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La Rivoluzione Americana (9) - Fine della guerra e abolizione dello schiavismo
di Mauro Lanzi
Un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, sono le parole chiave del discorso di Gettysburg, che rappresentò una pietra miliare nella storia degli Stati Uniti; nei primi due anni di conflitto Lincoln aveva sempre considerato l’unione il valore da difendere, non l’antischiavismo sul quale era disposto a compromessi, anche perché questa era l’opinione della maggioranza del congresso; ora, forse , si rende conto che i due aspetti sono inscindibili, che senza un forte aggancio ai valori fondanti, espressi nella Dichiarazione d’Indipendenza, libertà ed uguaglianza per tutti gli uomini, governo di tutto il popolo per tutto il popolo, anche l’unione non avrebbe più avuto un senso o una sostanza. Il significato del discorso di Gettysburg è appunto questo, mettere alla base di tutto la Dichiarazione d’Indipendenza ed i valori in essa proclamati, perché una nazione poteva esistere, se c’era un popolo che si riconosceva in quei valori.
Negli anni a seguire Lincoln si dedicò con uguale energia alla prosecuzione della campagna militare ed all’obiettivo politico dell’abolizione dello schiavismo. Sul piano militare, respinte le proposte di pace negoziale, la nomina di Ulysses Grant al vertice delle forze armate accelerò i tempi della conclusione ormai inevitabile del conflitto; Grant dimostrò di essere un comandante energico ed anche spietato; di suo, avrebbe preferito applicare una strategia di logoramento, distruggendo sistematicamente fabbriche, fattorie, vie di comunicazione per dissanguare il nemico, ma la politica di Washington lo incalzava, si esigevano risultati sostanziali ed immediati. Per tutto il 1864 Grant sviluppò una strategia di attacchi coordinati, per impegnare l’avversario su più fronti, alternandoli con attacchi frontali, senza risparmiare le vite dei suoi uomini, dai quali ricevette l’appellativo di “Butcher”, macellaio; alla fine, ai primi di settembre, un suo subordinato, Sherman riesce ad entrare in Atalanta e da lì inizia il collasso dei confederati; le diserzioni tra le loro file si moltiplicano.
Il 3 Aprile 1865 si arrende Richmond, capitale confederale, che le truppe del generale Lee avevano dato alle fiamme prima di ritirarsi, il 9 Aprile, ad Appotomattox, dopo un ultimo vano tentativo di resistenza, Robert E. Lee, impeccabile nella sua divisa grigia, la spada con l’elsa dorata, si arrende al generale Grant, impolverato ed infangato; altre unità sudiste cessano le ostilità nei giorni o nei mesi successivi, il presidente Jefferson Davis è arrestato il 10 maggio, mentre tentava di fuggire verso il Messico.
Contemporaneamente allo svolgimento dei combattimenti, Lincoln portava avanti il programma per l’abolizione della schiavitù. Già nel gennaio del 1863 Lincoln aveva emesso due ordini esecutivi, noti come “Proclama di emancipazione”, in virtù del quale dovevano essere liberati tutti i neri nei territori controllati dall’Unione. Questo però non bastava, un ordine presidenziale poteva essere modificato o annullato, ci voleva una disposizione più radicale ed incontestabile, che definisse illegale lo schiavismo, che divenisse parte integrante della costituzione. Così, nel dicembre 1863 la proposta di emendamento costituzionale veniva presentato al Parlamento: mentre il Senato concesse subito la sua approvazione, per ottenere l’approvazione del Congresso, con la necessaria maggioranza di due terzi, si dovette attendere il 31 gennaio 1865, dopo un’estenuante opera di convincimento condotta personalmente da Lincoln e dai suoi collaboratori. Il XIII Emendamento diventò legge l’8 dicembre 1865.
Capitalismo, finanza ed industria: una nuova America.
Alcuni storici hanno definito, senza mezzi termini, la guerra civile una rivoluzione capitalista; sicuramente c’è dell’esagerazione in questa affermazione, ma è fuori di dubbio che questo periodo instradò l’America verso quel tipo di sviluppo economico basato su commercio, banche ed industria propugnato a suo tempo da Alexander Hamilton, cioè un nuovo modello di capitalismo finanziario; forse è da questo momento che democrazia e capitalismo divengono concetti strettamente collegati; da più di un secolo, non solo nel mondo contemporaneo, non c’è una sola democrazia che non sia espressione del liberismo economico e del capitalismo.
Al momento del primo insediamento di Lincoln, il Tesoro degli Stati Uniti era praticamente in bancarotta, l’unica entrata certa erano i dazi doganali e, non potendoli più esigere dai porti del sud, il deficit della finanza pubblica era un dato di fatto. Decenni di politica economica democratica avevano lasciato il paese senza una Banca Centrale, senza una valuta nazionale, senza una politica fiscale; la nazione non esisteva, era un organismo senza carne né sangue.
I repubblicani si trovarono quindi davanti ad un compito immane, dovendo far fronte, oltre al deficit pregresso, alle nuove esigenze finanziarie generate dalla guerra; il primo espediente adottato, fu il ricorso al credito, sia delle banche che dei privati; la raccolta di fondi così ottenuta, per quanto rilevante, non era però sufficiente a colmare la voragine delle spese militari sempre crescenti; così, nel 1862 Lincoln autorizzò l’emissione dei cosiddetti greenbacks, che, presentati inizialmente come titoli di credito, divennero il principale, poi unico circolante, la cartamoneta dell’Unione, il dollaro; i greenbacks finanziarono la guerra. Inevitabilmente la circolazione di cartamoneta incrementò l’esposizione della finanza pubblica, che non avrebbe potuto sostenersi senza una parallela crescita delle entrate e dell’economia; sul versante delle entrate, la prima misura assunta dal Congresso fu un robusto incremento dei dazi sui prodotti d’importazione, comprese le materie prime; era l’embrione del protezionismo da tempo reclamato dall’industria del nord, che poté iniziare una fase d’impetuosa crescita al riparo dalla concorrenza internazionale; il Congresso poi rivolse la sua attenzione anche all’imposizione fiscale interna, varando una serie di misure che introducevano la tassazione sul reddito e sulla produzione.
In parallelo, sotto la potente spinta delle forniture militari, cresceva l’economia; i soldati al fronte non avevano bisogno solo di armi e munizioni o di mezzi di trasporto, ma anche di divise e di scarpe, un nuovo paio di scarpe ogni tre mesi, una nuova divisa ogni quattro; infine anche di razioni alimentari: la razione standard di un soldato nordista consisteva, fondamentalmente, di 500 gr di carne salata, manzo o maiale, e di 250 gr di gallette o pane secco. Queste razioni individuali venivano integrate, a livello compagnia, da cibo in scatola, piselli ed altre verdure, oltre al latte condensato, la cui invenzione risale proprio a questo periodo; i militari del sud, al confronto, pativano la fame.
Le ricche fattorie del Midwest furono spronate ad aumentare la loro produzione; la scarsità di manodopera, conseguente al reclutamento di contingenti militari in misura sempre crescente, obbligò le aziende agricole a fare largo ricorso alla meccanizzazione; il numero di trebbiatrici, trattori, erpici meccanici triplicò in pochissimi anni, causando un rapido aumento della produttività; le fattorie del nord non solo furono in grado di soddisfare le crescenti richieste di frumento e granoturco dell’esercito, ma anche ad incrementare le esportazioni verso l’Europa, che nel corso della guerra aumentarono di ben 30 volte, divenendo una delle principali voci di esportazione. Prosperò, oltre al settore primario, anche il secondario, la lavorazione dei beni agricoli; il pellame degli animali macellati veniva trasformato in cuoio, impiegato per i finimenti di muli e cavalli, ma anche per gli scarponi dei soldati; la lana serviva al tessuto delle divise. Nasceva anche una nuova branca aziendale, quella dedicata alla conservazione degli alimenti in scatola, latte, frutta, verdura; Chicago divenne il primo centro, a livello mondiale, per la lavorazione delle carni. Dalla guerra emerge un’economia con lineamenti totalmente differenti rispetto al periodo precedente, un’economia in cui la produttività trascinava la crescita.
L’incremento delle entrate fiscali ed il parallelo sviluppo dell’economia misero la cartamoneta, il dollaro, al riparo da ogni rischio di svalutazione, anzi, l’aumento del circolante fece da propulsore ad investimenti, finanza e commercio; insensibilmente, senza che nessuno se ne rendesse conto, si veniva ad affermare quanto sarà in futuro oggetto delle moderne teorie monetaristiche, cioè che il valore della cartamoneta non è l’espressione di una parità, vera o presunta, con il metallo di riferimento (di solito l’oro), ma dell’equivalenza del circolante con il volume globale di prodotti e servizi generati dall’economia.
Il mandato di Lincoln scadeva nel 1865 e Lincoln stesso dubitava delle sue possibilità di essere rieletto; gli vennero in soccorso le vittorie sul campo, in particolare la conquista di Atalanta nel settembre del 1864, che segnò l’inizio della fine per i confederati; Lee si arrese il 9 Aprile 1865. Rieletto presidente ed insediatosi per il secondo mandato il 3 marzo 1865, Lincoln non fece a tempo a godere dei suoi successi su entrambi i fronti, la guerra e l’antischiavismo, soprattutto non riuscì ad avviare il vasto programma di ricostruzione del Sud che aveva in mente: il 14 Aprile 1865, poco dopo le 22, mentre assisteva ad uno spettacolo teatrale con la moglie ed alcuni amici, Lincoln venne ferito a morte con due colpi di rivoltella da un fanatico sudista, John Wilkins Booth; mentre sparava, Booth avrebbe gridato una frase: “Sic semper tyrannis”.
Secondo una tradizione apocrifa, diffusa nei paesi anglosassoni, queste parole sarebbero state pronunciate da Bruto durante l’attentato a Cesare; Booth proveniva da una famiglia di attori, sembra che avesse recitato lui stesso nel Giulio Cesare, è quindi probabile che conoscesse la frase. Siccome né Tacito, né Svetonio, né Plutarco citano queste parole, il precedente storico è certamente un falso, ma la frase è rimasta nell’immaginario collettivo americano ed è stata utilizzata, anche con la sola sigla SST, da diversi movimenti di protesta americani, anche di recente, in occasione di un fallito attentato a Clinton.
L’assassinio di Lincoln rappresentò una perdita gravissima per gli Stati Uniti; poco prima della sua morte, il presidente caldeggiava due programmi di importanza essenziale: un piano di ricostruzione, molto generoso verso il Sud e l’estensione ai neri affrancati del diritto di voto: i suoi successori non seppero o non vollero attuare tempestivamente questi programmi; ciò fu causa di un profondo rancore tra le popolazioni del Sud, rancore durato molti anni, mentre il mancato riconoscimento dei diritti dei neri porterà a tensioni sociali estese fino ai nostri giorni.
Malgrado ciò, il retaggio della presidenza di Lincoln (e della guerra civile) è di immensa portata; anche se un’effettiva parità tra bianchi e neri richiederà più di un secolo per realizzarsi, la via era stata segnata, i valori alla base della democrazia americana stabiliti in forma irrefutabile, una rivoluzione sociale di portata epocale era stata avviata. Contemporaneamente le basi di una nuova economia erano state gettate. Ma soprattutto l’America non si divise in due o più nazioni; gli Stati Uniti rimasero uniti, come stato e come società, riconoscendosi negli stessi valori fondanti.
Il processo iniziato con la Rivoluzione Americana si completa con la Guerra Civile: dalla Guerra Civile nasce la nazione americana.