Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Vicki Shuck (Oregon, USA) - Mary and her cat

Tratto dal volume Mimiao. Autobiografia di un gatto migrante di Vittoria Carola Vignola, Hever Edizioni, Ivrea 2020.

 

Mimiao - Autobiografia di un gatto migrante (2)

(seguito)

di Vittoria Carola Vignola

 

Arriva l’epoca di Carla

Nei pomeriggi estivi, in particolare quando Franco era ancora tra noi, il loro cortile accoglieva sempre amici e parenti per lunghi, piacevoli conversari. Una delle loro visitatrici abituali era Carla che, più gattofila degli altri, iniziò a poco a poco a farmi lievi carezze: una sensazione meravigliosa che io non avevo mai esperito prima di allora.

All’inizio, ero riluttante e sconcertato: che significato avevano queste mani che scorrevano morbide e calde sul mio capo, sul mio dorso, anche sulla mia coda? Devo dire che mi ci è voluto molto tempo: dapprima a superare il timore, poi ad accettare le carezze e altrettanto per provarne gioia.

Una gioia tutta speciale che non aveva nulla a che vedere con quella che provavo nell’acchiappare un topo, un uccellino o una lucertola, o nel gustare cibo prelibato. Era una gioia di tutto il mio essere, del corpo, della schiena, delle zampe, unghie comprese, e di tutti i miei peli, sia quelli bianchi sia quelli grigi o neri, tant’è che nel corso del tempo ho iniziato ad allungarmi completamente, zampe anteriori e posteriori comprese, pancia all’aria, – Carla dice “supino”, – in modo da aprirmi totalmente a quel tocco magico, inebriante.

Per quanto un po’ titubante, era infatti la mia terza migrazione, decisi di riprendere in mano i remi. L’abitazione di Carla era, ed è tuttora, sul lato opposto della stessa via, sì che posso sempre tornare da Livia nel caso in cui mi trovassi ancora una volta isolato e incompreso.

La casa di Carla ha tre piani, con grandi archi a ogni piano. Mi offre una tale varietà di superfici senza divieto di accesso che, per i miei lunghi pisolini nelle varie parti della giornata e a seconda della temperatura, ho solo l’imbarazzo della scelta.

Io, ovviamente, semino peli ovunque, il che a Carla non va molto a genio, ma a me serve anche per segnare il mio nuovo territorio conquistato. Nella zona ci sono, infatti, altri due gatti: uno tutto grigio scuro, piuttosto introverso e neanche tanto affascinante; l’altro solare, almeno nell’aspetto, dato il suo bellissimo colore rossiccio. Io, però, ho rapporti puramente formali con entrambi, non so di che genere siano loro e di che genere sia io; né tampoco so se sono attratto dai maschi o dalle femmine. Va anche detto che io ho subìto un brutale intervento nelle mie parti intime che ignoro in che cosa sia consistito; naturalmente, gli umani né mi hanno interpellato, né informato sull’esito.

In casa c’è anche un altro grazioso gattino, dono dell’amica Rita. Per fortuna quello è di ceramica di Castellamonte. Carla l’ha collocato accanto a un altro gatto enorme, a boccale, che risale ai tempi storici come soprammobile in un incavo aperto dell’armadio della cucina. Io, allora, ho voluto dimostrarle che potevo anch’io essere uno splendido soprammobile.

Durante uno dei “suoi” telegiornali (che ormai non tollero più, perché sono una incomprensibile cacofonia e una sommatoria di insulti, di accuse, di errori), mi sposto nella camera, che era di suo fratello Giacomo. Dopo un po’, Carla entra a cercarmi sul letto, nella mia consueta cuccia; ma, non trovandomi, ha l’aria di preoccuparsi.  Volgendo lo sguardo verso il bel comò in ciliegio accanto alla finestra, mi adocchia accovacciato in bella postura tra bottiglie, bicchierini, ventagli d’altri tempi e album di vite trascorse.

«Bellissimo, – esclama, – questo soprammobile moderno!».

Io, compiaciuto, penso d’avere conquistato così un ulteriore formidabile ruolo nella sua casa.

Carla mi ha dato un nome, senza affaticarsi troppo.

Come ho avuto occasione di segnalare all’inizio di questo tentativo di autobiografia, mi ha chiamato Mimiao. A me pare piuttosto la storpiatura di un vocabolo della mia lingua materna, non un vero e proprio nome. Va beh, occorre prendere ciò che passa il convento, direbbe un suo saggio amico, Cesare, che un tempo veniva spesso in macchina a trovare Carla (anche se lui continua a chiamarla Vittoria, e un giorno o l’altro cercherò di informarmi perché), ma da due/tre anni si limita a telefonarle quasi tutte le sere.

Quando questa cosa non accade, lei sovente fa il muso a me, come fosse colpa mia. Ma io sono un gatto serio, che racconta solo quello che non possa essere smentito e, sull’argomento, sono lungi dall’avere le idee chiare.

Forse neppure lei, in verità.

Con me, come con tutti i suoi compaesani, Carla usa il trausellese. Cosa mi crede, un troglodita che ignora l’italiano? In fondo, qui ormai quasi tutti usano l’italiano. Devo comunque dire che il trausellese, che allunga enormemente tutti i suoi suoni, quasi cantilenante, lo trovo dolce e mi piace molto: mi pare che riesca a trasmettere tenerezza, calore, affetto.

(Continua)

 

Inserito il:13/07/2021 12:48:27
Ultimo aggiornamento:21/07/2021 09:56:34
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