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BOGIANEN in Sardegna (1)
di Annalisa Rabagliati
Andare in Sardegna per una breve vacanza non sempre significa spaparanzarsi sulla spiaggia di una deliziosa caletta o allungarsi su un lettino tra una schiera di ombrelloni. Per me è significato andare al mare solo un paio di volte, complice il poco tempo e il clima non sempre favorevole. Più che di una vacanza posso parlare di un itinerario di scoperta o riscoperta di luoghi raggiungibili velocemente in aereo o, in questo caso, con un viaggio in nave che pare non finire mai, ma che consente di avere sul posto la propria macchina a disposizione, per compiere un giro esplorativo in siti mai visti, nonostante sette precedenti soggiorni nell’isola.
La nostra vacanza sarda, in giugno, è durata otto giorni, di cui i primi tre in compagnia del coro La Gerla di Torino in cui canto. Infatti il motivo principale del viaggio è stata una trasferta nella zona della Baronia, in provincia di Nuoro, su invito di un coro locale, il Sancta Helene di Onifai, con cui il nostro coro ha già avuto diversi incontri e scambi di visite.
Ogni volta che noi coristi del “continente” ci rechiamo da quelle parti conosciamo qualche coro nuovo del luogo e restiamo colpiti dall’ospitalità. Non che noi bogianen, cittadini del nord, (bogianen è l’appellativo con cui si autodefiniscono i Piemontesi), non siamo a nostra volta ospitali, ma è bello vedere nei nostri amici quella voglia di accogliere dando tutto il possibile, a cominciare dall’entusiasmo nell’organizzare feste e banchetti e nell’offrire prodotti tipici per farci assaporare il gusto genuino della loro terra.
Questa volta sono stati organizzati pasti a base di cibi semplici e tradizionali: malloreddus, maialino arrosto e fantastica ricotta di giornata accompagnata da un frutto speciale, presidio Slow Food, la pompìa, presso l’agriturismo di Loculi che ci ha accolti, spezzatino e bollito di pecora e sanguinaccio, sempre di pecora, offertoci nella sede del coro Omines Agrestes di Lula.
Leggere che il menù comprendeva molte volte la parola pecora a qualcuno ha dato un po’ da pensare. Anch’io rimpiangevo il memorabile pranzo a base di pasta alle vongole e orate freschissime consumato a Orosei, in riva al mare e, come alcuni di noi, ero un po’ prevenuta. Ma l’importante è assaggiare, non tanto per non offendere chi ha cucinato, quanto per restare stupiti dalla bontà del cibo, dalla tenerezza inaspettata del bollito di pecora. Il sanguinaccio poi, che si fa anche in Piemonte e mi sono sempre rifiutata di assaggiare, grazie al timo e alla menta era così dolce che sembrava quasi una salsa di mirtilli!
Mi accorgo che non sto parlando come una vegetariana, ma non si può andare sull’isola e non accettare la tradizione culinaria locale. A me preoccupa il benessere animale e devo dire che ho visto maiali dal manto scuro pascolare liberi nei prati poco distanti dall’ agriturismo. Il destino di noi tutti, umani e animali, è finire i nostri giorni, tanto vale viverli felicemente. Ho anche sentito alcuni dei nostri ospiti spiegare i metodi usati per far soffrire il meno possibile le bestie al momento di sopprimerle e spero che siano regole rispettate da tutti. In compenso il titolare dell’agriturismo mi ha rivelato che il tanto celebrato porceddu arrosto è un piatto che viene fatto soprattutto per i turisti: non era infatti tradizione dei contadini macellare da piccola una bestia che crescendo avrebbe dato molto più sostegno alla famiglia.
A conclusione dei pasti tra corali come sempre si canta, ma in Sardegna c’è anche la possibilità di ballare: uno degli ospiti suona balli sardi con un organetto o una fisa e si balla tutti, autoctoni che lo fanno bene e Bogianen che ci provano, difficilmente riuscendoci, ma il divertimento è garantito. E poi, parlando di cori, è bellissimo sentire la sonorità dei cori sardi. Tutti, non solo i famosi canti “a tenores”. E che dire dei canti tradizionali, religiosi o no? Varrebbe la pena di andare in Sardegna solo per questo!
Spesso ho detto e scritto che gli scambi corali sono un’occasione unica per i coristi per conoscere meglio gli abitanti di un posto. Ma questa volta in particolare ho sentito palpabile il calore umano, la voglia reciproca di essere spontanei e bendisposti.
La spontaneità nei modi di fare è quella che ci rivela agli occhi degli altri. Noi veri Bogianen cerchiamo quasi sempre di mediare, di non scontrarci direttamente, mentre mi pare che gli isolani siano molto più diretti, abbiano un carattere più vivace. Dipenderà dal clima? O, come tutto, dalla storia diversa delle nostre regioni? Ovvio che ci siano differenze tra una persona e l’altra, ma alcune persone sono davvero speciali. Ho avuto modo di conoscere una di queste e ne parlerò a suo tempo.
Nei tre giorni di permanenza il coro è stato accompagnato in visita a Casa Marras, il museo del servo-pastore, e al Mac Lula, il Museo di Arte Contemporanea di Lula. In entrambi i siti i coristi hanno trovato guide ben preparate, seppur di stile diverso. Nei paesi della Baronia è frequente ammirare murales che illustrano la vita dei paesani.
Insieme al museo della vita agreste e alle antiche chiese-santuario (Sanctu Juanne Istranzu a Onifai, Nostra Signora del Miracolo al Montalbo, Nostra Signora degli Angeli a Lula), parlano di una fede molto sentita, semplice, un tempo unica speranza della gente comune in una vita fatta di fatica e modestia, di cui restano tracce nei bellissimi canti-preghiera.
Nei santuari la gente si riunisce una o più volte all’anno per fare una gran festa: in quello di Onifai, che significa San Giovanni Straniero ed è San Giovanni Battista, proprio a causa del nome ogni anno viene allestito un banchetto a base di carne di pecora, offerta a tutti i convenuti, locali e no, che affluiscono a centinaia. Noi Bogianen però possiamo vederne solo i preparativi perché il Coro deve far ritorno a Torino. Mio marito ed io, come alcuni altri coristi, restiamo in Sardegna e possiamo godere dall’agriturismo del panorama di Loculi illuminato come un presepe nella silente notte stellata.
Nel prossimo capitolo il seguito del nostro viaggio breve, ma intenso.