Aggiornato al 25/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Paul Klee (1879-1940) – Disegno scelto da Calvino per la copertina de Il Cavaliere Inesistente

ITALO CALVINO


30 anni fa, esattamente il 19 settembre 1985, moriva improvvisamente a Siena per un ictus, lo scrittore Italo Calvino.
Da Santiago de Las Vegas, nell' isola di Cuba, dove era nato nel 1923, due anni dopo la famiglia torna in Italia e si stabilisce a San Remo. Allo scoppio della guerra Calvino si avvicina al Pci e partecipa attivamente alla Resistenza.
Nel 1946 comincia a gravitare intorno alla casa editrice Einaudi e un anno dopo si laurea in Lettere con una tesi su Joseph Conrad.
In quegli anni collabora alla rivista “Il politecnico”, fondata nel 1945 da E. Vittorini a Milano e uscita con varia frequenza fino al 1947.
A partire dal 1950 è assunto all' Einaudi come redattore, lavoro che svolgerà molto a lungo, continuando, anche dopo aver raggiunto la fama, a svolgere attività di consulenza.
Nel 1959 aveva fondato assieme a Elio Vittorini “Il menabò”.
Collaboratore del “Corriere della Sera e poi, fin dalla fondazione, di “Repubblica”.
Dai moduli neorealistici del suo primo romanzo sulla resistenza (“I sentieri dei nidi di ragno”, 1947) passò a una trasfigurazione della realtà con allegorie paradossali e amare della società e della condizione umana : “Il visconte dimezzato”, 1952; “Il barone rampante”, 1957 e il “Cavaliere inesistente”, 1959; raccolti nel 1960 nel volume “I nostri antenati”.
Seguono nel 1963 “Marcovaldo” e “La giornata di uno scrutatore”.
Nel 1965 “Le Cosmicomiche” inaugurano una nuova maniera narrativa, continuata nel 1968 da “Ti con zero”.
Una ulteriore svolta si registra nel 1969 con “Il castello dei destini incrociati” (ripubblicato nel 1973 insieme a “La taverna dei destini incrociati”) e con “Le città invisibili” (1972).
Nel frattempo esce, nel 1970, la raccolta di racconti “Gli amori difficili”.
Nel 1979 viene pubblicato “Se una notte d' inverno un viaggiatore”, definito “un romanzo sul piacere di leggere” da Calvino stesso, il quale parallelamente andava coltivando il redde rationem autobiografico di “Palomar” (1983), nonché, postumi, “Sotto il sole giaguaro” (1986) e “La strada di San Giovanni” (1990).
Fu attivo nel dibattito culturale e letterario anche con i volumi saggistici “Una pietra sopra”, 1980; “Collezione di sabbia”, 1984 e “Lezioni americane”, uscito postumo nel 1988.
Molto importante la raccolta di “Fiabe italiane” curata da Calvino nel 1956.

Quale commosso omaggio alla memoria del nostro grande scrittore, scomparso 30 anni fa, ho chiesto a mia figlia Adria, che su “CALVINO: «GRIMM» ITALIANO” aveva presentato la tesi di laurea presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell' Università degli Studi di Bari, di consentirmi di rendere più profondo il ricordo dell' autore delle “Fiabe italiane”, aggiungendo al mio odierno Almanacco Letterario quanto da lei pubblicato nel 1989 su NUOVE EFFEMERIDI - rassegna trimestrale di cultura - nella rubrica Archivio, a commento della fiaba “Gràttula-Beddàttula nella versione originale in vernacolo di Giuseppe Pitrè e di quella in lingua di Italo Calvino.
Ovviamente, Adria ha risposto positivamente, plaudendo all' iniziativa, e, quindi, buona lettura a tutti i fedelissimi di NEL FUTURO!

Articolo estratto dalla Tesi di Laurea “CALVINO: « GRIMM » ITALIANO”, di Adria Tomasino pubblicato su:
NUOVE EFFEMERIDI – rassegna trimestrale di cultura – Anno II, n. 7, 1989/III – Sezione Archivio.   

La scomparsa di Italo Calvino ha avuto quanto meno l' effetto di far tornare a leggere quest'autore con una certa attenzione.
Così, se da un lato continua la pubblicazione di molti inediti che lo scrittore ligure ha lasciato nel cassetto, o la ripubblicazionedi sue opere spesso trascurate da critici e lettori (di recente i diritti dell' opera omnia sono stati ceduti a Mondadori), da un altro lato si accumulano studi e simposi in suo onore che cercano di far luce su una personalità poliedrica e affascinante qual era quella dell' autore di “Palomar“.
Tra gli studi più recenti ricordiamo: “Narratori dell'invisibile. Simposio in  onore di Italo Calvino”, a cura di Beppe Cottafavi e Maurizio Magri (Mucchi, Modena 1988); “Italo Calvino. Atti del Convegno internazionale”, a cura di Giovani Falaschi (Garzanti,Milano 1988);  “Italo Calvino. La letteratura, la scienza, la città”, a cura di Giorgio Bertone (Marietti, Genova 1988).
Anche il rapporto tra il lavoro letterario di Calvino e la tradizione folklorica delle fiabe italiane inizia ad essere studiato con più cura, al di là di ingenui entusiasmi o di ritrosie accademiche. La pubblicazione antologica degli scritti calviniani “Sulla fiaba” (Einaudi, Torino 1988) - a cui bisogna aggiungere l'intervento dello stesso Calvino in onore di Giuseppe Cocchiara, che abbiamo presentato nel n. 4 di “Nuove Effemeridi” - ha da questo punto di vista agevolato la rilettura dei suoi molteplici interventi in materia. Un recente incontro di studio ha fatto un primo bilancio sull' argomento (“Inchiesta sulle fate. Italo Calvino e la fiaba”, a cura di Delia Frigessi, Lubrina, Bergamo, 1988), che merita comunque ulteriori approfondimenti.
E' per questo che collochiamo nel nostro archivio due versioni - la trascrizione di Pitrè dal siciliano e la riscrittura italiana di Calvino - di “Gràttula-Beddàttula”, variante locale della celeberrima “Cenerentola” diffusa in molti paesi europei e in molte regioni italiane.
(«Non v'è traccia qui - scrive Calvino nella sua antologia - del patetico moralismo della sorella reietta come in Perrault e in Grimm, ma tutto diventa un gioco di fantasiose meraviglie»).

Calvino: ancora sulle fiabe

«Le fiabe - afferma Calvino nell' introduzione alla “Fiabe italiane” - sono vere […] sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi». L'universalità delle fiabe è nella loro etica, in un comune atteggiamento nei confronti del mondo, nel loro contenuto di verità e di umanità, oltre che nella pressoché invariata ripetizione di temi e motivi. La magia della fiaba, struttura narrativa breve e stupendamente completa, la sua dote di sintesi, la logica essenziale, il ritmo, la sua età indefinibile, che la circonda di un'aura mitica, colpiscono Calvino e determinano la sua predilezione per il genere.
Ancora, Calvino è ammaliato dalla “doppia esistenza” della fiaba. Quest'ultima è infatti, per definizione, creazione fantastica, che tuttavia al tempo stesso rispetta una struttura talmente rigida da apparire quasi meccanica; nutrimento della fantasia, ma al contempo trasmissione di ciò che è vero e giusto; schema di azione immanente in una dimensione che resta temporale.

All'inizio del “viaggio” nel mondo della fiaba, in una full-immersion destinata a durare due anni, intrapresa in seguito all'incarico affidatogli da Einaudi di raccogliere in un corpus organico le fiabe popolari italiane, incontriamo un Calvino «neanche munito di quella bombola di ossigeno che è l'entusiasmo», che lascia tuttavia progressivamente posto ad insaziabile curioso, catturato sempre più dalla natura tentacolare della sua materia.
Attenzione, però, a non farsi ingannare dall'idea di un Calvino aspirante demologo. Quell'immersione è piuttosto da intendersi come immedesimazione nella dimensione fiabesca, come momento preparatorio dell'attività creativa, evocazione di una atmosfera incantata, condizione indispensabile per appropriarsi della materia stessa e ricrearla.
Raggiunto il pieno possesso della natura e della logica interna della fiaba, Calvino si costruisce di essa un modello ideale, fatto di precisi stilemi, cui informa in maniera più o meno costante il proprio intervento sulle fonti.
Fra i caratteri di tale modello vanno innanzitutto ricordati la predilezione per il tempo passato, che dà spazio ad una prosa meno orale e concitata, più attenta al contesto “reale” e più esplicativa (ciò comunque nel rispetto della simmetria, della schematicità interna, del disegno geometrico che a volte si evince anche dalla forma del testo stampato), e poi l'uso del numero tre come modulo narrativo che spicca al di sopra di altre cifre-formula della narrazione popolare, come il sette e il dodici, la concezione dei personaggi come tipi, le iperboli, spesso in forma standardizzate. Calvino usa, poi, una lingua letteraria colta, sebbene elasticizzata e colorita da luoghi e immagini dialettali, fitta di iterazioni con funzione prevalentemente stilistica.
La sua sintassi è chiara e scorrevole. Egli fa spesso uso del discorso diretto, anche in forma di dialogo, e a volte di filastrocche o semplici rime.
Sono stilemi che ritroviamo già nel modello classico dei Märchen dei Grimm. Con la stilizzazione grimmiana simpatizzano poi altri interventi messi in atto da Calvino, come ad esempio la costruzione della versione più “completa” di una determinata fiaba tramite la contaminazione di due o più varianti; l'eliminazione di imprecisioni, di non sensi; la sostituzione di contrasti deboli, poco evidenti, con altri netti, più efficaci; la rielaborazione o l'eliminazione di immagini ed espressioni poco adatte alla mente infantile; l'intervento sulla funzione del narratore che viene notevolmente ridotta; il risalto conferito a caratteri che meglio definiscono il ruolo di un personaggio all'interno della narrazione.
Il Calvino che forse più è amato si ritrova soprattutto nel criterio di scelta dei titoli: spesso trasforma o sostituisce interamente il titolo originario di un racconto con uno nuovo, non ricavato dal nome del protagonista o dalla trama, ma scelto per originalità e potenzialità di evocazione. Tra le siciliane, Lu Piscaturi diventa Balalicchi con la rogna, Lu principi di Messina diventa La sposa che viveva di vento, Lu Re di Napuli  diventa La penna di hu; e, tra le altre, Le diamant diventa L'uomo che viveva solo di notte, La vendetta diventa Gobba, zoppa e collotorto, e così via.

Un giudizio obiettivo sull'operazione compiuta da Calvino è possibile solo se si vede nella giusta luce il ruolo svolto nella genesi della raccolta dall'influenza esercitata su lui da Giuseppe Cocchiara. Le posizioni di questo studioso fanno costantemente capolino nella ricca e celebrata introduzione alla raccolta ed è attraverso il suo giudizio sui  Kinder-und Hausmärchen che Calvino vuole ergersi a “Grimm italiano”. Nel '52, in Storia del folklore in Europa, Cocchiara scriveva: «I Grimm erano convinti di aver trovato il linguaggio popolare. In realtà avevano trovato il loro linguaggio. E da un impegno filologico, che era un errore di metodo, era nata un'opera d'arte». Cocchiara tendeva a recuperare il valore della folkloristica di fine '800, riconoscendo ai metodi e ai risultati di questa il massimo della scientificità. Peraltro, nella sua ottica, la “fedeltà” con cui i Grimm avevano operato risultava comunque intervento arbitrario sulla tradizione più autentica.

Ridimensionato così il valore filologico intrinseco dei due studiosi-favolisti tedeschi, la cui autorità rimane indiscussa, e valutatone il risultato, Calvino fu incoraggiato ad affrontare con disinvoltura una materia di cui non era certo esperto e ad ancorare la propria rischiosa impresa a quel prototipo straniero di diffusione universale.
Ma al fine di valutare ancor più a fondo l' “ibridismo” dell'intervento calviniano sui modelli originali (peraltro tutte fonti scritte), interessante e fecondo risulta il confronto con i modelli stessi.
L'impressione globale che se ne ricava è che il cosiddetto “spirito dei luoghi” non sia stato poi rispettato tanto quanto l'autore prometteva nell'introduzione. Paradigmatico risulta l'esame dell'intervento operato sulle fiabe siciliane di Pitré che, insieme alle novelle montalesi di Nerucci, rappresentano il patrimonio più cospicuo e pregiato cui Calvino ha attinto.

Al di là della forma che in Calvino si fa meno grezza e ingenua  che nell'originale, nell'elaborazione totale o parziale di determinati elementi stilistici e nell'inserimento di altri estranei, la narrazione acquista una dimensione estetica e culturale alquanto distante dal testo-fonte. L'elemento cardine nei racconti di Pitré, il narratore, viene ridimensionato, se non addirittura escluso. Da ciò la perdita di tutti quegli elementi di drammaticità e immediatezza della dimensione orale del racconto, che fanno capo proprio al personaggio del narratore.
Quelli di Pitré sono la fedele registrazione del dettato orale; è dunque naturale che, accanto alle introduzioni del narratore sotto le diverse forme di giudizio, allusioni, correzioni, interiezioni, ecc., essi presentino persino nella logica delle imprecisioni, difetti da cui solo l'occhio attento del lettore può accorgersi, ma che l'ascoltatore raramente può cogliere nell'esposizione orale, ricca di elementi comunicativi ed esplicativi.
La narrazione in Calvino si fa dunque meno parziale e acquista una dimensione più autonoma. L'eliminazione di alcuni elementi, la trasposizione di certi modi di dire in lingua italiana, spesso con l'uso di immagini e luoghi verbali estranei alla tradizione isolana, generano nelle Fiabe italiane una sensibile perdita di contenuto culturale, di specificità folklorica. E Calvino stesso ne è cosciente: «quante volte mi sono trovato di fronte ad una pagina vernacola che tradurre equivaleva ad uccidere».
Può accadere così che nella fiaba 169, “Le nozze di una regina e di un brigante”, “Settimo” (nome proprio del figlio settimo genito, cui la credenza popolare attribuisce poteri magici) diventi “Settimino”, che implica tutt'altro significato; e ancora nella fiaba 163, “I tre racconti dei tre figli dei tre mercanti”, la signora scelga il pretendente che narra la storia più terribile suscitando in lei sgomento, mentre nella versione originale il sentimento che determina la scelta è di tutt'altra natura, e cioè la compassione per il ”mischino” perseguitato dalla sorte.

Al di là di tali considerazioni bisogna però non trascurare il fatto che Calvino si trovò di fronte ad una gran mole di materiale eterogeneo da considerare: raccolte in dialetto, in lingua popolare, in italiano, in francese, riportate fedelmente o rielaborate sotto l'influsso di diversi orientamenti di idee e di scopo. Egli dunque cercava un'unità interna, una coerenza che ponesse sullo stesso piano le narrazioni di diversa provenienza regionale, per farne un libro unico ed armonioso. Calvino tendeva a realizzare un'opera omogenea e scorrevole, di piacevole lettura, a infondere la materia di uno spirito comune, anche al fine di dar corpo all' aggettivo “italiane” del titolo, e affermando un principio di totalità culturale sovraregionale. Tale impresa si inseriva infatti in un contesto storico-culturale determinato, quello della neonata Repubblica Italiana, ed in questa dimensione nazionale trovava la propria ragione d'essere.
Il metodo di Calvino si distacca dal rigore dottrinario, dalla indefettibile acribia dei due eruditi tedeschi, tesi a conferire piena identità storica e teorica ai loro Mârchen; tuttavia la sua opera si colloca, come questi ultimi, tra la tradizione narrativa orale popolare e i racconti colti. Essa, come, allora i Kinder- und Haus-mârchen per lo spirito nazionale tedesco, era e rimane una risposta alle aggressioni dilaceranti al principio di totalità etnica e culturale.
Calvino si fa interprete di un gusto nazionale, di un'italianità minacciata dalla storia.   

 

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Inserito il:21/09/2015 08:08:49
Ultimo aggiornamento:05/10/2015 09:23:51
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