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Le polpette
di Giorgio Domenico Cortese
Le polpette le troviamo in ogni angolo del mondo e ce ne sono veramente per tutti i gusti e per tutti i palati, un piatto cucinato da secoli e che dal Seicento in poi è stato sinonimo di cucina casalinga e povera perché raccoglieva il poco che era rimasto nelle case delle famiglie meno agiate di un tempo. Le polpette fatte con gli avanzi, hanno acquisito la nomea ingiusta di piatto rozzo.
Ma questa etichetta è stata rivista negli ultimi anni, particolarmente attenti all’economia del riuso anche in cucina: le polpette infatti permettono di riciclare tutto il riciclabile e quindi di limitare gli sprechi. Inoltre questo piatto sta mostrando di adattarsi come pochi altri alla fusione di sapori e ingredienti tipica del mondo globale.
Così, accanto alla polpetta tradizionale di carne o al massimo di pesce, troviamo quella etnica, quella creativa, quella che accontenta vegetariani e pure vegani fino ad arrivare alle versioni dolci con cui chiudere i pasti. Nulla di nuovo, perché le polpette un Dna multietnico lo hanno sempre avuto.
Le polpette tipiche dell’area mediorientale vengono chiamate kofta, una parola che deriva dall’antico persiano koofteh, carne pestata. Secondo alcuni questo alimento avrebbe incontrato i gusti degli Arabi che conquistarono le terre persiane nell’VIII secolo. Gli Arabi le avrebbero poi diffuse nei territori occidentali del Mediterraneo con il nome di al-bonadiq. Non a caso, in Spagna, possedimento arabo per secoli, le polpette sono chiamate albondigas.
Chi non concorda con le origini arabo-persiane del nostro piatto fa invece riferimento al De re coquinaria, celeberrimo ricettario del romano antico Apicio, vissuto nel I secolo d.C.
Lui le chiamava esicia omentata ed erano fatte di carne tagliata fine, mescolata a vino rosso, bacche di mirto e garum, il condimento tipico dei romani, il tutto avvolto in una membrana di maiale.
Più certezze si hanno sull’origine latina della parola polpetta, da “pulpa”, carne senza osso. La prima attestazione della parola polpetta.
In un ricettario italiano la troviamo nel Libro de arte coquinaria, scritto intorno al 1400 o pestatura, cioè tagliata fine o pestata nel mortaio fino a ottenere una massa da mescolare agli altri ingredienti. In quei secoli lontani la polpetta era però un cibo per ricchi. I nobili natali del nostro piatto erano dovuti all’uso delle parti magre e senza osso della carne, vero lusso per l’epoca.
Le polpette erano tra i piatti preferiti da Alessandro Manzoni, che non a caso ne scrive nei Promessi Sposi. Quando Renzo si trova a cenare a Milano, l’oste gli promette: “E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate”. L’episodio ci fa capire come la polpetta avesse raggiunto i ceti popolari, che la preparavano con poca carne e più pane raffermo o magari patate lesse.
La popolarità conquistata venne formalizzata da Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” del 1891: “Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano”.
Una curiosità il Futurismo si interessò anche di alimentazione e nel 1931 il poeta Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il Manifesto della Cucina futurista, rielaborazione in chiave gastronomica del Manifesto del Futurismo.
Convinzione dei futuristi era che si dovesse procedere all’eliminazione della pastasciutta, all’abolizione di forchetta e coltello, alla sostituzione delle ricette della tradizione.
Nel Manifesto Marinetti propone anche una elaborata ed enorme polpetta, detta Carneplastico, così descritta: “Il Carneplastico creato dal pittore futurista Fillìa è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di qualità diverse di verdure. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere di carne di pollo”.
Io non lo so se esiste la felicità, so però che esistono le polpette.
Già, le polpette dovrebbero avere le ossa in modo che si possa tenere il conto di quante ne mangiamo.