

Giustamente, poi, un suo avvocato difensore, De Seze, osservò: “Cerco tra di voi giudici e vedo solo accusatori”. Aveva messo il dito sulla piaga, sul vero punto debole di tutta la questione, mancava in questo procedimento l’elemento essenziale di qualunque processo, in qualunque tribunale, la terzietà del giudice rispetto ad accusa e difesa. La Convenzione o i suoi delegati, invece, furono ad un tempo, inquisitori, accusatori, giudici e, infine,… carnefici: questa non è giustizia!!

Ovviamente il giudizio si concluse con un verdetto di colpevolezza, all’unanimità: si passò poi a votare per la pena, la pena di morte fu approvata con un margine ristretto. Infine si votò per la sospensione della pena; la mozione fu respinta per un solo voto, Filippo Egalitè, l’Orleans, votò per la morte del cugino: lo stesso Robespierre fu disgustato da questo gesto: “Tra tutti, era l’unico che non avrebbe dovuto votare contro”!!

Luigi XVI affrontò il suo destino con grande compostezza e dignità; salito sul palco del patibolo cercò di indirizzare alcune parole alla folla che assisteva: parole che furono in parte coperte dal rullo di tamburi, ultimo sfregio ad un morituro. Per una testimonianza, dobbiamo affidarci al personaggio a lui più vicino di tutti, il boia Sanson (autore di più di 2000 esecuzioni: rivendette assai bene le sue memorie) Luigi avrebbe prima detto:

“Signori, sono innocente di tutto ciò di cui sono stato incolpato. Auguro che il mio sangue possa consolidare la felicità dei francesi.”

Rullo di tamburi. Dopo avrebbe aggiunto.

“Perdono coloro che hanno causato la mia morte e mi auguro che il mio sangue non debba mai ricadere sulla Francia.”

Aveva 38 anni.

 I suoi resti furono recuperati dopo la restaurazione e fatti inumare da Luigi XVIII, che era il fratello, nella cattedrale di Saint Denis, insieme a quelli della moglie Maria Antonietta.

Monumento funebre a Luigi XVI e Maria Antonietta

 

Un giudizio su Luigi XVI è stato in più parti anticipato; era fondamentalmente una persona per bene, rifiutò in più occasioni di versare sangue francese per salvarsi e di questo gli va dato atto; era però un debole, in un’epoca in cui la debolezza era un grave difetto, una colpa capitale.

 

Successi militari e declino della Gironda

La Gironda aveva subito, con il processo al Re, un’innegabile sconfitta, ma ancora di più pesava sulla sua posizione politica la difficile situazione economica del paese; malgrado la confisca dei beni dei nobili emigrati, che aveva portato allo stato terreni ed immobili per altri due miliardi, dopo i beni del clero, la necessità di far fronte alle spese di guerra e l’inefficienza nell’esazione delle imposte dirette introdotte di recente, aveva obbligato la Convenzione a nuove massicce emissioni di assegnati, che avevano ulteriormente inflazionato il mercato di questa anomala carta moneta, riducendone drasticamente il valore. Ma non bastava; si era stati costretti a sospendere anche i pagamenti dei titoli di stato emessi prima dell’89; così veniva colpita proprio quella classe, la grande borghesia, che aveva avviato la Rivoluzione.

La conseguenza più grave di questa crisi monetaria era che, malgrado un positivo raccolto, il grano mancava sui mercati, perché i contadini preferivano immagazzinarlo o imboscarlo, piuttosto che accettare in pagamento carta svalutata. Questo portava alla disperazione le folle cittadine, in specie i salariati; i Girondini, prigionieri dei loro pregiudizi liberisti, il libero mercato avrebbe risolto tutto, si rifiutavano di intervenire, stranamente anche i Giacobini esitavano; si formò allora una nuova fazione politica, forte soprattutto a Parigi, gli “Arrabbiati”, di cui sentiremo parlare molto in seguito.

Per il momento, sanati i casi più gravi con qualche requisizione, i Girondini riuscivano a rimanere a galla grazie ai successi in campo militare.

Dopo Valmy, l’esercito prussiano, decimato, non certo dagli scontri col nemico, ma dalla dissenteria (!), si era ritirato dalle frontiere francesi. Liberi così da minacce di invasione i generali della Repubblica passarono all’offensiva: già il 22 settembre Montesquieu invadeva prima la Savoia e poi la Svizzera giungendo in vista di Ginevra; il Consiglio esecutivo ed il Consiglio diplomatico, i due organi che si era data la Convenzione, per seguire le vicende militari ed i rapporti con l’estero, lo incitarono a proseguire, ma Montesquieu preferì negoziare una tregua; fu rimosso e sottoposto a processo. L’offensiva principale però si svolgeva a nord, sul fronte del Reno; qui il generale Custine, visto sguarnito un largo tratto di fronte, perché prussiani ed austriaci presidiavano il Belgio,  avanzò audacemente verso il centro della Germania, il 25 settembre occupava Spira, il 5 ottobre entrava  a Worms, il 19 giungeva ad assediare Magonza con un esercito di 13000 uomini, per due terzi volontari; Magonza era una città fortificata, difesa da una forte guarnigione, ma l’insurrezione dei borghesi che circolavano con coccarde tricolori convinse il comandante alla resa; dopo solo due giorni d’assedio les Carmagnoles entravano festanti in città.

Custine

 

Se Custine fosse stato uno stratega, avrebbe proseguito la marcia lungo il corso del Reno fino a Coblenza, tagliando così la strada ai prussiani in ritirata; decise invece di occupare Francoforte, che tenne solo per pochi giorni, vista la reazione di altri stati tedeschi; Custine progettava anche di sgomberare Magonza, ma fu bloccato dal Consiglio esecutivo che gli inviò anche dei rinforzi.

I risultati più brillanti i francesi li ottennero sul fronte del Belgio e delle Argonne; la ritirata dei Prussiani aveva indebolito anche le posizioni austriache; così il generale Dumouriez riuscì ad entrare in Belgio con un forte esercito, forse il migliore della Repubblica, costituito in gran parte da sodati di linea; avanzando verso Mons, il 6 Novembre Dumouriez si scontrò con gli Austriaci che si erano frettolosamente trincerati intorno al villaggio di Jemappes; i francesi superavano largamente in numero gli avversari, che a sera furono costretti a ritirarsi, dopo aver lasciato 7000 uomini sul campo. Mentre Valmy era stata una scaramuccia, Jemappes fu una vera battaglia, la prima grande vittoria delle armate repubblicane; portò anche a risultati importanti, in meno di un mese tutto il Belgio fu sgomberato dagli Austriaci ed occupato dall’armata francese.

I successi militari ponevano sul tavolo un altro problema, se e come procedere con la guerra; ricordiamo che la guerra era stata avviata per contrastare i presunti pericoli derivanti dalle manovre degli emigrati, appoggiate dalle potenze straniere; poi l’ingresso in territorio francese dell’esercito prussiano aveva prospettato pericoli molto più concreti e minacciosi. Ora però la situazione si era rovesciata; occorreva allora decidere che strategia adottare: cercare una tregua o consolidare il possesso dei territori occupati, operazione non facile visto che si trattava di regioni diversissime per lingua, tradizioni, cultura. I rifugiati stranieri in Francia, che erano in gran numero ed esercitavano una discreta influenza sulla politica del Paese, uno di loro Anacharsis Cloots, un nobile prussiano, era riuscito a farsi eleggere alla Convenzione, premevano per l’annessione e la prosecuzione della guerra.  In parte per queste pressioni, in parte per l’idealismo che l’animava, la Convenzione si lasciò trascinare ad emettere due delibere gravide di conseguenze; con la prima, del 19 novembre, si dichiarava che la Francia avrebbe recato aiuto a tutti i popoli che volessero rivendicare la loro libertà; con la seconda, del 15 dicembre, si stabiliva che in ogni paese occupato tutto ciò che è privilegio, tutto ciò che è tirannico andava eliminato; significava esportare o imporre i principi della Rivoluzione.

 Ad onor del vero, i Girondini, in particolare Brissot, capo del Consiglio diplomatico, avevano tentato, tramite canali confidenziali, alcuni approcci per una tregua con Prussia ed Austria, proponendo, in buona sostanza, di sgomberare i territori occupati, a fronte del riconoscimento della Repubblica ; la risposta era stata in apparenza durissima, venivano richiesti da entrambe le parti risarcimenti per i principi tedeschi, appannaggi per i nobili francesi emigrati, anche la restituzione al Papa di Avignone; in realtà, l’unica condizione veramente irrinunciabile era  la liberazione della famiglia reale, che doveva essere accompagnata incolume alle frontiere.

In quel momento si stava apprestando il processo a Luigi XVI; se i Girondini avessero avuto il coraggio di presentarsi alla Convenzione dichiarando apertamente che la salvezza del Re e della sua famiglia era il prezzo per la pace, forse avrebbero ottenuto attenzione dai delegati, forse si sarebbe aperta una strada per una trattativa,in fondo le potenze straniere non chiedevano di meglio che uscire dal ginepraio francese, in fondo tra i delegati in tanti non se la sentivano di addossarsi la responsabilità della guerra; in ogni caso la statura politica della Gironda ne sarebbe uscita accresciuta. Non osarono farlo; Luigi salì sul patibolo ed i Girondini si trovarono coinvolti in una guerra che li avrebbe divorati.

 

La Prima Coalizione e la disfatta in Belgio

Di coalizioni in funzione anti francese se ne vedranno tante fino alla caduta di Napoleone, ma la Prima Coalizione (che si concluderà nel 1797) portò la Francia, per la prima volta nella sua storia, a dover fronteggiare tutte le maggiori potenze europee alleate.

Per attirarsi l’ostilità di tutta l’Europa, ci voleva una serie incredibile di errori politici e diplomatici; i primi tra questi erano stati i decreti del 19 novembre e del 15 dicembre; il primo, la promessa di recare aiuto ai popoli che aspirassero alla libertà non poteva non suscitare il sospetto di tutti i regimi autoritari.  Danni ancora peggiori, soprattutto, più concreti ed immediati li causò il decreto del 15 dicembre, quando si cercò di applicarlo ai paesi “liberati”; le popolazioni, spaventate dal “potere rivoluzionario” che veniva loro imposto da stranieri, non videro in esso che uno strumento di arbitrio e dominazione, un attentato alla loro autonomia, un pretesto per spogliarli delle loro ricchezze. La resistenza fu quasi ovunque unanime, nessuno voleva ricevere in pagamento gli assegnati a corso forzoso, molti si sentivano danneggiati dal sequestro dei beni dei nobili e della Chiesa, il clero minacciava l’inferno a chi rompeva il giuramento di fedeltà a nobiltà ed Autorità ecclesiastica. Fu un’amara sorpresa per chi nella Convenzione si aspettava un’accoglienza entusiastica ed un aiuto nella guerra; il decreto del 15 dicembre dovette essere messo in vigore con la forza, simulacri di assemblee riunite sotto la minaccia delle baionette sancirono la cancellazione dei diritti e dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici e la riunificazione alla Francia; ma un sordo rancore nei paesi ”liberati” minacciava alle spalle le truppe francesi; la Francia era andata troppo avanti rispetto al resto del continente, non poteva attendersi di essere compresa ed osannata.

La politica ormai apertamente imperialistica adottata dalla Convenzione non mancò di alienare alla Rivoluzione le simpatie che ne avevano accolto la nascita un po' ovunque, soprattutto in Germania ed Inghilterra; la notizia dell’esecuzione del Re suscitò orrore e sdegno nelle corti di tutta Europa, ma fu soprattutto l’occupazione del Belgio e della Renania che destarono reazioni ostili. Di particolare rilievo fu l’atteggiamento dell’Inghilterra, che da più di un secolo fungeva da “regolatore” degli equilibri europei; il governo Pitt si era mantenuto neutrale durante le prime fasi della Rivoluzione, ma l’occupazione del Belgio ed in particolare del porto di Anversa aveva destato preoccupazioni; il governo di Pitt temeva soprattutto le mire francesi sull’Olanda; fu inviato a Londra un incaricato speciale, per fugare questi timori, ma il suo operato fu così maldestro  che Pitt fece votare dai Comuni un decreto per il riarmo e fece bloccare convogli di navi francesi. In risposta il 1° febbraio 1793, Brissot dichiarava guerra all’Inghilterra e all’Olanda; se si considera che a breve anche la Spagna si sarebbe unita presto alla coalizione, la Francia era circondata da ogni lato.  

Il motivo fondamentale di una politica estera così sconsiderata era l’ottimismo derivante dalle vittorie militari conseguite negli ultimi mesi del ‘92; in pochi mesi però la situazione cambiò sostanzialmente: molti volontari, dopo aver liberato il suolo patrio e posto in sicurezza le frontiere, erano tornati a casa, come consentito dal decreto di coscrizione; gli effettivi al fronte si erano quasi dimezzati e quanti rimasti erano mal equipaggiati, male approvvigionati per le ruberie dei fornitori dell’esercito, spesso conniventi con gli alti gradi. I generali ormai non rispondevano più agli ordini da Parigi, si comportavano in modo indipendente, Dumouriez ad esempio non aveva accettato di collegarsi con l’armata di Custine, cercava gloria per suo conto; l’esercito francese si trovava così esposto su due salienti, uno verso il Belgio, l’altro verso la Renania, lasciando pericolosamente scoperto il centro, questo proprio mentre gli eserciti prussiano ed austriaco si stavano riorganizzando e puntavano ad incunearsi nel varco indifeso.

Dumouriez

 

Malgrado la scarsità degli effettivi a disposizione e la minaccia del nemico sui fianchi, Dumouriez, convinto che si dovessero anticipare le mosse dell’avversario; il 16 febbraio entrava in Olanda con un’armata di 20.000 uomini, riportando anche alcuni successi iniziali, ma il 1° marzo il duca di Coburgo, comandante delle forze riunite austro-prussiane sferrò un attacco sulle retrovie francesi rimaste scoperte, travolgendo ogni resistenza in Belgio. Il disastro ebbe una vasta eco a Parigi, dove Dumouriez era da tempo sotto attacco per le sue malversazioni e ruberie ai danni delle sue stesse truppe; protetto da Danton e dai Girondini, Dumouriez rimase al suo posto, rispondendo con arroganza ad ogni critica, rifiutando anche di eseguire gli ordini del Consiglio esecutivo, perché riteneva che la migliore strategia fosse ancora l’attacco, voleva puntare su Rotterdam. Quando alla fine decise di ripiegare per riunirsi a quanto restava del centro, era troppo tardi; prima che si riuscisse a creare una difesa efficace, il Coburgo attaccò a Neerwinden il 16 marzo, riportando una vittoria decisiva. La Convenzione a questo punto decise di mettere sotto accusa Dumouriez ed inviò quattro commissari al suo quartier generale, ma Dumouriez li fece arrestare e li consegnò al nemico; poi incitò le sue truppe a marciare su Parigi, ma i suoi subordinati si ribellarono, a Dumouriez allora non restò che rifugiarsi dal Coburgo, accompagnato da Luigi Filippo e da altri complici.

Il tradimento di Dumouriez determinò il collasso definitivo delle armate francesi, costrette a ripiegare fino ai confini; per fronteggiare l’avanzata degli austro-prussiani; la Convenzione decretò misure straordinarie, una leva di 300.000 uomini, poi creò un nuovo organismo per gestire l’emergenza, il “Comitato di salute pubblica”; costituito inizialmente da nove membri aveva competenze e poteri molto vasti, ne sentiremo parlare nel seguito.   

Ma mentre ci si attrezzava per respingere l’invasione straniera, un nuovo pericolo minacciava alle spalle la Rivoluzione; la Vandea.

 

Inserito il:04/01/2025 11:36:10
Ultimo aggiornamento:04/01/2025 18:34:24
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