Amedeo Preziosi (Malta, 1816 - 1882) - Cimitero sul Lago
Il silenzio parla a chi lo ascolta
di Annalisa Rabagliati
Era calmo nel crepuscolo il lago, circondato da una striscia di bassa montagna scura.
In lontananza il sole, fuggito dietro le alte cime innevate, lanciava un ultimo riverbero, mentre il cielo, di un azzurro terso, stava per scurirsi a poco a poco. Quattro barche con le vele ripiegate, pronte per il riposo notturno, erano l’unica testimonianza umana. Non c’era un movimento né sulla riva, né nell’aria, a parte tre ultime folaghe che volavano verso il rifugio, mentre gli altri uccelli ciarlieri avevano placato la loro voglia di compagnia. Un silenzio maestoso dominava il paesaggio.
Agnese era assorta nella contemplazione e assaporava il piacere di quel silenzio, tanto da non sentire il freddo della sera invernale.
“Forse perché della fatal quïete tu sei l’imago a me sì cara vieni o sera …” Le tornarono in mente, come se li avesse scritti lei, questi versi studiati da ragazzina, i più adatti a quel momento e a quel panorama.
Amava il silenzio: più invecchiava e più lo cercava ed era sempre più difficile che si creasse quell’atmosfera di pace, quell’effetto calmante che ti faceva essere un tutt’uno con la natura. Si aspettava che da un momento all’altro qualche motore venisse a spezzare l’incantesimo, ma per un’insperata fortuna non fu così e poté godere a lungo di quelle sensazioni. Percepiva dietro di sé la presenza muta di Alessio, marito e compagno, con cui da tempo non vi era un dialogo profondo.
Si scambiavano solo informazioni : che cosa c’è da comperare oggi … ci sono da pagare le bollette … ecco dove andare domenica … A lui questo bastava, ma non era quello che voleva lei. Così Agnese aveva deciso di fare come il marito, che era capace di non parlare in modo vero per giorni, per ripagarlo della stessa moneta. Ma gli uomini, si sa, non hanno la sensibilità delle donne e forse Alessio non si era nemmeno accorto di quella guerra non dichiarata.
Avevano trascorso il pomeriggio in un camposanto di montagna, strana meta per passare un giorno festivo, ma lui ci teneva ad andare a trovare un suo amico morto di leucemia che giaceva là, abbandonato in una tomba ricoperta di rovi. Avevano portato cesoie, stracci e fiori freschi e si erano dati da fare per sistemarla, estirpando le erbacce e potando i rami di una siepe di bosso cresciuti in modo selvaggio. Lui tagliava e lei ripuliva e, alla fine, la tomba aveva assunto un aspetto decente. Poi Agnese aveva tentato di pregare per il defunto, ma si era accorta di riuscire a farlo solo in modo superficiale. Il marito era ateo dichiarato e non si poneva questo problema, però la sua preghiera era l’occuparsi di un amico mancato troppo presto, dimenticato dal mondo, nonostante avesse fatto una bella carriera grazie agli studi. Ora l’unico che si ricordava del poveretto era Alessio, che veniva a fargli visita tre o quattro volte l’anno.
Agnese sapeva che il suo compagno era un brav’uomo, anzi, la persona migliore che avesse mai conosciuto e non si capacitava che tra loro le cose dovessero andare così. Continuava a porsi ossessive domande sul loro stare insieme anche mentre, osservando le lapidi del camposanto e leggendo i nomi di tanti deceduti alle età più diverse, non poteva che riflettere sul nostro destino di umani. Che senso ha stare al mondo e poi finire miseramente? Certo, si ripeteva con rassegnazione, l’unico scopo della vita è, come per tutte le creature, amare e cercare di riprodursi e lei e il suo compagno lo avevano fatto. Ma questo era sufficiente per dirsi soddisfatti?
Alessio le offriva il supporto di una presenza costante, ma diversa da tutto quello che Agnese aveva sognato: il compenetrarsi a vicenda, il parlare senza pudori, la completezza di un rapporto nato dall’incontro con l’uomo ideale, eterno sogno di ogni donna.
Quello che un giorno era stato il suo principe azzurro ora spesso taceva, non rispondeva alle sue sollecitazioni. Lei voleva ancora parlare dei massimi sistemi, come quando, da giovani, rimanevano svegli fino alle tre di notte per raccontarsi tutto. Lui, invece, dava per scontato il loro rapporto e, anziché interrogarsi sul significato della vita, stava davanti alla tv e chiedeva a gran voce perché il centravanti non passasse la palla al compagno.
Finita l’incombenza al camposanto Alessio aveva deciso di fare un giro in auto nei paraggi e Agnese, dando ancora un ultimo sguardo al cimitero deserto, si era detta che ai vecchi come lei il silenzio piace perché suggerisce l’idea della grande calma che attende tutti, prima o poi. I giovani, invece, lo rifuggono, perché metafora della morte: amano la confusione, amano incontrare persone nuove, amano buttarsi nella mischia, amano sentire rumore e amano farne.
In auto Agnese si era chiesta perché non fosse più capace di pregare, di meditare o di riflettere. Conosceva la risposta. Ci manca il tempo, ci manca uno spazio vuoto dalle cose da fare con cui affastelliamo la nostra esistenza, nella speranza di trasformarla da banale in memorabile. Abbiamo l’horror vacui del tempo e del silenzio. La nostra corsa della vita è immersa nel rumore che ci avvolge, ci perseguita, ma che talvolta crediamo ci faccia sentire vivi. Consideriamo rumore ciò che non è di nostro gusto, come una musica diversa dal genere che ci è più congeniale. Ma anche un brano di musica amata o un dibattito intelligente spesso ci impediscono di lasciar spazio al silenzio interiore ed abbandonarci alla riflessione.
È la maledizione dei nostri giorni e a volte Agnese se ne lamentava col marito :
“Questo è un problema che non esisteva nei secoli passati. Vorrei tanto essere nata in un’altra epoca, prima dell’invenzione dei motori, prima che esistessero tutti questi mezzi di comunicazione così invadenti che ti impediscono di ascoltare te stesso …”
“Ma sei sicura che se tu fossi nata in un altro periodo avresti potuto permetterti di vivere di filosofia?” insinuava Alessio.
“Hai ragione- conveniva lei- sarei stata certamente una che doveva lavorare duro per campare.”
“Sempre che fossi sopravvissuta alle privazioni e non fossi morta giovanissima!” aggiungeva lui.
“E perché non potevo nascere ricca e dedicarmi alla meditazione, invece?”insisteva ogni volta Agnese.
“Ringrazia il tuo Dio di appartenere a quest’epoca più fortunata di tutte le altre! Noi siamo figli di operai: saremmo magari stati contadini, altro che avere tempo per meditare!” ribatteva lui.
“Lo dici proprio a me che già lavoravo mentre tu bighellonavi tra l’oratorio e il collettivo!”
“Il mio era ozio formativo!” concludeva di solito Alessio.
“Io non ho mai avuto il tempo per oziare!” protestava lei.” “E se avessi potuto farlo sarei stata sommersa dai sensi di colpa!”
Agnese ripensava alle loro piccole dispute ed ammetteva con se stessa che non sempre l’inattività è negativa. Finalmente capiva che la meditazione solitaria è anche fuga dal dover per forza agire in modo concreto, è un aiuto per concedersi lo spazio e il tempo per pensare a un bene non immediato.
“Ti piacerebbe che cercassimo una casa qui?” aveva chiesto Alessio mentre guidava sulla strada di montagna, interrompendo il flusso dei pensieri di Agnese. “Saremmo vicini alla città, ma vivremmo in un ambiente più tranquillo.”
Lei avrebbe voluto rispondergli che amava tanto la tranquillità, ma che temeva di rinchiudersi in un mondo troppo appartato, in cui la pace agognata sarebbe stata comunque guastata dall’imperversare della televisione. Non voleva però ripiombare nelle recriminazioni. Meglio non rispondere, continuare a stare zitta, immersa in un mutismo astioso, pieno di rammarico e rimpianto. Quante volte lei aveva rispettato quello di Alessio, senza romperlo con pressanti richieste! Ora toccava a lui non interrompere il suo. Ma questo silenzio di coppia non sarebbe stato il primo stadio della solitudine?
Alessio conosceva i bisogni di Agnese e le proprie carenze e aveva aggiunto: “Non sarebbe una scelta drastica. Potremmo continuare a vivere in città e venire qui solo per lunghi weekend e, in ogni caso, non è un posto così distante e tu potresti andare a seguire conferenze e mostre anche partendo da qui al mattino...”
Intanto avevano raggiunto il piazzale del santuario che dominava il lago dall’alto. Erano scesi dalla macchina e si erano fermati a lungo, tacendo, ad ammirare il paesaggio quieto e immobile. Ad Agnese erano tornati alla mente versi di Foscolo, in un susseguirsi di pensieri.
La vista del lago, impagabile, rivaleggiava con il ricordo dei panorami dell’estremo Nord Europa, dove il silenzio era sovrano. Agnese amava quei posti e avrebbe voluto viverci, ma all’idea di quelle vastità deserte veniva presa da una sottile angoscia che si insinuava a rovinarle l’incanto. Troppa assenza di rumori e troppa solitudine le davano un senso di inquietudine, di perdita di controllo.
Inevitabile il paragone con la relazione di coppia. C’è qualcosa che sfugge maggiormente al controllo? All’inizio si toccano vette impensabili, ma poi si scende lungo la china dell’abitudine. Il matrimonio altro non è che un sodalizio, una società di mutuo soccorso, un patto di protezione. C’è un’intesa stabilita, non solo dal Codice Civile, di sostegno reciproco e c’è una legge non scritta: si sanno tante cose l’uno dell’altra che non si raggiungeranno mai più certi apici. Non ci sono più domande. La carnalità, la sessualità è l’unico legame che unisce veramente e quando, con l’età e, in casi sfortunati, con la malattia, la capacità fisica viene meno, manca la soddisfazione del motivo che giustifica l’unione di due esseri. Il rapporto a due si evolve, diventa una relazione diversa da quella che ci appagava. È giusto accettare questo cambiamento? Che cosa ci obbliga a tenere unite due entità distinte?
Alessio ruppe il silenzio, distogliendo Agnese dal vortice dei dubbi: “Non ti sembra di essere di nuovo nel Nord Europa?” Fece una pausa e aggiunse: “ Ho voluto portarti qui per ringraziarti. Non eri tenuta a venire al cimitero a condividere la mia tristezza.”
Agnese si chiese quale strana capacità medianica avesse il marito. Ogni volta che lei stava per allontanarsi lui la riagganciava, dandole, forse inconsapevolmente, una risposta. Ecco le cose che li univano: la memoria e il sentire comuni!
Il muretto che proteggeva dallo strapiombo sul lago era invaso da un’erba rampicante selvatica. Agnese si voltò e chiese al marito se voleva tagliarla e ripulire anche lì.
Alessio sussurrò teneramente una sola parola: “Agnese!”
Sapevano di essere complementari e necessari l’uno all’altra.
Si abbracciarono d’impeto, pronti a ricominciare, come sempre.