Paul Flickinger (Colmar, Alsazia, 1941 - ) - L’amitiè
Il baule dei ricordi. Una grande amicizia
di Gianni Di Quattro
Lavoravo alla Olivetti e facevo il venditore (selezionato come neo laureato, avevo altri sogni, ma la realtà spesso riesce ad essere dura), mi avevano fatto cambiare diversi ruoli (zonista, specialino, venditore scuole) e filiali (Genova, Roma e Milano) e cominciavo a pensare che forse avrei potuto farcela perché vedevo che riuscivo a vendere e a portare i risultati che erano richiesti. Cominciavo ad apprezzare l’organizzazione commerciale dell’azienda che consideravo geniale e che, seppi dopo, si doveva a Ugo Galassi, il vero artefice insieme ad Adriano Olivetti del successo di questa straordinaria azienda, senza nulla togliere ai progettisti di Ivrea e, in particolare, a Natale Cappellaro, quello della Divisumma.
Dopo poco più di due anni tuttavia mi sembrava che il mio futuro nella azienda fosse compromesso perché su di me pesava un giudizio negativo espresso da Guido Alessandri, direttore della scuola di Firenze, uomo potentissimo e molto ascoltato e che non riuscivo a scrollarmi di dosso, malgrado sforzi e impegni. Ero in ansia perché mi seccava tornare a Palermo con una sconfitta e senza il lavoro, fondamentale per la mia famiglia.
Mentre questi tristi pensieri affollavano la mia mente sono stato dall’azienda convocato per un colloquio con Elserino Piol, capo del settore commerciale della nascente attività della azienda nel campo degli elaboratori elettronici (gli Elea).
Piol mi fece una grande impressione e divenne da quel momento un mio rifermento umano e professionale ed a lui sono ancora legato da profonda amicizia.
Non ho mai saputo ovviamente se quella opportunità mi venne offerta per togliermi di mezzo dalla struttura commerciale tradizionale (una idea del personale per seguire il consiglio del potente Alessandri) o per offrirmi veramente una opportunità, personalmente propendo purtroppo per la prima ipotesi.
Comunque passai al settore elettronico, feci il corso e cercavo di fare il mio dovere come meglio potevo, mi mandarono a Valdagno a fare un lavoro di programmazione e poi a Roma a fare un lavoro commerciale o meglio quasi commerciale perché assistevo qualcuno che lo faceva, e infine a Milano.
E a Milano conobbi tanti amici e tra di essi Marisa Bellisario.
Io cercavo la mia strada, cercavo di capire se riuscivo a fare il lavoro che volevano da me, ero solo, facevo amicizie e cercavo di conoscere e di vivere quella favolosa Milano degli anni 60.
Marisa arrivava dalla provincia piemontese dopo una laurea a Torino e anche lei cercava di capire il suo futuro, devo dire onestamente e a distanza di tempo lo faceva molto meglio di me sotto tutti i punti di vista.
Siamo diventati amici, di quelli che si fanno compagnia, si raccontano i sogni e le speranze, le storie passate e i pensieri di oggi, stavamo insieme tutte le sere mangiando insieme in trattoria e passando insieme i week end (cinema, passeggiate, amici, teatri).
Marisa aveva legato intanto con un’ amica e che tale rimarrà per tutta la sua vita, la Paola che divenne poi la moglie di un caro e bravo collega, un grande creatore di scenari, un inventore di immagini, e si era pure innamorata perdutamente di un uomo sposato e che poi dopo una storia difficile riuscirà a sposare, il comune amico Lionello (io c’ero come testimone).
La trattoria dove andavamo quasi sempre (Alla Bella Toscana in Via Larga) era gestita da una simpatica famiglia che ci trattava benissimo (e ci faceva credito) con la quale sia io che Marisa abbiamo poi stretto amicizia.
Una volta tuttavia io ho rischiato di essere odiato per sempre, perché una sera Marisa piangeva molto davanti a me pensando al suo amore difficile, mentre io giravo gli spaghetti (quelli della signora Lina con il punto di cottura rimasto insuperato) con aria tranquilla e la famigliola non accettava il mio cinismo mentre una biondina carina mi piangeva davanti.
L’amicizia con Marisa è durata molto, è stata una componente della mia vita per decenni, ed entrambi avevamo l’abitudine di sentirci e di consultarci tutte le volte che uno dei due doveva prendere una decisione importante.
Ho seguito la sua splendida carriera fatta superando diffidenze, a lei sono sempre toccate situazioni difficili che superava perché era semplicemente molto brava, capace, determinata, educata, compresa del proprio dovere sempre.
La sua perfomance migliore, a mio modo di vedere, rimane il periodo in Olivetti dal 72 al 78 quando si misurò con l’appoggio di un grande amministratore delegato, Ottorino Beltrami, e un manipolo di bravi collaboratori con la trasformazione di una grande impresa come la Olivetti dalla meccanica in elettronica.
E ci riuscì, riuscì dove forse pochi altri sarebbero riusciti.
Un’ impresa di cui poco si parla nel nostro paese dove invece si parla troppo di banalità o di personaggi mediocri.
E pensare che Carlo De Benedetti quando arrivò in OLivetti la mise in condizioni di andarsene per mettere al suo posto il fratello!
Della mia amicizia con Marisa mi ha sempre colpito il fatto che i nostri rapporti siano rimasti uguali anche dopo che lei era diventata un protagonista nel paese ed io ero rimasto dove ero.
Non ha smesso di aiutarmi, di consigliarmi, di seguirmi. Questo fatto denota la sincerità, la profondità del suo sentimento che era ricambiato con entusiasmo. Un sentimento che ci ha accompagnato sino purtroppo alla sua prematura morte (e io c’ero e poi l’ ho accompagnata sino al suo piccolo cimitero di Ceva).
L’amicizia per Marisa è stata ed è per me l’amicizia senza ombre ed aggettivi ed il suo rimpianto è ancora vivo anche se sono passati tanti anni dalla sua scomparsa.
Perché lo racconto? Perché mi aiuta a ricordare, e ricordare mi aiuta a capire che il mondo e i sentimenti possono essere belli.