Aggiornato al 21/03/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Stabilimento Olivetti di Pozzuoli

 Clicca qui per ascoltare

 

In ricordo del prof. Federico Butera, scomparso il 10 febbraio scorso, volentieri pubblichiamo la relazione introduttiva all’incontro di presentazione del suo libro “Disegnare l’Italia” svolta dall’ ing. Massimo di Virgilio il 22 novembre 2023 presso la sede del CDTI in Roma.

 

Disegnare l'Italia - Prof. F. Butera

di Massimo Di Virgilio

 

Relazione introduttiva all’incontro:

“Disegnare l’Italia di F. Butera: una proposta olivettiana 5.0, progetti sociotecnici e patti per il lavoro per sviluppare organizzazioni e lavori di qualità” (Roma, 22 novembre 2023).

 

È per me un privilegio ospitare questo incontro che, nella impostazione programmatica del nostro Club rientra in un Ciclo di Seminari, con i quali vogliamo approfondire temi di specifico interesse con persone che per la loro biografia, i loro studi, le loro ricerche, i loro libri, il loro lavoro, si sono distinte producendo contributi importanti, degni, a nostro avviso di essere conosciuti, riflettuti e discussi; facendone dono, come compete ad una associazione come la nostra, a Soci e Simpatizzanti.

Questo fine è la ragione per cui abbiamo scelto come denominazione la parola “seminario” che, come chiarisce la sua etimologia latina “semen, seminis”, equivale a “semenzaio”, cioè un luogo, un vivaio in cui aiutare lo sviluppo del ‘seme’ del dialogo e della riflessione critica.

Questa è, per tutto il Club, una occasione speciale, perché l’ospite di oggi è il prof. Federico Butera, accademico, scienziato e studioso di “organizzazione”, che nella sua vita ha avuto il pregio di dare a questa disciplina non solo contributi teorici di altissimo livello, grazie a numerosi studi, pubblicazioni e articoli, ma anche molto concreti, prima nella sua attività manageriale e poi imprenditoriale, con consulenze, progetti e realizzazioni di assoluto rilievo.

Nel suo percorso, il Prof. Butera ha avuto il privilegio di cominciare a lavorare in una delle più belle aziende italiane, la Olivetti, collaborando da subito con personaggi molto importanti (e.g. Luciano Gallino), cui subentrò qualche anno dopo per dirigere un progetto di assoluta rilevanza come il change management dalla meccanica all’elettronica dell’azienda di Ivrea, un passaggio storico, per la sua complessità, della stessa portata della trasformazione digitale in corso.

Procedendo rapidamente, nel rispetto dei tempi schedulati in agenda, consentitemi di evidenziare con orgoglio che il Prof. Butera è uno dei membri del Comitato Scientifico del CDTI, cosa che naturalmente ci rende molto orgogliosi.

Tutto ciò detto, provvedo a svolgere la mia breve relazione introduttiva, presentando “Disegnare l’Italia”; parto, probabilmente in una modalità irrituale, estraendo da questo importante lavoro una serie di parole, espressioni, definizioni che ho avuto la fortuna di leggere nei suoi testi e di ascoltare in diverse occasioni dalla sua voce: “frantumi, lavoro, valore, sociotecnica, intendenza, anima dell’impresa, impresa integrale, impresa come organismo vivente, reti d’impresa, scrigno delle competenze, grammatica generativa delle reti, o metafore come «dal castello alla rete» (titolo di un suo libro), fino alle piattaforme e ai loro tornelli”. 

Un elenco che è anche un filo fatto di perle che egli dissemina (torna la parola ‘seme’) nel suo percorso, offrendoli non solo alla riflessione, ma mettendo tutta la dovuta attenzione nel ricomporli, strada facendo. Si sente forte l’influsso “olivettiano”, quando si riferisce all’anima delle imprese, utilizzando una espressione molto cara all’ing. Adriano, che lo collega in qualche modo anche ad un altro grande visionario, Elserino Piol, che abbiamo salutato pochi mesi fa e di cui abbiamo ricordato due libri molto importanti, il “Sogno di un’impresa” e “Per non perdere il futuro”. Federico è vissuto in una realtà aziendale diversissima da quelle alle quali ci siamo dovuti forzatamente abituare noi; il modello olivettiano esprimeva concretamente concetti, oggi colpevolmente dimenticati.

Pensate ad una affermazione come “dalle fabbriche di beni, alle fabbriche di bene”; chi oggi dovesse solo utilizzare una terminologia di questo tipo, rischierebbe di essere considerato, come minimo, naïf, per non dire altro; oppure “La concreta utopia”, come Franco Ferrarotti titola un suo testo, nel quale, in un passo molto significativo, si legge:” …l’imprenditore deve ricercare il profitto attraverso il volume generale prodotto e non sull’unità media prodotta”. 

Vale anche la pena ricordare, in un mondo che oggi si pone, forse strumentalmente, obiettivi di “sostenibilità ambientale”, la Olivetti dava concreti contributi già nel 1955. Il 23 aprile di quell’anno, alla inaugurazione dello Stabilimento Olivetti di Pozzuoli (Napoli), progettato dall'architetto Luigi Cosenza, Adriano Olivetti, nel presentare una "fabbrica verde", perfettamente inserita nell'ambiente che, con ampie vetrate, cortili, alberi, aree verdi, strutture per la biblioteca e la mensa, contribuisce a creare un ambiente di lavoro confortevole, diceva: "Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell'idea dell'architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. [...] La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell'uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza". Federico, giustamente annota un ulteriore importante passo di questo discorso: “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?”; domande che incidono sulla carne, se guardiamo la realtà attuale.

Tutto ciò è un pugno allo stomaco, perché, passati settanta anni (sic!), siamo costretti a domandarci chi sia responsabile dello scempio in cui la nostra società ha finito con il precipitare. Senza indulgenze, e senza girare intorno al problema, non v’è chi non veda che la responsabilità è di una classe dirigente (e non solo della politica, che pure ha sue grandissime colpe) inadeguata, ancillare rispetto ai canoni correnti, priva di capacità autocritiche, pronta a spiegare una quantità di nefandezze in nome di un malinteso primato economicistico. E, per non farci mancare nulla, non si può non considerare correa una opinione pubblica inetta, sempre frettolosa, disinteressata non solo al bene pubblico, ma paradossalmente anche a quello privato.

Federico si è sempre battuto contro queste derive, e, da scienziato, non ha mai disperso la sua azione. Prima di “Disegnare l’Italia” ha scritto trentotto libri e una infinità di articoli; in nessuno di questi ha speso righe generiche, ha sempre denunciato la “frantumazione non solo del lavoro e delle mansioni parcellari dell’industria, ma dell’intero sistema (mansioni, mestieri, professioni nel loro complesso); è stato inflessibile quando ha evidenziato che “le organizzazioni non hanno un modello chiaro e univoco e un sistema di regolazione, la scarsa qualità di gran parte dei lavori sembra il segno di questa svalorizzazione, la soddisfazione di chi ha un lavoro è ai minimi”. 

Queste “grida” sono sempre state sostanziate con analisi approfondite e proposte chiare. Disegnare l’Italia ne è una ulteriore prova, con pagine estremamente chiare, con affermazioni “forti”, come è nello spirito di Federico, quando ad esempio, già in esordio, senza reticenze dice che “purtroppo la popolazione degli innovatori nelle imprese, nella PA, nelle università, pur così importante, non è divenuta una classe che ha coscienza di sé e una «voce» sua propria; negli anni recenti sono stati largamente evocati, ma raramente attuati su larga scala, gli interventi e i progetti su materie alla base della crisi italiana, che sarebbero fondamentali per attivare forze endogene che consentano di uscire dalla crisi stessa”. 

Parole di una chiarezza esemplare che Federico non lascia sospese, ma dalle quali parte per prospettare soluzioni. Mi piace moltissimo, quando dice, come avevo già anticipato, che la questione organizzativa, il suo oggetto di studio di una vita, il suo faro e la sua bussola, non deve essere semplicisticamente ridotta a l’«intendenza che seguirà», ma deve essere l’oggetto di politiche dotate di opportuni investimenti e di programmi specifici per:

a. aiutare i distretti, le PMI, le PA, le organizzazioni del terzo settore a rigenerarsi;

b. lanciare un programma di ricerca intervento nazionale sulle nuove forme di organizzazione, tecnologia, lavoro;

c. promuovere una grande rete di scuole di organizzazione italiana multi-istituzionale;

d. lanciare e attuare programmi nazionali.

In questo libro, così come in tutti gli altri, e, in particolare, ne l’Italian Way of Doing Industry, Federico traccia la strada e suggerisce come fare, aborrendo maquillage comunicativi e greenwashing, come sprezzantemente li chiama lui; quando parla di processi di trasformazione seri e faticosi, riserva a manager e imprenditori una sferzata, una vera e propria ammonizione. Per queste ragioni parla di anima dell’impresa, di scrigno delle competenze, intendendo che la strada non è quella di cedere, assumendo il ruolo di “replicanti”, attributo, sia ben chiaro, che uso io, visto che lui non lo dice, anche se, con molta classe, suggerisce di mirare ad essere imprese integrali, cioè integre e integrate, oltre che durevoli. Più continui a scavare dentro la miniera di idee che il libro contiene, più ne apprezzi la profondità e la valenza.

A questo proposito, permettetemi di fare un inciso, ricordando che, nel 2021, ci proponemmo, come CDTI, dopo la costituzione del Comitato Scientifico, di lavorare alla preparazione di una proposta a sostegno dei progetti del PNRR; ci facemmo latori di una proposta al Presidente del Consiglio, ma non venimmo purtroppo ascoltati; tenacemente, non ci fermammo, ma ci impegnammo a ragionare su un programma articolato di interventi, che scandimmo con una articolazione in quattro fasi:

• semplificazione;

• organizzazione;

• formazione;

• digitalizzazione;

in una sequenza nella quale volutamente e consapevolmente, non ostante la nostra radice informatica, scegliemmo di collocare gli interventi tecnologici in coda, non per autolesionismo, ma per convinzione intellettuale e professionale, perché un vero e serio rinnovamento deve partire da una ordinata impostazione delle attività; mi preme, poi, in particolare evidenziare che le tesi del prof. Limone, che tenne il primo seminario sulla semplificazione e del Prof. Butera, il secondo, quello sull’organizzazione, centrarono il tema in maniera magistrale; l’accoglienza di tutti fu molto positiva, la partecipazione di dirigenti pubblici fu molto qualificata, ma purtroppo non riuscimmo, per nostre mancanze probabilmente, a raggiungere l’obiettivo.

Ciò non ostante, pervicacemente ci rimettiamo in marcia, sostenuti ulteriormente dalle sollecitazioni di Federico, del quale, vorrei richiamare, in conclusione, un altro concetto che trovo di valore assoluto, anche se sono costretto a tralasciarne però, purtroppo, molti altri, di cui il libro è ricchissimo. Da uomo d’azienda, sottoscrivo, con assoluta convinzione, la strategia delle reti d’impresa, non solo perché ho dato vita alla prima grande rete d’imprese del mondo ict romano, ma perché, non ostante il mio personale insuccesso, considero questa la strada maestra per molte organizzazioni industriali del nostro Paese. 

Federico, nel trattare questo argomento è magistrale, e lo dico con sincera ammirazione. È capace di sviscerare questa tematica, non solo da vero e proprio anatomista, mappando la realtà con uno scrupolo tipico del ricercatore, ma anche da fisiologo, perché è stato capace con grande rigore concettuale di svelarne tutti i meccanismi e le logiche di funzionamento. In un Paese come il nostro, probabilmente, questa è l’unica strada, e mi scuso se questa previsione può apparire presuntuosa, ma mi domando e Vi domando se, vista la realtà vera, fatta di microimprese, in maggioranza, e da piccole e medie imprese, possa esserci altra strada, se non questa.

Ma Disegnare l’Italia, ricchissima di tanti altri preziosi elementi, ha il coraggio di porre anche ulteriori importanti questioni: il sistema italiano può competere così o servono grandi imprese? Come evitare che con i vari decentramenti produttivi e con le catene di subappalto non si inducano subordinazione intellettuali, professionali e culturali? Come combattere il lavoro precario? Come garantire la sicurezza del lavoro? Come impedire infiltrazioni mafiose? Federico ha il merito di toccare i nervi scoperti di questo sistema ed ha la capacità di spiegare come si fa o, meglio, cosa si dovrebbe fare, consapevole, e noi con lui, quante siano, prima di tutto, le incrostazioni culturali, le resistenze, gli egoismi, le miopie, l’ignoranza, la presunzione di chi si affannerà a trovare le ragioni per non fare qualcosa, piuttosto che concentrarsi su quei punti (forse pochi) che potrebbero permettere di cambiare verso.

A questo punto mi fermo, certo che questo incontro sarà speciale.

Concludo, ringraziando tutte e tutti per la cortese partecipazione, naturalmente, Federico, l’ospite principale, cui passo la parola, e anche il prof. Limone, che sarà il primo ad intervenire dopo la relazione dell’autore.

 

Inserito il:20/03/2025 14:47:00
Ultimo aggiornamento:20/03/2025 18:59:23
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445