GhadasCanvas - Acquerello personalizzato con versetto del Corano
Dentro l’Islam - Vivere il Corano (7)
di Vincenzo Rampolla
Corano, in arabo al-qurān, significa lettura, ad alta voce, più vicina a declamare o predicare che a leggere le sacre parole dell’Islam. Due i tipi di letture principali: lettura sonora del linguaggio, dei suoni articolati, con o senza recitazione e lettura dei simboli grafici. Il verbo di Dio, che in sé potrebbe non essere percepito dall’uomo, può essere colto solo con la mediazione di questi elementi, strumenti sensibili che lo rivelano, lo rendono apparente e al tempo stesso velano la sua natura più intima, lo spirito e il significato profondo. Cogliere la realtà del Corano non è ascoltare o vedere, ma sentire, apprezzare e capire, vivere. Cosa difficile, vestita di forme sonore e visive, quasi occulta, parola divina che sfugge alla capacità umana di afferrare.
Il termine più usato in arabo per esprimere l’idea della rivelazione è tanzīl, l’atto di far discendere la parola di Dio nel mondo, dalla sua dimora celeste. Essa allora deve assumere un carattere percepibile e in questo modo la contamina e ne oscura la nuda purezza. La comprensione della parola, l’interpretazione del testo, dovrà consistere in un moto inverso a quello della discesa, che dia luce allo spirito celato. E il Corano, parla della difficile interpretazione delle sue parole, utilizza il termine tawīl, l’atto di far risalire, processo eguale e contrario a tanzīl.
La tradizione islamica ortodossa afferma che il Corano è eterno e l’eternità è un attributo della parola divina in sé, non delle sue manifestazioni terrene e eterno è ciò che è iscritto in un Corano Celeste, l’Umm al-Kitab simbolicamente detto la Madre del libro, di essenza incorruttibile, su cui Dio ha inciso la Sua parola in caratteri di luce, prima ancora dell’inizio del tempo. Si legge: Questo è un Corano glorioso, scritto su una Tavola custodita (85:21-22), vicino al trono divino, al di sopra del settimo cielo, al di là dell’universo creato: i destini di tutti gli esseri e la sintesi di tutte le scritture sono in lui. La sua intima natura: origine e norma di tutta la religione, la fede, la vita e il culto musulmano. Inimitabile, insostituibile ogni sua parola.
Il testo sacro dell’Islam contiene le rivelazioni (ashbab) di Dio al profeta Maometto e da questi trasmesse ai suoi discepoli tra il 609, prima rivelazione, e la morte nel 632. Graduale la redazione. Secondo la tradizione musulmana, Maometto non pensò a una raccolta organica delle rivelazioni, ma si limitò a trasmetterle oralmente ad alcuni compagni che le conservarono a memoria, poi le trascrissero su papiro e pergamena, all’epoca materiali rari e costosi e le affidarono infine a mezzi di fortuna, bacchette di palma, frammenti di coccio, scapole di animali, stoffe inamidate, divorati tutte dal tempo. Il testo canonico, unanimemente accolto da ortodossi e eterodossi, per iniziativa di Uthman, terzo califfo, fu fissato senza eccezione intorno al 650.
Per definire l’ispirazione profetica, il Corano usa wahy, secondo gli antichi dizionari arabi l’atto di significare qualcosa rapidamente, attraverso un enigma o una metafora, per mezzo di un suono incomprensibile, con un movimento del corpo o con l’uso di un’iscrizione. La tradizione ne ha tratto un principio, per cui essa può sorgere nel cuore, in stato di veglia o nel sonno, senza che sia percepita con un organo dei sensi, senza intermediari oppure è lo stato rappresentato dall’ascolto della voce di Dio, diversa da quella umana e udita solo dall’interessato attraverso un’unica e indescrivibile sensazione oppure attraverso la mediazione di un angelo. Interrogato un giorno su come percepisse la rivelazione, Maometto disse: Talvolta, e questo è il modo per me più penoso, sento un suono simile al tintinnio di una campanella, e quando questo finisce tutto ciò che la voce ha detto mi rimane nella memoria; altre volte, invece, l’angelo mi appare sotto forma d’uomo. Per i primi tre anni si dice fosse stato Serafiele, l’angelo che annuncerà la fine dei tempi, sostituito da Gabriele. La visione angelica era per me la più agevole, continua, perché Gabriele appariva con sembianze umane; le fattezze preferite si dice fossero quelle di un suo misterioso compagno dotato di tale bellezza che, quando usciva di casa, usava velarsi il viso. Tradizione vuole che l’arcangelo abbia trasmesso il Corano a Maometto secondo un’unica lettura possibile. Il Profeta, teso ad aiutare i suoi fedeli con un’ampia scelta, le ha fissate a sette letture varianti, tutte accettabili, recitate o scritte, tuttora insegnate nelle scuole religiose superiori. Due solo sono oggi usate nell’uso rituale: quella diffusa in maggior parte nell’Africa settentrionale a ovest dell’Egitto, e quella utilizzata con alcune varianti nel resto del mondo islamico.
Il Corano è diviso in 114 capitoli (sūre) di varia lunghezza, ad eccezione della prima (Fatiha), invocazione d’introduzione, ordinate in modo decrescente. Ognuna è divisa in versetti (ajat) dal significato di miracoli, segni visibili di una realtà trascendente, anch’essi di varia lunghezza, preceduti dalla formula: In nome di Dio clemente misericordioso. Le sūre sono distinte per fatto, argomento, destinazione o vocabolo chiave contenuto: sūra della Formica, del Pentimento, della Vacca, dell’Alba, del Pellegrinaggio… Dal luogo in cui furono proclamate, le sūre sono meccane, anteriori all’Egira e medinensi, posteriore all’Egira, hijra (rottura, distacco, emigrazione). L’Egira ricorda la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina, costretto a subire vessazioni e soprusi di ogni tipo. La sua proclamazione dell’unicità di Dio, la conseguente condanna del politeismo, la sua rivendicazione dei diritti dei poveri e il suo invito ad abbandonare le antiche tradizioni tribali gli procurano l’ostilità dei notabili della Mecca. La rottura dei rapporti con la città natale rappresenta la nascita ufficiale dell’Islam, anno zero della cronologia islamica. A Medina, con il potere religioso, Maometto conquista anche quello politico, attuando i progetti di creare un popolo islamico fondato sulla nuova fede e di comporre il Corano.
Il contenuto del Corano è di varia natura, disposto a caso e legato al criterio con cui si susseguono le sūre; i commentatori distinguono le diverse materie trattate: le sentenze o precetti (ahkam) sulla preghiera, digiuno, pellegrinaggio, eredità, matrimonio, ricompense, pene… ; le storie (quisas), cioè racconti biblici, leggende di provenienza talmudica, cristiana o profana; le esortazioni (mawaiz), incitamenti al monoteismo e alla penitenza, descrizione della fine del mondo e del Giudizio universale. Quanto allo stile, le sūre meccane, in genere brevi, sono più ricercate, veementi, gravi di ammonimenti e di minacce agli idolatri e agli increduli; le medinensi, lunghe e dettagliate, sono letterariamente meno efficaci, con tono pacato e misurato, tipico del linguaggio giuridico. La lingua è l’arabo chiaro, considerato modello irraggiungibile dai musulmani, di mirabile purezza e duttilità e, specialmente nelle sūre, di straordinaria varietà e ricchezza. È l’idioma della tribù Quraysh di Maometto, da lui elevato a dignità nazionale. La frammentazione dell’opera, l’eterogeneità degli argomenti, il difetto di ordine logico nella posizione del testo e la conseguente difficoltà di lettura e orientamento, hanno dato il via a un’enorme quantità di commentari, celebri quelli del X, XII e XV sec. Misura il commento basato su ciò che è stato riportato, attribuito alla ragione o quello basato sulla personale opinione, si legge. Maestro indiscusso di questo genere è stato Muhammad ibn Jarīr al-abarī (m. 923), persiano autore di un immenso commentario in 30 volumi con la sintesi dello scibile esegetico tradizionale: versetto per versetto, parola per parola, ogni tradizione per chiarire il senso del testo, le varie opinioni, anche contrarie, degli interpreti e le narrazioni di personaggi.
Il Corano, per i musulmani, non è qualcosa che vada letto come un qualsiasi libro, ma rappresenta un’icona, un oggetto sacro che pone nelle mani dell’uomo la parola di Dio perché sia recitata, meditata, vissuta. È da sempre il centro di gravità delle attenzioni dei fedeli, che si curano di maneggiarlo con il giusto riguardo, di intonare le sue parole con la vocalità più corretta, di trarne le giuste conseguenze sul piano dei comportamenti e soprattutto di capirne i profondi significati spirituali. Quest’attenzione ha dato vita alle scienze coraniche, discipline che curano le rigorose regole da osservare nell’accostarsi al libro sacro. Il testo ha un posto preminente nei rituali dell’Islam. I brani più lunghi sono recitati nelle preghiere quotidiane e in altre occasioni liturgiche; prevale la lettura sonora, se recitato per intero. Si dice che i compagni del Profeta leggessero l’intero Corano in una settimana, dividendone i contenuti in 7 parti di pari lunghezza, poi in 30 parti, indicate oggi da appositi segni e infine in 60 parti, la più frequente. Durante la lettura rituale, l’attenzione maggiore è data all’intonazione dei suoni e della voce.
La recitazione del Corano può essere compiuta senza ricorrere al testo scritto, ripetendolo a memoria, e il complesso delle norme che regolano la corretta pronuncia dei fonemi costituisce il tajwid una disciplina che comprende l’analisi dei luoghi di articolazione (makhμrij) delle singole lettere nelle 5 zone di emissione dei suoni: petto, gola, lingua, labbra e naso e vengono precisate altre parti ancora più distinte, per definire con la massima precisione il punto d’origine di ogni singolo suono. La conoscenza di queste articolazioni è essenziale perché le lettere alfabetiche, secondo la posizione nella parola e l’inizio delle lettere che la precedono o la seguono, possono modificare sensibilmente il suono. Il tajwid è un’arte complessa, riservata a una ristretta cerchia di specialisti, non per la maggior parte dei fedeli. A questa si aggiungono il tartil e il taghanni con le norme della salmodia, intonazione melodica della voce e modulazione vocale, arti predilette dai devoti, tuttora praticate in sessioni individuali o collettive, pubbliche e private. Si dice di ‘Alî: A proposito di ogni versetto, io so se è stato rivelato di notte o di giorno, nelle pianure o sulle montagne. È da queste tradizioni che gli interpreti hanno classificato i versetti, se rivelati di notte o di giorno, d’estate o d’inverno, quando il Profeta era in casa o in viaggio, seduto o addormentato.
Per la rivelazione, sono decisivi la comprensione del senso, la spiegazione dei termini più oscuri, la trama delle storie abbozzate e il significato dei simboli e delle metafore.
Un cenno particolare meritano i commenti di ispirazione mistica. L’idea di un Corano interiore, da leggersi in maniera non accademica ma puramente spirituale, è giustificata da un celebre versetto: Noi mostreremo loro i Nostri segni sugli orizzonti e dentro loro stessi finché sarà evidente per loro che questo Corano è verità (41:53). La parola di Dio è dunque in grado di lasciare l’orizzonte materiale e entrare nelle profondità dell’uomo, e sono i mistici del sufismo che si dedicano alla lettura del Corano come se fosse diretto a loro stessi, in una sorta di colloquio intimo e personale con Dio: ogni parola e ogni suono del libro deve provocare una risonanza interiore, facilitando il lavoro di trasformazione e di purificazione spirituale del lettore. I sufi prediligono il termine tawīl, l’atto di fare risalire la parola scritta al suo significato originario, è il senso anagogico (spirituale), definito come: l’elevarsi del cuore, grazie alla divina intuizione, sino a ciò che Dio ha inteso.
Alla fondazione della religione islamica si affianca la Sunnah (codice di comportamento), fonte privilegiata e testo di riferimento del pensiero giuridico, etico e sociale della ummah (comunità di seguaci). Nella concezione più pura, la Sunnah dà la tradizione normativa dell’Islam, espressione vivente della volontà di Allah e della vita di Maometto. Quando il Corano non porta alcun testo o è generico si ricorre alla Sunnah, raccolta di hadīth (racconti, detti, aneddoti, fatti, silenzi nel deserto, meditazioni, gesta, rivelazioni dell’arcangelo…) e seconda fonte della Legge islamica, in quanto normativa, illustrativa e integrativa nel sistema coranico e per la capacità di adeguare le sūre alla storia, fatto impossibile se l’ortodossia fosse ridotta alla sola rigida osservanza del Libro. Milioni sono gli hadīth classificati per affidabilità e per l’isnād (catena di trasmissione), elenco ordinato di coloro che hanno tramandato la tradizione vivente del Profeta, confermata dai suoi diretti seguaci.
La cultura islamica, dalla filosofia alla letteratura, dalla scienza all’arte, non è concepibile senza il Corano. La sua prospettiva teologica, dominata dalla autoritaria concezione monoteistica, il suo prepotente influsso sulla tutti gli aspetti della vita, corrispondono al suo carattere eminentemente direttivo che vede nell’unicità di Dio l’oggetto supremo della predicazione. In definitiva, esprime e realizza la devozione nella sottomissione a Lui, via della salvezza.
Nel Corano sono prescritti 5 obblighi di culto e 5 articoli di fede. Nel culto sono fondamentali: la professione di fede (Sahada), la preghiera rituale (Salat), l’elemosina rituale (Zakar), il digiuno di Ramadan (Ramadan) e il pellegrinaggio alla Mecca (Hagg). Non mancano prescrizioni di carattere morale (giustizia, misericordia, pietà, veridicità) e giuridico.
Per gli articoli di fede, in varie occasioni Lui dice: Voi che credete, abbiate fede in Dio e nel Suo messaggero e nel libro che Egli ha rivelato al Suo messaggero, e nel libro che ha rivelato prima. Chi rinnega Dio, i Suoi angeli, i Suoi libri, i Suoi inviati e l’ultimo giorno erra di un errore senza fine (4:136). Gli articoli di fede sono le basi imprescindibili di ogni credenza: Dio, innanzitutto: Attesto che non vi è divinità all’infuori di Dio, e attesto che Maometto è l’Inviato di Dio e poi i Suoi messaggeri angelici, i libri che ha rivelato, i profeti che ha inviato e infine il giudizio che attende gli esseri alla fine dei tempi. La teologia si completa nel disegno cosmologico che comprende angeli, demoni e Profeti. Alla figura di Gesù, l’Islam riserva un privilegiato ruolo messianico, mentre il Corano lo considera un profeta minore, escludendolo dai sette profeti venerati (Adamo, Abramo, Mosè, Davide, Salomone, Maometto, Gesù).
L’ultimo articolo di fede riguarda un tema toccato di frequente nel periodo meccano, quello del giudizio e dei destini finali dell’umanità: la distruzione del mondo, la resurrezione, il giudizio universale e le dimore ultraterrene. Si legge: Quando il sole sarà riavvolto, quando le stelle saranno offuscate, quando i monti saranno rimossi e le cammelle gravide abbandonate, quando i mari ribolliranno, quando le anime saranno appaiate e alla sepolta viva si chiederà per quale colpa era stata uccisa, quando le pagine si dispiegheranno, quando il cielo sarà dilaniato, quando la fornace si attizzerà e il giardino si farà prossimo… In quel giorno l’unico peso sarà la verità, e quelli che avranno le bilance pesanti, quelli saranno i fortunati, mentre quelli che avranno le bilance leggere, quelli saranno coloro che avranno perduto se stessi perché sono stati ingiusti contro i Nostri segni (7:8-9). Noi prepariamo bilance giuste per il giorno della resurrezione; a nessuno sarà fatto il minimo torto, anche le azioni come un granello di senape, anche quelle Noi metteremo nel conto.
In contrasto con questo scenario di dolore e disperazione c’è la dimora della pace (6:127), il giardino paradisiaco ove i credenti godranno le loro beatitudini, là dove scorrono Fiumi d’acqua incorruttibile e fiumi di latte dal gusto inalterabile e fiumi di vino delizioso a bersi e fiumi di purissimo miele (47:15). Ma la beatitudine più grande sarà la visione di Dio, che il Corano accenna appena. In quel giorno vi saranno volti radiosi, che guarderanno il loro Signore (75:22-23) E la teologia ortodossa lo ha sempre difeso come uno dei punti irrinunciabili del suo credo.
(consultazione: le coran– traduzione francese malek chebel, 2009; dictionnaire enciclopedique du coran – malek chebel, 2009; il corano – traduzione italiana gabriele mandel khan, 2013 – testo arabo integrale a fronte)