Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

La Rivoluzione Inglese IV

di Mauro Lanzi

 

Giacomo II

 

 

Con la morte di Carlo II si verifica in Inghilterra una situazione inedita ed in una certa misura paradossale, il Re, capo della Chiesa Anglicana, era un cattolico!

Carlo aveva però consegnato al fratello ed erede Giacomo, duca di York, due importanti lasciti, innanzitutto una rinnovata adesione del Paese all’istituto monarchico, poi le tesi di non resistenza al sovrano deliberate nel 1683 ad Oxford, culla e perno della dottrina anglicana, tesi secondo cui non era lecito al clero anglicano opporsi al Re, anche quando questo fosse eretico, nella fattispecie cattolico. Questa delibera costituiva un importante punto a favore dell’ultracattolico Giacomo II, si sanciva cioè il principio che era accettabile che il capo della Chiesa di Stato non appartenesse a questa Chiesa e, quindi, che il clero gli dovesse comunque obbedienza. Restavano ovviamente in sottofondo le due grandi questioni che avevano agitato la politica inglese negli anni passati, cioè la questione della tolleranza religiosa ed il conflitto di competenze col Parlamento, che il fratello non aveva potuto risolvere ma aveva saputo mediare, sopire.

Giacomo II, salito al trono senza incontrare ostacoli, non sa trarre profitto dalle favorevoli premesse sopra dette; l’intelligenza politica è un po’ come il coraggio di manzoniana memoria, uno se non ce l’ha, non se la può dare: Giacomo, giunto al trono in età avanzata (aveva 52 anni) era una persona fondamentalmente onesta, aveva anche dato buona prova di sé sia come Capo della flotta, sia come governatore della Scozia, era senza dubbio un buon amministratore, ma mancava di sensibilità, di fiuto politico, si riteneva regnante per diritto divino, non capiva che la sua posizione di cattolico dichiarato, a capo di un paese protestante,  era comunque instabile, avrebbe richiesto la cautela e la prudenza di cui aveva dato prova il fratello. Inizialmente un aiuto gli venne proprio da una congiura contro la sua persona orchestrata da un nobile scozzese e da un figlio bastardo di Carlo II, il duca di Monmouth, dietro il quale si muoveva il vero ispiratore delle trame anti Stuart, Guglielmo d’Orange, che poteva vantare titoli sul trono inglese grazie alla moglie Maria, figlia proprio di Giacomo II. La minaccia militare fece sì che Giacomo ottenesse facilmente dal Parlamento cifre importanti per arruolare un esercito, che ebbe rapidamente ragione degli insorti: poi però Giacomo rifiutò di congedare l’esercito, cercò di dotarsi di un esercito stanziale, cosa che gli inglesi non potevano proprio digerire; fu il finanziamento di queste spese che determinò il primo argomento di contrasto tra il Re ed il Parlamento.

Il Parlamento fu sciolto, ma il dissenso tra il Re e l’opposizione che si veniva delineando continuò ad ampliarsi, a causa soprattutto della crescente presenza di cattolici negli alti gradi dell’amministrazione e dell’esercito; Giacomo non riusciva a comprendere che in questo modo veniva ad alienarsi le simpatie e l’appoggio della Chiesa anglicana, che avrebbe dovuto essere il più sicuro sostegno del regno, e sospingeva i nobili anglicani esclusi dalle alte cariche verso lo Staatholder di Olanda, Guglielmo d’Orange, il quale avendo sposato proprio la figlia di Giacomo, Maria, da tempo tramava, a dir suo, per difendere i diritti ereditari della moglie, supina, ai voleri del marito.    

In queste circostanze Giacomo commise il primo dei suoi errori fatali: la proclamazione (14 Aprile 1687) della Dichiarazione d’Indulgenza, con la quale si aboliva il “Test Act”, che precludeva non solo ai cattolici, ma in generale a tutti i non anglicani, l’accesso alle cariche pubbliche: anche Carlo II aveva tentato una mossa simile, ma aveva dovuto far retromarcia su richiesta del Parlamento. L’intenzione dei due Stuart era fondamentalmente corretta, andava nel senso di garantire a tutti una vera libertà religiosa, anticipava i concetti più moderni, ma il XVII secolo è stato forse il secolo più confessionale di tutta la storia, semplicemente non si poteva accettare che la libertà di coscienza divenisse sinonimo di pari opportunità anche in politica. Evidentemente esisteva tutto un establishment anglicano, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche, che si vedeva minacciato nei suoi privilegi da queste aperture, ma il paradosso fu che anche i gruppi dissenzienti non conformisti, come presbiteriani, puritani ed altri, che pure avrebbero beneficiato di queste misure, furono indotti da un’abile propaganda a schierarsi contro lo Stuart, che veniva apertamente accusato di voler incattolichire il Regno.

Anche la politica internazionale non aiutava lo Stuart: nel 1685 Luigi XIV aveva cassato l’Editto di Nantes ed aveva aperto le persecuzioni contro gli ugonotti, il che non poteva mancare di alienargli le simpatie di tutti gli stati protestanti tedeschi, che si riavvicinarono di conseguenza all’impero; chi trasse maggior vantaggio da questa mossa fu proprio l’Orange che, non solo vide rinsaldata la sua posizione interna, che era tutt’altro che sicura, anche per le trame  francesi, ma riuscì anche a gabellarsi come campione della causa protestante, poté armare una flotta ed arruolare truppe, appoggiato e finanziato sia dall’impero che dai principi protestanti, nel nome di una più ampia alleanza antifrancese. L’urgenza di queste misure militari fu poi giustificata anche dalla felice nascita, dopo ben cinque infanti nati morti, dell’erede al trono di Inghilterra, Giacomo Edoardo, principe di Galles (20 giugno 1688). Fino a quel momento si poteva sperare nel naturale evolversi degli eventi; Giacomo II, anziano, malandato, senza eredi avrebbe dovuto lasciare inevitabilmente il passo alla figlia ed all’Orange: la nascita di un erede maschio altera questo quadro relativamente ottimistico ed induce gli avversari dello Stuart ad agire.  

Proprio in questo frangente il Re decide di aprire lo scontro con la Chiesa anglicana, secondo dei suoi errori fatali; l’argomento era in sé di scarso rilievo, l’invito a predicare nelle chiese la Dichiarazione d’Indulgenza; il rifiuto di gran parte del clero viene interpretata come insubordinazione da parte di Giacomo che fa rinchiudere sette vescovi nella Torre di Londra.   I vescovi, liberati dopo pochi giorni, sono accolti dal giubilo generale, il fronte anti monarchico si amplia e si rinsalda, sette lord sottoscrivono un invito a Guglielmo d’Orange ad intervenire in Inghilterra in difesa delle libertà parlamentari; questa era la mossa attesa dall’Orange per legittimare il suo intervento, così l’11 Novembre la flotta Orangista salpa e fa vela sull’Inghilterra senza incontrare ostacoli; reiterate offerte di aiuto da parte di Luigi XIV sono rigettate dallo Stuart, che dichiara che sarà  difeso dai suoi stessi sudditi.

Ma il tradimento dilagava tra le file lealiste, l’esercito, pure superiore in numero, si squagliava come neve al sole, alla fine anche l’uomo che più il Re aveva beneficato e sul quale contava in campo militare, John Churchill, futuro duca di Malborough, lo abbandonò per passare al nemico: Malborough sarà uno dei più brillanti comandanti militari della storia inglese, antenato di un altro Churchill, Winston, ma la sua carriera iniziò con uno spudorato tradimento.

Giacomo, afflitto anche da problemi di salute, rientra a Londra, cerca con qualche estremo tentativo, quale la convocazione di un nuovo Parlamento, di riguadagnare terreno, poi, preso dallo sconforto abbandona la capitale che viene occupata da truppe orangiste. Il 2 Gennaio 1689 Giacomo II si imbarca sulla nave che lo avrebbe portato in Francia, senza tentare di veramente resistere all’usurpazione; non rivedrà mai più l’Inghilterra, nessuno dei suoi eredi salirà più al trono. 

L’assenza di Giacomo II apre il periodo detto di interregno: l’Orange riunì allora uno strano consesso, in cui sedevano ex parlamentari del tempo di Carlo II insieme a notabili cittadini; questa assemblea, del tutto irregolare, invitò Guglielmo a governare, in attesa delle decisioni di una “Convenzione”, regolarmente eletta, con la presenza di molti uomini nuovi, che, riunitasi il 22 gennaio, sarà la vera responsabile del cambiamento di regime o della “sovversione” come venne altrimenti definita.  

La “Convenzione” che si presentava come una inedita combinazione di Camera dei Comuni e Camera dei Lord, non aveva, occorre ammetterlo, un compito facile: per colmare il vuoto di potere che si era creato, opzioni differenti venivano dibattute, dal richiamo dello Stuart (che si era fatto vivo con lettere e proclami), alla reggenza all’Orange (ma in nome di chi?),  all’incoronazione della sola Maria o del solo Guglielmo; alla fine si optò per una soluzione di compromesso, Guglielmo e Maria furono incoronati Re e Regina a pari titolo (12Febbraio 1689), anche se, vista la supina obbedienza di Maria al marito, chi governerà di fatto sarà solo Guglielmo.

Prima di consegnare la corona ai due, i Comuni sancirono tre “risoluzioni”, che si riveleranno di fondamentale importanza; la prima si ricollegava all’Act of Exclusion, con essa i Comuni decisero essere, per esperienza, “inconsistent” per un regno protestante essere governato da un principe cattolico: questa delibera, ripetuta nel ”Settlement Act” del 1700, è tuttora vigente: il Re d’Inghilterra non può essere un cattolico, anche se vi furono regnanti non anglicani come l’Orange che era un calvinista e non si convertì mai alla religione di cui era il capo.

La seconda risoluzione, ancora più significativa, suggeriva si dovesse adottare, come ai tempi della Repubblica, un testo detto “Instruments of Government”, cioè una sorta di costituzione; questa, però, per sua natura, avrebbe dovuto essere approvata e sottoscritta dal Re, che non aveva alcuna intenzione di divenire un Re costituzionale. Per aggirare quest’ostacolo, il documento licenziato dai Comuni prese il nome di Bill of Rights, lo stesso nome che avranno i primi dieci emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti, con una sostanziale differenza: questi ultimi fanno riferimento ai diritti fondamentali ed inalienabili dell’uomo e del cittadino. La risoluzione dei Comuni, viceversa, non fissa i diritti del cittadino, limita quelli del Sovrano, presupponendo che esistesse un diritto antecedente, una “lex super regem”, della quale si imponeva al Re una certa interpretazione.

Se tuttora l’Inghilterra non ha una Costituzione, ciò è dovuto anche (ma non solo) a questa ambiguità, ma ciò non riduce il significato e l’importanza del “Bill”, che dichiara, tra l’altro:

  • Sospendere leggi senza il consenso del Parlamento è illegale.
  • Imporre tasse senza concessione parlamentare è illegale.
  • E’ diritto dei sudditi rivolgere petizioni al Re.
  • Levare o tenere in armi un esercito in tempo di pace senza il consenso del Parlamento è illegale.
  • La libertà di parola in Parlamento non può essere discussa.
  • L’elezione dei membri del Parlamento deve essere libera.

Ovviamente queste semplici dichiarazioni sono frutto di un compromesso, non facevano certo dell’Orange un Re costituzionale, è provato che egli fece di tutto per non vedere limitata più di tanto la “prerogativa” reale, ma il fatto stesso che abbia dovuto accettare e sottoscrivere il Bill, segna una svolta fondamentale nella storia inglese ed un preciso punto di partenza nella politica del mondo occidentale.

La terza risoluzione, di pari importanza, è l’”Act of Tolerance”, che chiude quasi un secolo di feroci scontri religiosi; Guglielmo e Maria riconoscevano la Chiesa d’Inghilterra come Chiesa di Stato e permettevano alla Chiesa di Scozia di tornare alla pratica presbiteriana; l'Atto però ammetteva che i dissidenti potessero professare la propria fede, avere propri luoghi di culto, impiegare predicatori ed insegnanti, pur continuando ad essere esclusi dalle cariche pubbliche e dalle università. Essi dovevano registrare i loro luoghi di incontro ed i predicatori, inoltre, dovevano essere forniti di una licenza governativa.

A fronte dell’“Act of Tolerance”, l’Atto d’Indulgenza propugnato dall’ultimo Stuart ci appare documento assai più moderno e lungimirante, perché, sospendendo il “Test Act”, equiparava i diritti politici di tutti i sudditi, senza riguardo per la religione degli stessi; in politica, però, avere ragione prima del tempo è colpa imperdonabile, non averlo compreso costò la corona ad un Re!!

 L’Act of Tolerance rimarrà in vigore fino al 1828, quando sarà sostituito dall’Atto di Emancipazione, che infine riconoscerà i diritti politici fondamentali a tutte le religioni; nel frattempo, paradossalmente, i dissenzienti, questa fascia di cittadini di serie “B”, diverranno i protagonisti dell’evento più significativo dell’età moderna, la Rivoluzione Industriale.

Il Re deposto, lo Stuart, tentò di rientrare in patria in ogni modo; infine, con l’appoggio delle armi francesi, sbarcò in Irlanda, riuscendo anche a riunire un esercito numeroso, ma inesperto, che fu disastrosamente sconfitto dall’Orange nella battaglia di Boyne (11 luglio 1690).

L’evento è ancora celebrato dai protestanti nord-irlandesi a Belfast ed in tutto l’Ulster il 12 luglio di ogni anno, con manifestazioni e parate in cui “gli orangisti” sfilano con la tradizionale bombetta in testa e danno origine spesso a violenti disordini.

            

Conclusione

La “Gloriosa Rivoluzione” inglese del 1689 fu un evento, nei fatti, né tanto glorioso, né tanto rivoluzionario; si trattò, in realtà, di un’usurpazione vera e propria, favorita dall’incompetenza politica e dal tradimento; l’Orange non aveva certo doti né morali, né politiche superiori a quelle del Re spodestato.

Nella “rivoluzione” del 1689 si deve piuttosto vedere il punto di arrivo di un travaglio della società inglese durato quasi un secolo, un travaglio in cui fattori religiosi e politici si intrecciano in forma inestricabile, portando tutto il Paese attraverso convulse sequenze di scontri, accordi, mediazioni tra esecutivo e parlamento; l’Inghilterra, in questo periodo, sperimenta di tutto, dall’assolutismo regio, alla guerra civile, al regicidio, alla dittatura militare, per approdare ad un precario equilibrio con la Restaurazione, fino al crollo della dinastia Stuart.

La “Rivoluzione” e le conseguenti delibere del Parlamento rappresentano, in una certa misura, la conseguenza ed il compendio di queste esperienze; il Sovrano, capo della Chiesa anglicana, non può essere cattolico, tutte le professioni di fede (protestanti) sono tollerate, ma i dissenzienti non possono avere pari dignità politica, le prerogative reali non sono annullate ma sostanzialmente limitate dal Parlamento.

L’insieme di queste misure non ha lo scintillante risalto, il vigore morale delle “Dichiarazioni” di Stati Uniti e Francia, ma l’assetto politico che ne derivò, pur essendo tipica espressione di un pragmatismo alieno da slanci ideali, costituì un modello ed un punto di riferimento essenziali per tutti gli sviluppi futuri della politica del mondo occidentale; in un’Europa oppressa dall’assolutismo monarchico e dall’oscurantismo religioso il modello inglese apparve come un’oasi di libertà e di progresso; esso provò come la convivenza tra religioni diverse non sia perniciosa per l’unità della nazione, come il controllo dei governati sui governanti, espresso dal Parlamento, sia uno strumento utile e produttivo, come la limitazione delle prerogative reali non porti all’anarchia, come la sintonia tra Parlamento e società sia la molla  del progresso civile della nazione.  

Al tempo stesso, il nuovo assetto conseguente alla “Rivoluzione” aprì il sistema politico alla partecipazione di una più ampia rappresentanza della nazione, gettando le basi di una società pluralista o, se preferite, “inclusiva”, per usare un termine portato alla ribalta da Daron Acemoglu e James Robinson (“Perché falliscono le nazioni”). Una società inclusiva in politica lo diviene anche in economia; i nuovi governi cominciarono a smantellare progressivamente tutti i monopoli, ad abolire la tassazione arbitraria, a promuovere le attività mercantili ed industriali; soprattutto si preoccuparono di proteggere attivamente la proprietà privata, sia fondiaria che intellettuale. La migliore definizione della proprietà fondiaria favorì gli investimenti in agricoltura e quindi il grande sviluppo della produttività dei campi; la protezione dei brevetti fu la premessa indispensabile a invenzioni ed innovazione.    

L’Inghilterra che nasce da questa “Rivoluzione” è quindi una nazione nuova, pronta al grande balzo verso il futuro: la Rivoluzione Industriale e l’Impero.

 

Inserito il:18/10/2023 15:53:16
Ultimo aggiornamento:18/10/2023 16:19:28
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