Aggiornato al 30/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale

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Divagazioni sullo sterco

di Giorgio Cortese

 

 

Il mondo gira ormai troppo in fretta, e troppo male, così che riesce difficile star dietro alla miriade di notizie dei fatti quotidiani. Prendiamo ad esempio le guerre, quelle laceranti che vediamo ovunque in corso e che la tecnologia più avanzata ci consente di seguire, minuto per minuto, secondo per secondo, in ogni mossa delle parti in campo.

Oggi non semplici da decodificare e quindi ci troviamo di fronte alle bufale di parte per imbrogliare la verità.

Pare impossibile o quasi districarsi; questo mi ricorda il passo evangelico scritto da Matteo di separare il grano dal loglio, la parabola del seme buono, condannato a crescer male dalla presenza del “lolium temulentum”, dannosa specie botanica fortemente infestante, che, secondo tradizione, sarebbe stato il Diavolo a seminare lasciando poi ai mietitori la fatica di sradicarlo.

Dietro a queste limpide parole, si legge chiara una anticipazione della fine del mondo, quando gli angeli metteranno insieme tutti, buoni e cattivi, e poi butteranno questi ultimi in una fornace rovente, tra “pianto e stridore di denti”, e i giusti, in tal modo, “splenderanno come il sole nel cielo”.

La parabola rappresenta sempre un confronto, un modo diretto per spiegare una scelta giusta e positiva, introdotta sia dai Vangeli cristiani che dalla cultura orientale, indiana in particolare.

 

Da qui proviene un’altra nota parabola, quella dell’elefante e dei sei ciechi, dove si raccontano i tanti modi attraverso i quali ognuno dei non vedenti, lì radunati, toccandolo con le mani, è in grado di riconoscere una sola parte del bestione.

Nessuno però è in grado di capire le fattezze dell’intero animale.

Al punto che scoppiano liti furenti, perché ognuno dei sottoposti alla prova sostiene la propria intuizione.

 

Questo si verifica nei proverbi, che rappresentavano il massimo meccanismo di comunicazione del passato, specie nel mondo contadino. Li riportavano diligenti i tanti lunari in circolazione, almanacchi preziosi che a quei tempi valevano quanto le notizie nel mare magnum di internet di oggi. Fortunatamente per tutti noi rimangono duri a morire, anzi sono tornati di moda, nella semplice veridicità, grandi pillole di saggezza.

La parabola dei non vedenti ha dato poi origine a una messe di interpretazioni diverse, pure al rovescio, cioè partendo dal punto di vista degli occhi dell’elefante: per il proboscidato come sarà fatto l’uomo?

Ultimo rischio estremo quello raccontato dal cieco, che toccando il grande sterco dell’elefante conclude trattarsi di un animale soffice e pastoso.

In India, nelle campagne, lo sterco dell’elefante viene comunemente usato per accendere il fuoco, insomma gli accessori da barbecue che adesso si comprano anche per corrispondenza.

 

Chissà chi si ricorda la celebre predica di don Cucàla scritta da Carlo Artuffo e interpretata da Gipo Farassino! L’agreste sacerdote, per esaltare la bellezza della Madonna esclama con accento Torinese: “Teresa, la fìa dël miliné a ȓ’è la pì bela fia chi peussi trové ant ël nòst pais, ma an confront a ȓa Madòna, Teresa a ȓ’è na busa, valo bèn?”.

Sì, parlo dello sterco animale, solitamente bovino o equino: niente di scandaloso, niente d’innaturale detto anche busa. Oggi la parola busa è utilizzata in alcuni modi di dire inequivocabile in piemontese come: “Esse brut pai ‘d na busa”, essere brutto come un escremento, oppure ironica scusa, “Da lùntan t’heu piàte par an can, da visin t’heu piàte per na busa”, scusa, da lontano ti ho preso per un cane, da vicino ti ho scambiato per lo sterco.

 

Filastrocche ne abbiamo! Inoltre, per indicare l’inutilità di certi antichi rimedi si soleva dire: “Busa ed beu, busa ed vàca, chi ch’a l’ha mal, ch’as grata”, ma quando si svolge un’attività senza speranza, la metafora diventa: “Andé a cheuje le buse daré dël tranvaj, andare a raccogliere le feci dietro il tram. In piemontese troviamo la parola “Ambusé” che significa, invece, cospargere l’aia di sterco diluito con acqua per apprestarla a ricevere granaglie.

Busa pare provenire dal latino volgare e risulta presente in numerosi documenti latini medievali piemontesi già dei Secoli XIII e XIV: bussam, sive stercora bovinarum bestiarum.

 

Per la diffusione galloromanza, si può confrontare con altre lingue: bouse in francese antico, bozas in provenzale, bosa o busa in occitano e buza in franco-provenzale.

Una volta, pare anche adesso, prima di ogni rappresentazione teatrale, gli attori più scaramantici erano soliti riunirsi dietro le quinte per esclamare una parola di buon auspicio: merda! Qualcuno la ripete addirittura tre volte. Ma perché proprio questa parola?

Prima dell’avvento dell’automobile, a teatro si andava con la carrozza. Più il pubblico era numeroso, maggiori erano i cavalli ad aspettare fuori, espletando i loro bisogni. A fine rappresentazione, la presenza di escrementi equini permetteva agli attori di quantificare la presenza del pubblico in sala e di conseguenza il gruzzoletto da suddividersi. Ecco perché la parola di oggi è propiziatoria. Dal letame nascono i fior!

 

Inserito il:31/03/2024 19:00:17
Ultimo aggiornamento:01/04/2024 15:48:25
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