Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

  Joseph-Désiré Court - Ritratto del marchese di La Fayette come Luogotenente generale nel 1791

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La Rivoluzione Francese (4) - La Costituente gli inizi

di Mauro Lanzi

 

Abbiamo visto nei precedenti articoli gli eventi che portarono alla convocazione degli Stati Generali e come questi si siano poi trasformati in Assemblea Nazionale; abbiamo anche visto i tentativi della monarchia di ostacolare l’affermarsi di questo consesso e, infine, come la giornata del 14 Luglio 1789 ne abbia sancito valore e significato.

Conviene qui fermarci brevemente per dare uno sguardo d’insieme a tutto lo svolgimento della Rivoluzione.

 L’intero arco temporale della Rivoluzione Francese si può dividere in cinque grandi periodi, che prendono il nome dall’organismo costituzionale che guidava la nazione in quel momento:

  1. La Costituente. (9 luglio 1789 – 30 settembre 1791).

Già con il giuramento della Pallacorda si può dire che nasca un organismo legislativo avente come oggetto varare una Costituzione. Il nome “Costituente” o Assemblea Nazionale Costituente viene adottato ufficialmente il 9 luglio 1789; la Costituente si scioglie il 30 settembre 1791 con l’approvazione della Costituzione. 

  1. L’Assemblea Legislativa. (1° ottobre 1791 – 20 settembre 1792).

Nata per attuare i dettami della Costituzione quest’Assemblea ha vita breve, si scioglie il 20 settembre 1792, alla vigilia della proclamazione della Repubblica.

  1. La Convenzione I. (21 settembre 1792 – 28 luglio 1794).

 La proclamazione della Repubblica comporta la necessità di redigere una nuova Costituzione; in mancanza di un esecutivo designato, è la stessa Assemblea che funge da esecutivo, affiancata o surrogata da un “Comitato di Salute Pubblica”. La prima fase di questo periodo termina con la morte di Robespierre, 9-10 Termidoro, 27-28 Luglio 1794. 

  1. La Convenzione II – Il Termidoro. (28 luglio 1794 – 26 ottobre 1795).

Dopo la scomparsa di Robespierre e dei suoi amici, la Convenzione resta in carica, ma il controllo del Paese finisce nelle mani della fazione che aveva manovrato per la sua condanna, i cosiddetti “Termidoriani”.  “Il Termidoro”, così viene definita questa seconda fase, dura fino all’approvazione della nuova Costituzione (Costituzione dell’Anno III); la Convenzione viene sciolta e sostituita da un esecutivo affiancato da un’assemblea bicamerale (4 brumaio - 26 ottobre 1795).

  1. Il Direttorio – (26 ottobre 1795 – 10 novembre 1799).

Con il Direttorio la Francia torna ad avere un esecutivo distinto dagli organi legislativi; viene approvata una nuova Costituzione (Costituzione dell’Anno III). Il periodo è connotato dalle grandi campagne napoleoniche in Italia ed in Egitto. Termina con il colpo di stato del 18 brumaio – 10 novembre 1799, che istituisce il Consolato, portando al potere Napoleone Bonaparte.

 

Il periodo della Costituente è forse quello più creativo, più denso di idee ed eventi sotto il profilo istituzionale.

Ai fatti descritti, in particolare la presa della Bastiglia, seguirono rapidamente i primi passi del nuovo ordine. Parigi acclamò un sindaco, Bailly, uno dei protagonisti del famoso “Giuramento”, l’Assemblea creò una Guardia Nazionale e ne pose a capo, Lafayette, tutto senza neppure consultare il sovrano; a questo punto gli estremisti tra la nobiltà cercarono di convincere il Re a riparare a Metz, per tornare a capo di un esercito. Luigi rifiutò, forse temeva di essere sostituito dal cugino, l’Orleans, forse non voleva passare alla storia come il sovrano che aveva iniziato una guerra civile; non gli restò quindi che piegarsi al volere dell’Assemblea e bere l’amaro calice fino in fondo; il 16 luglio richiamò Necker, l’indomani si recò a Parigi per accettare la coccarda tricolore dal sindaco Bailly, sanzionando così l’opera dei rivoltosi.

I nobili estremisti, tra cui il conte d’Artois, fratello del Re e futuro Carlo X, ultimo regnante di casa Borbone, indignati per tanta viltà, si rifugiarono all’estero; inizia così l’emigrazione della nobiltà.

Tutti si erano accorti dell’importanza del momento: il Re conservava la corona, malgrado l’umiliazione subita, ma aveva dovuto riconoscere accanto a sé o sopra di sé un nuovo sovrano, il popolo francese, di cui l’Assemblea era l’espressione.

 Il Re aveva dovuto anche accettare l’ingombrante presenza del marchese di Lafayette, che dopo il ruolo svolto nei prodromi della rivoluzione, si considerava ormai il Giorgio Washington della Rivoluzione Francese e si proponeva come intermediario tra il sovrano e la Costituente; d’altro canto, Lafayette, dopo la decisione dell’Assemblea di metterlo a capo della Guardia Nazionale appena costituita, disponeva dell’unica forza che contava in quei momenti, una forza di polizia rivoluzionaria armata: formata da volontari, reclutati tra la borghesia, si era estesa a tutti i dipartimenti, raggiungendo rapidamente il numero di 500.000 effettivi, cui Lafayette aveva astutamente aggregato forze locali stipendiate, le antiche guardie francesi.

Così protetta e rinfrancata, l’Assemblea Costituente avviò il cammino delle riforme, iniziando con tre tappe fondamentali:

4 Agosto: Abolizione dei diritti feudali.

26 Agosto: Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

2 Novembre: I beni del clero dichiarati beni nazionali.

Di grande rilievo etico e politico i primi due passi: il 4 agosto tutte le corvees feudali, le servitù personali, le manomorte, le decime alla Chiesa, i diritti feudali di caccia, di pesca, di colombaia venivano aboliti senza compenso. Si stabiliva inoltre che le tasse sarebbero state pagate da tutti gli abitanti del Regno, secondo il proprio reddito, cancellando così d’un sol tratto esenzioni, franchigie, dogane interne, come se una gigantesca livella fosse passata sui territori francesi, d’ora in poi non ci saranno più corporazioni, caste, stemmi, ordinamenti giudiziari, ci saranno solo Francesi soggetti alle stesse leggi ed alle stesse imposte: è pur vero che non si ebbe il coraggio di abolire le rendite feudali, attinenti alla proprietà non alle persone, che restavano dovute o soggette a riscatto, ma nel complesso la notte del 4 Agosto segnò una grandiosa abiura del passato; all’alba era nata una novella Francia.

Di pari o forse anche superiore importanza la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” votata il 26 Agosto, di cui citiamo alcuni passi:

I Rappresentanti del Popolo Francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo….

In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:

 Articolo 1 Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. ……”

La “Dichiarazione” prosegue per 14 articoli, che stabiliscono, con parole semplici, alcuni principi che noi oggi diamo per scontati, ma non lo erano affatto prima di quel giorno, come la libertà di opinione e di stampa, la pari dignità di ogni fede religiosa, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, la presunzione di innocenza di ogni accusato, fino alla condanna, la pari opportunità di tutti i cittadini per l’accesso a posizioni o cariche pubbliche, la proprietà privata sacra e inviolabile. La “Dichiarazione” pone se stessa e l’Assemblea sotto gli auspici di un Essere Supremo, non del Dio cristiano; la religione quindi è ancora presente, sembra indispensabile all’ordine sociale, ma viene estesa a tutte le fedi.

La “Dichiarazione” è senza dubbio il prodotto delle idee e dei sentimenti della borghesia del tempo, si vedano ad esempio le affermazioni riguardanti la proprietà privata, dichiarata “sacra ed inviolabile” senza alcuna considerazione per i residui diritti feudali, oppure il mancato accenno ai diritti degli incapienti, che non potevano certo godere delle pari opportunità garantite ed altro ancora. Nonostante questi limiti, la “Dichiarazione” rimane una pagina magnifica nella storia dell’umanità, il pilastro su cui poggeranno tutti i successivi sviluppi nell’affermazione dei diritti civili.  

Dopo l’approvazione della “Dichiarazione”, l’assemblea iniziò il dibattito in merito al testo costituzionale, dibattito che durerà quasi due anni, scontrandosi subito con il primo ostacolo, la struttura del futuro parlamento, se, monocamerale o bicamerale come richiesto dai monarchici; alla fine l’opzione bicamerale fu rigettata il 10 settembre, perché si temeva che una Camera Alta divenisse il baluardo della nobiltà. Il Parlamento così delineato rimase l’unico esempio di organo legislativo monocamerale tra tutte le democrazie parlamentari che seguirono; con la mancanza di una Camera Alta venne meno l’effetto equilibratore di un’altra assemblea, capace di rettificare, in seconda lettura, leggi e decreti; i risultati si dimostreranno nefasti.

 

I Reali a Parigi – Nuovo quadro politico

Mentre nell’Assemblea si discuteva sul testo costituzionale, altri e più gravi eventi si apprestavano, eventi destinati a modificare sostanzialmente il quadro politico. Già un diffuso malcontento agitava l’Assemblea e la città di Parigi per il rifiuto, opposto da Luigi, di avallare i decreti del 4 e del 26 agosto: facendo leva su questo rifiuto, la fazione monarchica, sconfitta al voto sul bicameralismo, riprese coraggio e consigliò al Re di abbandonare Versailles per salvaguardare la sicurezza sua e dei familiari.  Luigi rigettò ancora una volta questo progetto, non voleva passare per un sovrano fuggiasco; la sola concessione che fece ai monarchici ed alle loro preoccupazioni, fu di richiamare a Versailles delle truppe regolari, il reggimento di Fiandra, misura che apparve subito ai liberali come una provocazione. Ma il peggio doveva ancora arrivare; il primo ottobre, nel corso di un pranzo di benvenuto offerto agli ufficiali del reggimento di Fiandra, all’apparire nella sala del Re e della Regina col Delfino, i convitati esplosero in acclamazioni ai sovrani, calpestando le coccarde tricolori ed innalzando la coccarda bianca del Re e nera della Regina.

Questi gesti, quanto meno provocatori o imprudenti, fecero esplodere l’indignazione a Parigi, già da giorni in agitazione per la carestia e la grave scarsità di pane; Marat e Danton che muovevano i primi passi in politica, proponevano di marciare su Versailles, ma chi si mosse in realtà furono le donne. Il 5 ottobre, un gruppo di donne iraconde per l’aumento dei prezzi e la scarsità di pane forzò l’ingresso de l’Hotel de la Ville e si impadronì di alcune armi, chiamando poi a raccolta altre popolane. Un rivoluzionario della prima ora, un certo Marillard, eccitò la loro rabbia e si pose alla testa del corteo guidandole verso Versailles; a loro si accodò presto Lafayette con la sua guardia nazionale; colto inizialmente di sorpresa, si proponeva di controllare la manifestazione, convinto di poter evitare il peggio, ogni spargimento di sangue. Versailles dista 20 km da Parigi, la colonna che si andava ingrossando ad ogni tappa giunge alla reggia verso le 16:30 ed una delegazione di cinque popolane riesce a farsi ricevere dal Re. Luigi ascolta benevolmente le loro richieste e dà ordine di aprire anche i granai reali per sfamare la folla; il problema della carestia sembrava risolto, Luigi aveva anche firmato a malincuore, di gran fretta, i decreti oggetto di contestazione, ma la folla restava inquieta e inappagata, cominciava a circolare l’idea di far trasferire i reali a Parigi: iniziò una notte di terrore per i reali, che non potevano più neppure pensare alla fuga, anche i soldati del reggimento di Fiandra avevano fraternizzato con la folla. All’alba, un gruppo di dimostranti, approfittando di un ingresso non sorvegliato, riuscì ad entrare nel palazzo giungendo fino agli appartamenti della Regina, che dovette fuggire mezza svestita; alcune guardie che avevano cercato di opporsi furono massacrate, le loro teste issate su delle picche; Lafayette, dispiegate le sue truppe, riuscì ad evitare il peggio, ma fu lui stesso a consigliare ai sovrani di presentarsi alla folla in mattinata. Così la mattina del 6 ottobre, il Re, la Regina ed il Delfino si mostrarono da un balcone alla folla, che chiedeva a gran voce il ritorno del Re a Parigi. A Luigi non restava che piegarsi: verso mezzogiorno un corteo con la carrozza reale preceduta dalla Guardia Nazionale, dai carri con la farina e dai rivoltosi che issavano su picche le teste dei soldati massacrati si mosse verso Parigi; la folla gridava felice che stava riportando in città il fornaio, la moglie e il fornarino. La sera stessa i reali dormirono alle Tuileries, che vedete a destra, come erano all’epoca.

La giornata del 6 ottobre fu, agli effetti pratici, più importante ancora della presa della Bastiglia; sia il Re che l’Assemblea (che dichiarò di non potersi separare dal Re) tornavano in città, esposti alla pressione della piazza che andrà crescendo e si dimostrerà determinante in tante future circostanze; il quadro politico era improvvisamente cambiato, la Rivoluzione aveva un nuovo importante protagonista, il popolo (o la piazza). 

Chi trasse il maggior profitto immediato dagli eventi di quel giorno fu Lafayette; allibito, al principio, per la svolta inattesa presa da una giornata, cui non aveva in sostanza partecipato, comprese subito come avvantaggiarsene: da un lato, dopo aver protetto i reali con i suoi armati, convinse le sezioni parigine a sottoscrivere sincere mozioni  di lealismo monarchico ed a sconfessare i responsabili degli eccessi, dall’altro favorì la repressione dei moti reazionari esplosi a Nimes e ad Avignone (che era ancora un feudo papale!!), soprattutto si adoperò per convincere il Re che aveva tutto da guadagnare a riconciliarsi con la Rivoluzione ed a troncare le speranze degli aristocratici; giunse al punto di fargli dichiarare di fronte all’Assemblea (4 febbraio 1790) che sia lui che la Regina avevano accettato senza alcuna riserva mentale il nuovo ordine di cose, invitando tutti i francesi a fare altrettanto!!

Per più di un anno “l’eroe dei due mondi”, sarà il primo attore della vita politica francese, necessario trait d’union tra monarchia e mondo politico, capace soprattutto di rassicurare la borghesia contro il doppio pericolo che la minacciava, a destra i complotti aristocratici, a sinistra la spinta dei proletari. La sua autorità era soprattutto un’autorità morale, sia la borghesia progressista che la corte si erano poste sotto la sua protezione.

 

I Club

Apriamo qui una parentesi per illustrare caratteristiche e lineamenti di nuovi organismi, nati spontaneamente e destinati ad avere un’influenza determinante sul futuro della nazione, i “Club”. Il rinnovamento dell’atmosfera politica conseguente il trasferimento a Parigi dei Reali e dell’Assemblea non poteva mancare di richiamare nuovi attori sulla scena; i primi fra questi a presentarsi all’attenzione dei francesi furono delle associazioni politiche, denominate, sull’esempio americano, “Club”. Uno dei promotori di questo fenomeno fu proprio Lafayette, al quale non mancava  spirito politico, aveva infatti appreso in America l’importanza dei club nell’orientare l’opinione pubblica; fu quindi tra i primi a dare la sua adesione ad un club, derivato, sembra da un’associazione di deputati bretoni, che tenne la sua prima riunione nel novembre del 1789, con il nome di “Società degli amici della Costituzione”; ben presto però tutti lo identificarono con il luogo dove si tenevano le sue riunioni, il Convento di San Giacomo (a destra), e da qui il nome universalmente noto di “ Club dei Giacobini”.

Inizialmente al club aderirono personalità di tutti gli orientamenti, da Lafayette a Mirabeau, ai Lameth, al duca di Chartres, figlio dell’Orleans, allo stesso Robespierre; il club era quindi un contenitore universale, un crogiuolo di idee che attraverso club associati si diffondevano in tutta la Francia; si proponeva inizialmente di preparare ogni misura per assumere l'egemonia politica nell'Assemblea Nazionale e per dirigere l'opinione pubblica nel senso della Rivoluzione. Purtroppo per lui, Lafayette non era un oratore, non aveva le doti dialettiche per imporsi ad un’assemblea: queste doti non mancavano invece al suo grande antagonista, Maximilien Robespierre, che il 31 marzo 1790 riuscì a farsi eleggere presidente del club. Lafayette si rese conto allora che il controllo del Club gli sfuggiva di mano: con l’aiuto di alcuni amici fondò nel maggio del ’90 una nuova associazione, la “Società dell’89”, che teneva le sue riunioni al Palais Royal: fu un grave errore tattico, il nuovo club si qualificò fin dall’inizio come un circolo elitario (anche per le quote di adesione elevate), più che un punto di aggregazione, mentre la diaspora dei moderati lasciava il ben più importante antecedente nelle mani degli estremisti antimonarchici; progressivamente  il termine giacobino assunse quindi il significato che conosciamo. 

Non era finita qui; la crisi economica conseguente la svalutazione degli assegnati, di cui parleremo nel seguito, non poteva mancare di destare un profondo malcontento tra i ceti più deboli nelle città; si moltiplicarono nell’inverno tra il 90 ed il 91, soprattutto a Parigi, società fraterne o società di quartiere, che aggregavano questo malcontento. Ben presto le società fraterne si associarono con un nuovo club nato nell’estato del 1790 con il nome di “Società degli Amici dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, poi universalmente nota con il luogo dove si tenevano le prime riunioni, ancora una volta un convento, il convento dei Cordiglieri, quindi Club dei Cordiglieri; i Cordiglieri non erano un’accademia di opinione, ma un gruppo di combattimento; si dichiarano i protettori degli oppressi, i raddrizzatori dei torti , i difensori dei patrioti perseguitati, davano voce alle fasce più basse della popolazione, quelle escluse dai diritti elettorali . Trovarono una guida politica in un personaggio di grande statura e di primaria importanza nella Rivoluzione, Jean Paul Marat, che sarà detto l’Ami du Peuple”; Marat aveva infatti compreso quanto i club ad uso dei poveri potessero servire la causa democratica favorendo l’educazione politica delle masse, inquadrando i battaglioni popolari, fornendo una massa d’urto capace di travolgere ogni ostacolo nelle situazioni critiche che si presenteranno.

Sorsero poi anche club dichiaratamente moderati o di destra, un’altra “Società degli amici della Costituzione”, nota poi come Club dei Foglianti (anche questo dal nome di un convento), fondato da Lafayette nell’ultimo periodo della Costituente in sostituzione della Società dell’89; i Foglianti furono una fazione influente, riunivano la grande borghesia e la nobiltà liberale, cioè i protagonisti degli esordi della Rivoluzione; giocheranno un ruolo importante nel breve periodo di vita dell’Assemblea Legislativa, schierandosi in prevalenza dalla parte della Corte.

Non bisogna comunque commettere l’errore di identificare i club con gli attuali partiti politici, niente di più sbagliato, non erano previsti organi direttivi, né regole di affiliazione, né disciplina di partito, spesso all’interno dello stesso club si combattevano orientamenti opposti, talora gli stessi personaggi aderivano a club diversi; prevalevano e dettavano gli orientamenti politici i personaggi dotati delle migliori capacità oratorie.

I Club saranno comunque decisivi per gli sviluppi della Rivoluzione, due soprattutto; prima i Cordiglieri per la capacità di Marat di irregimentare i ceti più umili della popolazione parigina, organizzando petizioni, adunate, sommosse; i Cordiglieri saranno il Club del popolo minuto. Poi i Giacobini, un club più politico, dove siederanno sia i Girondini, cioè la fazione moderata di cui parleremo in seguito, sia i Robespierre, i Danton, i Saint Just, partecipava spesso anche Marat; risultarono fra tutti il Club più autorevole, grazie anche alle sue diramazioni provinciali, quello capace più di ogni altro di influenzare i lavori e le decisioni delle Assemblee; in molte circostanze, la dinamica degli scontri fra le fazioni in esso rappresentate determinerà le sorti politiche della Francia. 

 

I grandi cambiamenti.

Torniamo a noi all’Assemblea che di fatto guidava la Francia, cioè la Costituente. Nessuna Assemblea ha mai goduto del prestigio della Costituente; durante tutto il periodo dei suoi lavori esercitò poteri pressoché assoluti.  Aveva peraltro un compito immane, non solo e non tanto scrivere un testo costituzionale, quanto proprio di “costituire” la Francia, farne una nuova realtà. 

Al centro del progetto politico dei costituenti restava sempre la figura del Re, che cambia però radicalmente i suoi lineamenti; era stato: “Luigi, per grazia di Dio, Re di Francia e di Navarra”. Dal 10 ottobre 1789 diviene: “Luigi, per grazia di Dio e per la Costituzione, Re dei Francesi”. La monarchia perde il suo sacerdozio, la sua sacralità, non è più una monarchia “patrimoniale” come nel Medioevo, il Re non era più la Francia; il Re diviene il primo funzionario dello stato, soggetto alla Costituzione; funzionario stipendiato, in quanto non gli è più concesso di attingere liberamente alle casse dello stato, ma gli è attribuita una lista civile. Il Re può scegliersi i suoi ministri, che però sono responsabili nei confronti dell’assemblea, cui devono rendere periodicamente conto dell’andamento e delle spese del loro dicastero; il Re non può far nulla senza la firma di uno dei suoi ministri e questo obbligo alla doppia firma gli toglie ogni velleità di iniziativa personale. Il Re nomina generali ammiragli ambasciatori, quindi dirige la diplomazia, ma non può né dichiarare guerra, né concludere trattati di qualunque sorta, senza il previo consenso dell’Assemblea.  Al Re rimane un simulacro di potere legislativo, grazie al suo diritto di veto sospensivo sulle leggi, ma questo veto non è applicabile né alle leggi costituzionali, né alle leggi fiscali: l’uso del potere di veto sarà uno dei motivi di scontro tra la monarchia e le Assemblee.

Il drastico ridimensionamento dei poteri e delle attribuzioni regali fu un fatto voluto, non casuale; i delegati sentivano di non potersi fidare di Luigi, la cui adesione al nuovo ordinamento appariva quanto meno tiepida o reticente; bruciava ancora il suo rifiuto a ratificare i provvedimenti dell’agosto; provvedimenti cui, alla fine, con la morte nel cuore, Luigi aveva concesso la ratifica sotto la minaccia della violenza popolare.

La struttura varata dalla Costituente assomigliava quindi, più che ad una monarchia costituzionale, ad una repubblica con simulacro di monarca al vertice; repubblica borghese, però perché nata dal volere di una borghesia che aveva soppresso i diritti di nascita, ma conservava e consolidava i diritti di censo. I cittadini vennero distinti in cittadini passivi e cittadini attivi, che disponendo di un certo censo erano gli unici titolari del diritto di voto; alle elezioni del 1791, i cittadini attivi risultarono essere 4 milioni trecentomila, su di una popolazione di 26 milioni di persone. Una netta opposizione a questa distinzione la condusse Robespierre, che fin da questo momento si presenta come il paladino degli umili, non accetta che “l’aristocrazia feudale venga sostituita dall’aristocrazia della ricchezza”, vorrebbe per tutti un’uguale dignità politica; la otterrà infine alla Convenzione, ora i tempi non erano maturi. I cittadini attivi sono gli unici che possono entrare nella Guardia Nazionale; tra di questi, poi, una fascia ancora più ristretta per reddito era la fascia degli eleggibili; si trattava quindi di un sistema elitario in funzione del censo, niente di paragonabile ad una democrazia, come la intendiamo oggi.   

Malgrado questi limiti, l’opera della Costituente fu di grande portata; la giustizia fu totalmente rinnovata, uniformando corti e tribunali a criteri omogenei, in applicazione di un'unica legge: furono soppresse tortura, gogna, marchiatura, ammende, le pene furono commisurate al crimine e stabilite per legge, non lasciate all’arbitrio del giudice. La giustizia fu resa totalmente autonoma ed indipendente dall’esecutivo. 

Anche in campo amministrativo la riforma fu drastica; scomparve d’un tratto tutto il retaggio del medioevo, l’incredibile intrico di divisioni amministrative, baliaggi, generalità, governi locali, dove legislazione e competenze si sovrapponevano in forme inestricabili. Si varò una suddivisione unica in dipartimenti, a loro volta divisi in distretti, cantoni e comuni, gestiti tutti da organi elettivi; mentre per dipartimenti e distretti, gli organi amministrativi erano designati con suffragio censuario a doppio turno, le nuove municipalità erano nominate con suffragio diretto, con una soglia censuaria minima; ogni quartiere costituiva una sezione elettorale, cui veniva assegnato un ufficiale municipale: in questo modo le municipalità erano in continuo contatto con la popolazione, di cui riflettevano fedelmente i sentimenti. Questo spiega la crescente importanza che comuni e “sezioni” comunali avranno nel futuro prossimo, anche politico, della Rivoluzione.  

Una nuova Francia vedeva la luce.

 

Inserito il:28/11/2024 10:54:28
Ultimo aggiornamento:28/11/2024 19:01:18
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