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La Rivoluzione Francese (15) - Robespierre
di Mauro Lanzi
Abbiamo visto nel precedente articolo gli eventi che portarono al “Termidoro”, cioè alla congiura che abbatté il potere di Robespierre e condusse sulla ghigliottina lui stesso con i suoi seguaci.
Con la morte di Robespierre termina il periodo eroico o il periodo più creativo e innovativo della Rivoluzione; la nostra narrazione potrebbe anche arrestarsi qui, quello che segue è restaurazione. Di restaurazione dovremo comunque parlare; però, prima di trattare, sia pur brevemente, di restaurazione, e fine della rivoluzione, ci è parso opportuno aggiungere un capitolo dedicato alla figura di Robespierre, il quale, malgrado la sua fine drammatica, rimane comunque una delle personalità più eminenti di tutta la Rivoluzione Francese e forse anche di tutta l’età moderna; personaggio controverso, ammirato, temuto, ossequiato, ma anche odiato in vita, post mortem è stato oggetto di critiche feroci, ma anche di rivalutazioni da parte di molti storici contemporanei: secondo Anatole France è stato il più grande statista comparso sulla scena francese tra il 1789 ed il 1794, Mathiez lo definisce il padre delle moderne socialdemocrazie, per George Sand fu il più grande uomo della Rivoluzione ed uno dei più grandi dell’età moderna; poi ci sono anche i critici, secondo cui è impensabile scindere la figura di Robespierre dalle responsabilità e quindi dalle stragi del Terrore. Robespierre non fu mai amato dai francesi, che hanno dedicato monumenti e statue ai Girondini e a Danton, ma a Robespierre non hanno mai riservato un riconoscimento adeguato, anche dopo la sua morte; i suoi resti non sono mai stati ritrovati.
Ci sembra quindi giusto chiedersi chi è stato veramente Robespierre, quali furono le sue idee, i suoi meriti, le sue colpe, quale il suo disegno politico e per quali motivi fallì.
Massimiliano Robespierre nasce ad Arras il 6 maggio 1758, in una famiglia di quattro figli, due sorelle ed un fratello Augustine, che lo seguirà nel suo percorso politico fino alla ghigliottina; sia il padre che il nonno erano avvocati ed avvocato diventerà anche lui nel 1781, grazie ai nonni, perché il padre dopo solo 5 anni dalla sua nascita abbandonò, per motivi a noi ignoti, la professione e la famiglia. Indubitabilmente una adolescenza così difficile, priva di affetti (anche la madre morì presto), lasciò i suoi segni sul carattere del giovane, un carattere chiuso ed introverso, forse bloccato dalla timidezza nei rapporti interpersonali, incapace di slanci o di empatia; non gli si attribuiscono rapporti amorosi duraturi, si è parlato di alcune infatuazioni giovanili, rimaste senza seguito; era fondamentalmente un uomo solo; non lo aiutava certo una salute cagionevole che lo tenne lontano dalla scena politica in diverse circostanze, l’ultima ricordiamo il mese che precedette il 9 Termidoro.
Anche i detrattori più accaniti hanno sempre riconosciuto a Robespierre una assoluta integrità personale, viveva dell’indennità parlamentare, non approfittò mai delle tante opportunità che la Rivoluzione offriva per arricchirsi, come invece fecero sia i suoi colleghi che i suoi avversari. Altro aspetto di cui gli va dato credito e che spiega il suo successo in politica è la capacità di guidare le assemblee, di cui intuiva gli umori e le propensioni, per dominarle poi con la sua eloquenza; non per caso, ancora giovane delegato alla Costituente, riuscì a farsi eleggere presidente del Club dei Giacobini; i Giacobini rimasero sempre per lui un saldo piedistallo politico, da cui poteva far sentire la sua voce ed esercitare la sua influenza anche nel periodo della Legislativa, quando si era, per sua stessa scelta, escluso dall’Assemblea.
Il suo percorso politico è fatto di luci e di ombre, di inflessibile coerenza in certi principi e di palesi contraddizioni in altri; se c’è un punto però su cui Robespierre rimase sempre assolutamente coerente, anche quando si dovette scontrare con fazioni a lui avverse, è la difesa degli umili, degli strati più bassi della popolazione; già ai tempi della Costituente si era violentemente opposto alla distinzione tra cittadini attivi e passivi, questi ultimi esclusi non solo dai diritti elettorali, ma anche dall’arruolamento nella Guardia Nazionale. Robespierre insorge contro questa distinzione, che definisce anticostituzionale ed antisociale; così proclama, con parole di altissimo profilo, le sue idee in un suo discorso alla Costituente:
«Tutti i cittadini, di qualunque condizione, hanno diritto di aspirare a tutti i gradi di rappresentanza politica. Nulla dovrebbe essere più conforme alla vostra Dichiarazione dei diritti, di fronte alla quale ogni privilegio, ogni distinzione, ogni eccezione deve scomparire. La Costituzione stabilisce che la sovranità risiede nel popolo, in ogni individuo del popolo. Ogni individuo ha dunque diritto di partecipare alla formulazione della legge cui è sottomesso e all'amministrazione della cosa pubblica che è la sua, altrimenti non è vero che tutti gli uomini sono eguali nei diritti e che ogni uomo è un cittadino.
Poi ribadisce:
“L’aristocrazia sussiste nella sua forma più insopportabile di tutte, quella dei ricchi a scapito dei poveri”. E poi ancora, riguardo alla Guardia Nazionale: “L’uomo armato è padrone di chi non lo è”.
Con le elezioni alla Convenzione Robespierre riuscirà a cancellare questa distinzione, le elezioni furono a suffragio universale; proseguirà poi con la difesa dei più deboli in tutti i modi possibili, con requisizioni alimentari, con il calmiere per le derrate di prima necessità, con le leggi contro accaparratori e speculatori; significative sono le parole che fece inserire nel testo della “Costituzione dell’Anno I”: “I pubblici soccorsi sono un dovere sacro. La società deve provvedere alla sussistenza dei cittadini sfortunati, sia procurando loro lavoro, sia assicurando i mezzi di sostentamento a coloro che non sono in grado di lavorare.” Oggi parole simili sono sulla bocca di quasi tutti i politici, ma allora, in un’Assemblea di benestanti, erano assolutamente rivoluzionarie; peccato che questa Costituzione non vide mai la luce.
Robespierre viene spesso citato per le sue esortazioni morali, il richiamo alla Virtù come valore fondante della nazione, ma aveva anche ben chiaro il concetto di democrazia, che così definisce in un discorso alla Convenzione del febbraio 1794:
“Uno stato democratico è quello in cui il popolo sovrano, guidato da leggi da lui stesso promulgate, interviene direttamente dove può o attraverso suoi delegati, dove non può. La democrazia è la sola forma di governo in cui tutti i cittadini possono riconoscersi nello stato; uno stato democratico tutela l’uguaglianza e la pienezza dei diritti civili di tutti gli uomini”
Altro aspetto che bisogna riconoscere a Robespierre è la sua difesa coerente ed inflessibile della libertà di culto e dell’uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge; vale la pena ricordare che la Francia fu il primo stato in Europa a cancellare ogni discriminazione nei confronti della religione ebraica e degli ebrei. Non solo, Robespierre si oppose sempre all’ateismo, affermando che "L'ateismo è aristocratico", proseguendo l'accusa dicendo che, con il pretesto di distruggere la superstizione, alcuni volevano fare dell’ateismo una specie di religione, pertanto bisognava opporsi a coloro che "pretendono di turbare la libertà dei culti in nome della libertà e di attaccare il fanatismo con un nuovo fanatismo". Concluse: "Proscrivere il culto? La Convenzione non ha mai fatto questo passo temerario né mai lo farà. Ritornò sull’argomento al Club dei Giacobini: "Non tollereremo che si innalzi lo stendardo della persecuzione contro alcun culto" fu la chiusura di un suo discorso. Il 6 dicembre 1793, Robespierre farà votare alla Convenzione un decreto in cui è stabilito che "La Convenzione Nazionale proibisce qualsiasi violenza o minaccia contraria alla libertà dei culti".
Poi sappiamo che, di suo, Robespierre promoveva il culto dell’Essere Supremo, di cui fece celebrare una grande festa nell’Aprile 1794; il nuovo culto nazionale cercava una conciliazione tra opposte visioni tramite una religione civile patriottica, naturalistica e rivoluzionaria.
Il vero sacerdozio dell’Essere Supremo è quello della Natura; il suo tempio è l’universo; il suo culto, la Virtù; le sue feste, la gioia di un grande popolo, riunito sotto i suoi occhi per stringere i dolci nodi della fratellanza universale e per fargli omaggio dei propri cuori sensibili e puri.»
Robespierre lo fece dichiarare anche religione di stato, ma non fece mai nulla per imporlo a chi la pensava diversamente.
Su altri punti, bisogna riconoscerlo, Robespierre non fu sempre coerente nelle sue posizioni politiche originali; nel ‘91 il regime repubblicano non gli sembrava indispensabile, anche dopo la fuga dei reali a Varennes; ne diviene acceso fautore solo dopo il 10 Agosto del ’92, fino a propugnare il processo e la pena capitale per i regnanti.
Altro stridente voltafaccia riguarda la libertà di stampa; sotto la Costituente la libertà di stampa è per lui un dogma, deve essere per lui ”intera ed illimitata, altrimenti cessa di esistere”, al punto che si oppone a che sia proibita la vendita anche delle stampe licenziose. Il suo atteggiamento cambia radicalmente nel 1793, i due principali fogli girondini sono costretti a scomparire, non solo, il 6 Giugno, Robespierre chiede alla Convenzione di “prendere le più severe misure per arrestare i giornalisti infedeli, che sono i più pericolosi nemici della libertà”. In pratica si mette il bavaglio alla stampa, nessuno se la sente più di rischiare la testa per un reato di opinione; l’unico che prosegue imperterrito a criticare il regime sul suo giornale è Camille Desmoulins, che infatti finisce sulla ghigliottina insieme a Danton.
Più clamoroso e significativo ancora è il cambiamento di Robespierre riguardo la pena di morte; ai tempi della Costituente, Maximilien si era battuto convintamente per la sua abolizione, che non fu accettata dai delegati. Poi tutto cambia; non solo Robespierre, con i suoi interventi, trascina, in pratica, Luigi XVI sul patibolo, ma inizia a far uso del Tribunale Rivoluzionario per eliminare i suoi avversari politici, prima i Girondini, poi gli “Ultra”, gli Hebertisti, infine gli “Indulgenti”, Danton e soci e molti altri ancora
Il numero delle vittime causate dal periodo del Terrore è quantificabile con difficoltà. Il Tribunale Rivoluzionario emise più di cinquemila condanne a morte, non tutte eseguite; ma questa statistica non tiene in conto le condanne emesse da organi periferici; la conta arriverebbe secondo alcuni a 16.500 vittime. Secondo altri storici, i morti sarebbero stati 70.000, prevalentemente appartenenti alla media borghesia. Altri ancora parlano, con le approssimazioni del caso, di circa 35.000 esecuzioni, delle quali ben 12.000 senza processo. Ma c’è di peggio; la metodica cancellazione di ogni forma di dissenso fu eseguita anche mediante l’incarcerazione di circa 100.000 persone, alcuni studiosi arrivano addirittura a stimarne 300.000, soltanto perché considerate “sospette”; l’arbitrarietà di tutte queste misure faceva sentire tutti in pericolo, siamo di fronte ad una vera e propria dittatura imposta col terrore.
Ora, dipingere Robespierre, per questi fatti, come un mostro con le mani lorde di sangue è forse in parte eccessivo, ci furono responsabilità diffuse; Robespierre non deteneva affatto un potere assoluto e dittatoriale, ma solo una maggiore autorità morale in quanto leader della fazione maggioritaria, il Terrore era considerato dalla maggioranza dei delegati alla Convenzione come necessario per salvare la Rivoluzione, dai pericoli interni ed esterni; Maximilien, come in altri casi, si fa interprete dell’orientamento dell’Assemblea, anche se, bisogna riconoscerlo, non fa nulla per correggerne gli eccessi; è altresì difficile comprendere, data la sua propensione iniziale contro la pena capitale per principio, il perché di un cambiamento così netto da permettere ai tribunali di applicare processi sommari in gran numero, e quanto ne fosse davvero responsabile personalmente; senza dubbio non fu a conoscenza di ogni condanna, né le ordinò (come affermarono i suoi nemici), ma non vide o non volle vedere la degenerazione in atto nei principi rivoluzionari, o forse ritenne questa fase indispensabile per la rigenerazione di un sistema ritenuto completamente corrotto; mette la sua firma anche sull’infame legge del 22 Pratile, che toglie ogni garanzia di difesa agli accusati e di questo non si può non fargliene una colpa.
In campo economico, Robespierre, malgrado i suoi interventi coercitivi sul libero mercato, non fu un cripto-marxista come qualcuno ha sostenuto; era un democratico che agognava ad una società di uguali, sia per quanto riguarda i diritti politici, sia per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni essenziali di ogni individuo; in una società che non fosse in grado di assicurare a tutti almeno i mezzi di sussistenza, la ricchezza era, per Robespierre, un crimine.
A Robespierre faceva difetto, purtroppo, una formazione, pur minima, in materia di economia e finanza; non si rendeva conto che l’economia non si guida con i decreti o con i calmieri, che era l’inflazione il peggior nemico dei ceti più bassi, era l’inflazione l’affamatore del popolo. Così anche, nel suo pur generoso tentativo di dare dignità politica agli umili, Robespierre non si rende conto che il popolo non è maturo per assumere un ruolo attivo in politica; basti pensare, che, malgrado il voto aperto a tutti, tra i 750 eletti alla Convenzione due soli potevano dirsi dei proletari, un cardatore ed un operaio metallurgico. La partecipazione popolare agli eventi della Rivoluzione si era manifestata con le grandi giornate, l’insurrezione del popolo di Parigi; questi eventi avevano condizionato in diverse occasioni sia il governo che le Assemblee; ma, in primo luogo, Parigi non era la Francia, in secondo luogo non si può impostare la politica di una nazione su alcune agitazioni di piazza, che infatti verranno a mancare proprio nel momento più critico. Ci vorranno più di cento anni, perché il popolo si affacci a pieno titolo sulla scena politica.
Quindi, se vogliamo identificare le cause della caduta di Robespierre, forse la principale è proprio questa, la classe di cui si faceva paladino non aveva coscienza di se stessa, non poteva essere attore politico. Robespierre avrebbe voluto prolungare la dittatura di fatto che deteneva per impiantare nuove istituzioni civili, per abbattere il predominio della ricchezza, programma di per sé utopistico, ma reso del tutto irrealizzabile dalla latitanza del popolo.
Poi ci furono gli errori tattici; gli eccessi del Terrore, che avevano disgustato l’opinione pubblica, l’eliminazione fisica di tutti gli avversari, sia “Indulgenti”, che estremisti, Danton ed Hebert, che lasciò il CSP senza una sponda politica con cui confrontarsi; Robespierre rimase solo, esposto alle trame ed agli intrighi degli affaristi corrotti che non aveva saputo eliminare; forse, viene istintivo pensare, un Danton lo avrebbe salvato.
Il ritratto di Robespierre è quindi fatto di luci ed ombre; tra le ombre va sicuramente annoverato il Grande Terrore, l’uso indiscriminato della ghigliottina per eliminare gli avversari politici, e non solo; negli ultimi mesi del potere dei “triumviri” salirono al patibolo persone non solo innocenti, ma persino insignificanti, come la moglie di Demoulins, il chimico Lavoisier, l’ultima amante di Luigi XV, la Du Barry, ormai da tempo dimenticata da tutti; fu un’orgia di sangue insensata, che disgustò l’opinione pubblica oltre ogni dire, Robespierre non poteva, non doveva far finta di non vedere!!
Sull’altro versante, bisogna però dar credito a Maximilien di due fatti; primo, aver salvato, con la sua energia, la Rivoluzione nei momenti più difficili, la guerra ai confini e la rivolta in Vandea; per la prima volta nella storia moderna, per reagire ad una drammatica emergenza, si era organizzata la mobilitazione generale della nazione, proclamando il reclutamento in massa, si era assunta la guida dell’economia con calmieri e requisizioni, si era identificata la salvezza della Rivoluzione con la salvezza della patria; non erano cose da poco, il Terrore era stato, in qualche misura, un male necessario!!
In secondo luogo, a Robespierre va anche riconosciuto il merito di aver propugnato, con assoluta coerenza, un modello politico di grande levatura morale, una democrazia espressione di una società di eguali, una società senza ricchi né poveri, una società attenta ai bisogni di tutti. I tempi non erano maturi perché questo disegno si potesse in qualche misura realizzare, ma ciò nulla toglie alla statura morale e politica del personaggio che l’aveva concepito e propugnato.
Gruppo scultoreo al Pantheon di Parigi