Madre di Dio Sedmizernaja-Smolenskaja - Scuola di Mosca - Prima metà del XVII secolo
Icona - Bellezza Divina (2)
di Giovanni Boschetti
“L’Icona evoca un archetipo, cioè desta nelle coscienza una visione spirituale…”
(P. Florenskij)
Spiritualità dell’Icona
L’Icona ha lo scopo di sollevare la coscienza al mondo spirituale, di mostrare “spettacoli misteriosi e soprannaturali” ed allora non sussiste più una cosa, ma una visione di Bellezza.
Scrive Pavel Florenskij: “Ecco, osservo le Icone e dico dentro di me - è Lei stessa, non la sua raffigurazione, ma Lei stessa contemplata attraverso la mediazione, con l’aiuto dell’arte delle Icone. Come attraverso una finestra vedo la Madre di Dio in persona e Lei prego, faccia a faccia, non la sua raffigurazione. Sì, è una tavola con dei colori ed è la stessa Madre del Signore.
La finestra è la finestra e la tavola dell’Icona una tavola, dei colori, della vernice. Ma alla finestra si contempla la stessa Madre di Dio, alla finestra appare la visione della Purissima. Il pittore dell’Icona me l’ha indicata. Sì, però non l’ha creata; egli ha tirato la cortina, ma Colei che sta dietro la cortina è una realtà oggettiva non soltanto per me, ma così per me come per colui che l’ha rivelata sia pure nell’empito della sua ispirazione.”
L’Icona evoca un archetipo, cioè desta nella coscienza una visione spirituale. Ed arriva il momento in cui la condizione spirituale di chi contempla le Icone da la forza di cogliere la sostanza spirituale e l’Icona rivive e compie la sua opera: una testimonianza intorno ad un mondo superiore.
Teologia dell’Icona
La teologia dell’Icona nasce fondamentalmente nel Concilio Ecumenico di Nicea II (787 d.c.) che ha deliberato sul culto delle immagini. La teoria delle immagini fu elaborata tra il 730 e l’843 d.c.
Il fondamento teologico delle Icone è l’Incarnazione. Gli iconoclasti sostenevano che non bisognava dipingere icone, né proporle alla venerazione dei fedeli, poiché in tale modo si favoriva l’idolatria. Come si poteva dipingere Dio dal momento che era invisibile? Per questo motivo anche l’Icona di Cristo non si poteva dipingere perché di Lui si poteva rappresentare solo l’umanità favorendo così il monofisismo (teoria che afferma l’unicità della natura di Cristo, cioè quella Divina).
Giovanni Damasceno, teologo e sostenitore delle Icone, risponde che è giusto non dipingere l’immagine di Dio, perché Egli è ineffabile, invisibile, infinito.
Tuttavia con l’Incarnazione l’Invisibile ha preso forma, quantità, dimensione, colori. Attraverso l’umanità di Cristo si manifesta la divinità. Quindi il riferimento essenziale dell’Icona conduce a Cristo, vera immagine del Padre e dello Spirito Santo.
Da una parte Cristo è immagine del Padre e dall’altra l’uomo è a immagine di Cristo. In Cristo quindi avviene la riconciliazione di queste due realtà: è l’uomo ad immagine di Dio; è Dio ad immagine dell’uomo. È quindi immagine perfetta di Dio e dell’uomo.
Da questo principio teologico si sviluppa il senso più profondo delle immagini di Cristo. È ormai possibile rappresentare Dio nelle sembianze umane. Anzi, è necessario rappresentare Cristo per confessare l’ineffabile mistero dell’Incarnazione.
La rappresentazione di questo mistero può essere fatta in due modi, in parole e visivamente. Quello che è parola nel Vangelo è il visibile nell’Icona.
Afferma San Basilio: - Quello che la parola comunica attraverso l’udito, il pittore lo mostra silenziosamente. -
Per cui l’iconografo non è colui che dipinge secondo la nostra concezione occidentale, ma colui che scrive Icone, ovvero colui che rende visibile la Parola della Rivelazione.
Si potrebbe dire che il pensiero religioso russo, a differenza di quello occidentale latino, si sia costituito non come teologia concettuale, ma come teologia visiva in cui la potenza dell’immagine è fondata sulla relazione inscindibile dell’immagine con la verità trascendente e rivelata nella storia di Cristo. Ciò apre la strada a concepire l’Icona come via all’unione mistica con Dio ed essa diventa momento dell’ascesi verso l’incontro deificante.
(continua)