Francesco Gonin (1808-1889) – L’assalto al forno delle grucce - 1840
Umanità della folla nei “Promessi sposi”
di Netty Lo Cascio Tomasino
Quando Alessandro Manzoni cominciò a scrivere il “Romanzo”, certamente si propose di riversare il culmine della propria arte drammatica nei protagonisti che aveva già, chiaramente, delineato nella propria immaginazione: Renzo e Lucia. Poeta di riflessione e di studio per anni e anni s'adoprò nel perfezionamento delle creature che il suo fervido ingegno aveva partorito e forse quel lungo lavoro di limatura tolse ad esse quella vivacità originaria che era la più grande aspirazione del loro creatore.
Renzo e Lucia rimangono due figure immortali nella letteratura romanzesca, perché tali li desiderò il grande autore e perché essi sono i “promessi sposi”.
Pure essi mancano di quella umanità che invece, forse a dispetto del Manzoni stesso, nasceva e si sviluppava man mano che egli scriveva, in seno alla mobile moltitudine secentesca. La folla dei “Promessi Sposi” è la più viva nelle vicissitudini del Romanzo, viva di una vita propria compatta, movimentata, profondamente umana. La folla è un grande essere in preda alle inquietudini dell'adolescenza, che segue senza piena coscienza l'impulso imprecisato di una facoltà, che s'arresta, attonito davanti all'improvvisa rivelazione di qualcosa di sconosciuto, che piomba dall'entusiasmo nella più gelida indifferenza per rianimarsi e seguire, nella rinnovata, euforica incoscienza, la parte predominante di se stesso.
Essa racchiude, nella propria grande anima, tutte le lotte e le sofferenze del mondo: soffre e gioisce quasi senza rendersene conto e come imbambolata s'acqueta dinanzi alla calma che essa stessa, col suo acquetarsi, ha creato. E, forse, mirando gli effetti della propria furia, spesso si domanda come si sia giunto a tanto e perché.
Questo, in generale, il carattere della folla che nei “Promessi sposi” balza, con una vitalità impressionante, agli occhi del lettore e per essi giunge al cuore a conquistare.
Uno scampanio allarmante...e la vediamo riversarsi nella piazza, premere, urlare, animata da un afflato comune, da una potente, comune decisione. C'è un nemico da catturare...da giudicare... La notizia si propaga, istantanea; la folla l'assorbe in se, non si preoccupa di constatarne la veridicità, ne fa una legge. Al ladro! Al ladro! Par che una molla del suo animo scatti; si precipita, corre e... d'un tratto s'arresta.
Per il bene comune è bene tornare alle proprie case, accettare la soluzione che si presenta più semplice: rinunziare all'inseguimento.
Una la volontà, una ed unica. Nessun individuo nella massa, ma ogni individuo molecola di essa. Si torna.
E' questo un breve e significativo aspetto dell'umanità della folla nei “Promessi sposi!.
Ma andando più in là, dopo aver sfogliato ad una ad una le pagine del Romanzo, se ne trova una più ampia e sicura dimostrazione.
Siamo al capitolo della carestia. Renzo, che viene da un umile borgo campagnolo nota, per le vie di Milano, alcune strisce bianche sul selciato:
«Che sia una delle tante meraviglie del mondo?» Par chiedersi esterrefatto mentre fa scivolare fra le dita la bianca farina. «Non una delle meraviglie del mondo, Renzo, - vorremmo dirgli noi – ma la concretizzazione d'una furia nata dalla esasperazione comune, l'espressione della incoscienza devastatrice della folla della quale anche tu, fra poco, farai parte.»
E ritroviamo infatti Renzo fra il tumultuar della popolazione inferocita, lasciarsi trasportare dalla massa e, pur seguendo quello che il suo sentimento umanitario gli comandava, seguire il sentimento dominante nella folla.
La folla s'impone qui, con una vis drammatica potente:«L'assalto al forno delle Grucce!»
Un grido che si ripercuote da frotta a frotta, che s'accresce, che assume il cupo rimbombo d'un ruggito, ancora: una legge.
La furia distruggitrice che s'abbatte sull'innocente forno è la somma di tante esasperazioni; essa ha raggiunto il limite e, estrinsecandosi, ha assunto il pauroso aspetto che s'offre all'occhio intento della mente del lettore. Vibra, nel ruggito immenso, il cuore d'ognuno: forse s'esprime in maniera diversa da come vorrebbe, ma nella superiorità della legge popolare, improvvisata e ferina, trova il suo pieno appagamento. Ma un Dio, che non poteva mancare nell'atmosfera pacatamente religiosa dell'opera Manzoniana, veglia sull'infuriare dei sentimenti accesi. L'abbiamo già colto nel cuore di Renzo, nel tremolante grido di un gruppo che tenta di vincere gli altri: punire, ma non uccidere. E' la legge divina che s'impone alla folla: la folla che si fa passiva sotto la voce della coscienza e acquista una più perfetta umanità.
Renzo plaude a Ferrer: non sa chi sia, ma sa che impersona una parvenza di bene. Renzo è la scintilla; la scintilla d'un fuoco cheto che solo accende e mantiene la bontà divina; la folla si cheta: assiste muta al fuggire di quel nemico sconosciuto, vittima innocente delle proprie furie. E poi si allontana, compresa dell'umanità nuova che le deriva dall'ubbidienza alla volontà di Dio; così nel complesso.
E forse perderà, sbandandosi in gruppi e acquistando diversi sentimenti, dettati dall'individualità, quella umanità che sola le deriva dalla breve e intensissima vita in comune.