Julia Tanner (from Woodlands, Totland Bay, England) - Formula one grand prix
La Olivetti vista con gli occhi di un dipendente - 10
Olivetti, De Benedetti e Ecclestone
di Rolando Argentero con Cesare Verlucca
Per gli appassionati sportivi non troppo approfonditi sull’argomento, dirò che l’ingresso della Olivetti in Formula Uno è legato alla sponsorizzazione della Brabham di Bernie Ecclestone (anno 1984). In realtà la società eporediese ebbe in precedenza una collaborazione tecnica con la mitica Ferrari di Maranello, che prevedeva un piccolo “logo” olivettiano sulla “rossa” da piazzarsi sul musetto.
Chi curava il tutto era la Direzione del dottor Renzo Zorzi, attraverso la persona di Pietro Bordoli prima, poi di Paolo Viti.
Lo spazio riservato alla Olivetti sulla Ferrari era minimo: una “O sbandierata”, a sinistra di chi guarda; pochi centimetri quadrati che si accompagnavano alle prime prove di cronometraggio e data processing che venivano svolte quasi contemporaneamente sui circuiti.
Ricordo che in quella fase venne coinvolto anche l’ingegner Franco Nosetti, grande appassionato di sport. Quest’ultimo e Bordoli un giorno si recarono a Maranello e, non so come, convinsero Piero Lardi Ferrari, il figlio del mitico progettista della “rossa”, a un cambio tecnologico più che favorevole: due piccoli computer, seppur avanzati tecnologicamente, in cambio della scritta Olivetti sul musetto.
Per dare un’idea al lettore, un altro fornitore che riceveva dal più al meno lo stesso spazio riservato alla società di Ivrea doveva pagare seicento milioni di lire all’anno alla Ferrari. Come riuscirono Bordoli e Nosetti a convincere i vertici di Maranello, onestamente non lo so, ma da allora con la “rossa” si stabilirono rapporti amichevoli.
Personalmente venni coinvolto in questa vicenda soltanto per gli aspetti stampa.
Ogni tanto il dottor Minardi mi esortava a diramare qualche notizia alle agenzie o ai giornali sportivi. Poi, alla vigilia del Gran Premio di Long Beach (California) del 1980, mi invitò a recarmi sulla pista vicino a Los Angeles per assistere al debutto dei computer Olivetti e a scriverne qualcosa sul giornale aziendale. Fu il mio primo incontro con mister Bernie Ecclestone, gran patron del “circo” della F1. Rientrai in Italia un po’ disorientato, ma anche eccitato: era un mondo nuovo per me, tutto da scoprire. L’esperienza, tuttavia, sembrò chiudersi lì.
Invece, già con l’entrata in Olivetti nel 1978 dell’ingegner Carlo De Benedetti, come vice presidente e amministratore delegato, venne data una spinta straordinaria al Gruppo: aumenti di capitale, nuovi prodotti, e l’azienda sembrò cambiare completamente volto.
Ed io, che ero in prima linea lavorando all’Ufficio Stampa, anche senza averne particolari meriti, mi trovai coinvolto in questo eccezionale tourbillon.
Nel 1985, anno ricco di iniziative sia in campo tecnologico che in campo culturale, De Benedetti mi convocò nel suo ufficio e, senza porre indugi, mi disse: «Lei conosce Bernie Ecclestone… – (mi ero infatti imbattuto in lui un paio di volte a Long Beach: ammesso anche che fosse quell’uomo dalla memoria straordinaria che dicevano avesse, come avrebbe potuto ricordarsi di me, incontrato con tanti altri su una pista della California, cinque anni prima? Evitai, tuttavia, ogni commento di fronte all’Ingegnere, e lo seguii attentamente), – …bene, gli telefoni e gli dica che gradirei avere con lui un incontro qui a Ivrea».
La richiesta mi sorprese, ma non azzardai domande: il boss era imprevedibile e sicuramente aveva le sue ragioni. Tornato in ufficio riferii il tutto al dottor Minardi, il quale si limitò a un commento sorpreso: «Mah! E tu esegui».
Cercai il numero di Londra, ed ebbi qualche difficoltà a farmi comprendere dalle sue assistenti a causa del mio non brillante inglese; invece Bernie, quando afferrò il telefono, si comportò da quella persona cordialissima che era.
«How are you? What do you want?» (Come stai? Cosa desideri?).
Cercai di farmi capire e di dirgli che l’Ingegnere avrebbe voluto incontrarlo a Ivrea, nel suo ufficio.
«Quando vuoi che venga?» fu la risposta che mi spiazzò.
Dovevo dirgli che prima mi serviva fissare una data con la sua segreteria.
«Bene, fammi sapere, anzi chiamami a questo numero» e snocciolò una sfilza di cifre corrispondenti al diretto della sua assistente.
«Sarà facile metterci d’accordo».
Era lunedì in tarda mattinata; richiamai un’ora dopo e l’incontro venne fissato per giovedì. A me toccò andare a riceverlo a Caselle (dove atterrò con il suo aereo privato), e accompagnarlo a Ivrea a Palazzo Uffici. Nel breve viaggio, Bernie cercava di individuare con me quali fossero le reali intenzioni dell’Ingegnere, ma onestamente non le conoscevo.
Fatte le presentazioni in ufficio, tentai di andarmene, ma De Benedetti mi fermò.
«Dove crede di andare? Lei resta qui con noi e ascolta, perché il discorso in parte la riguarda».
Prima non me ne aveva parlato, rimasi quindi un po’ sorpreso; comunque mi accomodai, cercando di capire al meglio il loro inglese fluent per non trovarmi poi nei guai.
Emerse così l’idea dell’ing. De Benedetti: entro pochi mesi era previsto il lancio di nuovi personal computer più performanti. Perché non farlo sponsorizzando una scuderia di Formula Uno?
In realtà, la Brabham non attraversava un periodo favorevole. Quel geniaccio di Gordon Murray, il progettista della vettura, aveva forse perso un po’ della sua verve, e lo stesso Bernie era troppo preso dalla gestione del circus per occuparsi del suo team. Ciò che serviva era un rilancio in grande stile e l’occasione Olivetti poteva servire a entrambi.
De Benedetti vedeva chiaramente nel futuro immediato e Ecclestone capiva la situazione. Si misero a discutere di cifre, poi l’Ingegnere, prima di suggellare il patto con una stretta di mano e incaricare la dottoressa Rosiello di preparare il testo dell’accordo, aggiunse: «Da questo momento lei, Argentero, avrà anche l’incarico di seguire questa sponsorizzazione e riferirà soltanto a me. Anzi, domani vada a Londra a rendersi conto del team perché dobbiamo cominciare presto a farci notare».
Le dimensioni cambiarono: dal piccolo logo sul musetto della Ferrari, allo spazio quasi intero sulla Brabham (da dividere con Pirelli, che si imbarcava con noi quale fornitore tecnico degli pneumatici) ce n’era di differenza. Così come sulle tute dei piloti che diventavano “Olivetti” e avevano obblighi nei nostri confronti.
La vettura lentamente migliorava sui circuiti e pur tra alti e bassi (tra cui la morte per un incidente in prova di Elio De Angelis, sul circuito di Le Castellet in Francia), riuscì anche a vincere qualche gara; e la prima avvenne proprio a Le Castellet, nel 1985, con il brasiliano Nelson Piquet, uno dei piloti più talentuosi.
Era ciò su cui puntava l’ingegner De Benedetti che, nel frattempo, aveva lanciato con successo sul mercato i nuovi personal computer; e ancora una volta si poteva dire che aveva individuato la prospettiva giusta.