Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Da Alamy Stock -  A vintage typewriter and a pen

 

DONI

di Margherita Barsimi

 

Lo zio Beppe, che tutti chiamavano con gran rispetto, “Maresciallo Viano”, mi aveva dato l’abitudine, sin dalle prime classi delle scuole elementari, di portarmi, di ritorno da ognuna delle sue “missioni”, un biglietto da 1000 lire fresco di conio. Senza parole, lo estraeva dal portafoglio, dove con cura lo aveva sistemato, liscio, senza piegature, come lo prendesse direttamente dal caveau della Banca d’Italia. Non osavo dimostrare la mia “indifferenza” di fronte ad un dono, che da altri, probabilmente, sarebbe stato molto apprezzato, quindi, in silenzio, con un sorriso, che poteva sembrare di timido ringraziamento, non possedendo borsellini di sorta, affidavo la banconota alla mamma.

Da parte sua, ritenendo che fosse diseducativo regalare del denaro, lei mi aveva spiegato come anche il sommo poeta, avesse collocato all’Inferno tutte le categorie (usurai, simoniaci, barattieri ecc. ) che nel corso della loro vita avevano usato il denaro non come mezzo di scambio, ma come scopo del loro mercanteggiare…

Lo zio, a lungo andare, aveva capito che mentre io non apprezzavo il dono in sé, lo stesso tornava però utile alle magre economie familiari; ad un certo punto, ben prima che le 1000 lire fossero destinate ad andare fuori corso, senza parole, smise di regalarmele, sostituendole con bustine di francobolli da collezione. Durante una visita alla Caserma di Issime, dimenticando di essere nel sancta sanctorum della legge e dell’ordine costituito, lo zio m’ invitò a lasciare mamma e zia nell’alloggio attiguo all’Ufficio, affinché lo seguissi là dove nemmeno mio cugino aveva mai avuto il permesso di entrare… Da parte mia, non sapendo come spiegarmi tale “eccezione alla regola”, non avrei saputo dire se il timore superasse la curiosità o viceversa… D’altronde, non avrei sicuramente potuto declinare un invito che non ammetteva dinieghi!

Pur avendo ormai avuto modo di conoscere la profonda bontà, l’indole generosa dello zio e il suo carattere pacato, di poche parole, ma quelle poche estremamente “pertinenti”, la mia soggezione era grande quanto l’ansia per dover lasciare il “gineceo”, rappresentato dalla rassicurante cucina della zia Maria. Che cosa poteva aver determinato nello zio tale imprevedibile decisione? Egli si sedette alla scrivania, sulla quale regnava un ordine assoluto, riconobbi il tampone per asciugare le scritte fatte con l’inchiostro, il calamaio dal contenuto nero e, l’altro, con quello rosso, i timbri, la ciotola con le graffette… Ciò che mi risultava assolutamente sconosciuto era un “oggetto misterioso” che troneggiava al centro del piano di appoggio. ”Mi hanno detto che tu ami scrivere, ovunque e con qualunque mezzo- esordì con tono eccezionalmente confidenziale lo zio/maresciallo- ho pensato che questo nuovo strumento di cui è stata dotata anche la mia Caserma, ti avrebbe, a dir poco, incuriosita”.

In quel momento, il Maresciallo aveva lasciato il posto allo zio e, per uno strano fenomeno, questo scambio era avvenuto proprio in Caserma, mentre il Maresciallo, in divisa, era nell’Ufficio in cui le persone entravano… solo se obbligate.. “Si tratta di una macchina per scrivere, con caratteri facilmente comprensibili e con le lettere perfettamente allineate e spaziate in modo corretto”. Normalmente disinvolta e loquace, in quella situazione paradossale, mi trovai apparentemente senza parole, anche se dentro di me si stava scatenando una ridda di perché e di come, a cui non riuscivo a dare un ordine logico. Alla fine me ne uscii con un improvvido: “Posso provare a usarla?”.

Mi resi subito conto di aver osato troppo, ma lo zio parve non essersi reso conto della mia impudenza e come se non avessi detto nulla, continuò nella sua presentazione: “ La bella novità è resa ancor più esaltante dal fatto che questa macchina per scrivere è stata progettata e costruita a Ivrea, dove tu sei nata! L’Olivetti è un’azienda che ha rivoluzionato la tecnologia, ottimizzando i tempi della scrittura e del calcolo!”.Accipicchia,- pensai tra me e me- velocizzare la scrittura può essere di grande interesse per qualcuno, ma i calcoli!...” Pensai alle lunghe, sudate ore per imparare le tabelline, lo sforzo per eseguire in modo corretto  moltiplicazioni e divisioni… Non volendo apparire indolente, sfiorando con delicatezza i tasti su cui le lettere non seguivano l’ordine con cui a scuola avevo imparato l’alfabeto, rivolgendomi allo zio Beppe, dissi: “ Capisco l’utilità per chi come te deve scrivere verbali e relazioni di facile e corretta lettura, ma per gli scolari come me, credo che lo strumento più utile potrebbe essere, invece, una penna che non necessiti di cambiare spesso il pennino, che deve essere intinto nell’inchiostro contenuto nel calamaio, che troppo spesso lascia dietro di sé una scia di gocce che macchiano come una vergogna la pagina del malcapitato “scrivano”… E allora, che fare? Bisogna cercare, prima possibile di assorbire, con un angolo della carta “assorbente”, il famigerato liquido che se impregna la carta, va poi raschiato via con una lametta, a rischio di bucare la pagina da parte a parte!”

Il mio era stato uno sfogo tanto spontaneo quanto assolutamente fuori luogo: a me infatti piaceva vedere la pagina del quaderno, fitta della mia scrittura, di lettere tondeggianti e regolari… In fondo, la grafia di ognuno, non essendo omologabile e sovrapponibile, indica la personalità del metodico, del ribelle, dell’esibizionista piuttosto che del timido o del pavido! Lo zio sembrò non avere colto questa sorta di difesa d’ufficio dello scrivere a mano; non aggiunse altro e dopo aver ricoperto l’Olivetti con la custodia che aveva tolto per farmela ammirare, mi riaccompagnò in silenzio, lungo il corridoio, che conduceva al soggiorno/cucina dove mamma e zia erano impegnate nel rito del the, con la maestra del paese e la moglie del segretario comunale. Erano talmente prese dai loro discorsi che non si accorsero neppure del mio ritorno; ben felice di ciò, mi sedetti nell’angolo vicino alla stufa a legna, dove ripresi la lettura del libro che in quei giorni mi stava appassionando e che mi faceva sempre più provare il desiderio di imparare a piegare la penna all’onda dei miei pensieri.

Da lì a qualche tempo, la famiglia si sarebbe riunita per festeggiare la doppia occasione della mia Prima Comunione e della Cresima. In quegli anni di difficoltosa ripresa, i regali non erano ancora diventati un “obbligo sociale”; i pranzi delle feste erano le occasioni in cui le “donne di casa” davano il meglio di sé nell’imbandire succulenti piatti a base di… pane, amore e fantasia. Impegnata come i miei compagni di classe, nelle lezioni di Catechismo del severo don Aimino, ero preoccupata di non riuscire a rispondere alle domande che mi sarebbero state rivolte, o più semplicemente di non riuscire a deglutire la particola senza che si incollasse al palato... Persa, come spesso succedeva, a seguire il fiume in piena dei miei pensieri, improvvisamente mi resi conto che qualcuno stava parlando con me: “Visto che l’Olivetti, per il momento, non è tra i tuoi desideri- chi mi stava rivolgendo la parola era lo zio /Maresciallo- abbiamo deciso, la zia ed io, di regalarti una penna “Aurora”, che potrebbe esserti utile per le tue scritture attuali, e soprattutto, per quelle future!”

Una stilografica tutta mia! Fino a quel momento la “stilografica” era stata un oggetto del desiderio per tutti e due i miei genitori; nel caso di mio padre, un desiderio segreto, ma io avevo capito quanto lui avrebbe amato esibirla, infilata nel taschino della giacca; per mia madre, invece, non sarebbe stata un’esibizione, ma una necessità quotidiana. Grafomane qual era, ogni giorno, impiegava almeno un’ora a sbrigare la fitta corrispondenza che non aveva mai smesso di intrattenere con le ex-colleghe di lavoro rimaste a Venezia, con le ex-compagne di collegio e, soprattutto con la sorellastra Linda, alla quale la legava, oltre al rapporto di sangue, una grande intesa e un affetto particolare.

Per scrivere, quotidianamente, in modo tanto intenso, la scorrevolezza della stilografica, sarebbe stata la soluzione ideale! Mai avrei potuto pensare che la prima in famiglia a possedere un’Aurora sarei stata io! Non avevo fatto in tempo a fare il punto delle mie riflessioni che lo zio, alle parole aveva fatto seguire i fatti: un’ elegante confezione regalo era stata posata sul tavolo, da cui era stata accuratamente tolta qualsiasi altra cosa. Il cofanetto, da solo, rappresentava una “sciccheria”, foderato interamente, sia all’esterno che all’interno, in velluto bleu: quando lo strinsi tra le mani, ebbi improvvisamente la sensazione di essere stata ammessa al mondo dei “grandi”.

Se una stilografica qualsiasi era la penna degli adulti, l’Aurora aveva in più il fatto di essere una marca italiana, che dico, torinese, inoltre era smagliante nella sua linea elegante e moderna. Lo zio Beppe e la zia Maria, non potendo unirsi al resto della famiglia nel viaggio sino a Venezia, dove si sarebbe svolta la doppia cerimonia, mi avevano dato il loro dono con qualche giorno di anticipo, quando la campanella d’inizio delle lezioni era suonata da circa una quindicina di giorni. Dal primo ottobre era ripreso il ritmo delle lezioni in classe e dei compiti a casa; la novità rappresentata dall’Aurora mi aveva dapprima elettrizzata, ma quando si trattò di toglierla dalla sua elegante confezione per unirla agli altri “strumenti”, già pronti nell’astuccio quadrato, di finta pelle rossa, mi sentii una sorta di vile profanatrice…

Non avrei potuto portarla a scuola e mettere a repentaglio la sicurezza dell’Aurora! Preferivo continuare a scrivere con l’anonima penna di bachelite rosa, alla quale cambiare il pennino quando iniziava a spuntarsi, prima che mi gocciolasse sul foglio; d’altronde ero oramai in quarta e avevo imparato la tecnica! D’altronde, riflettevo tra me e me, con tutti i suoi limiti, la penna di bachelite era quella che mi aveva introdotta alla scrittura e grazie ai pennini “Tour Eiffel”, avevo imparato a “modulare” la mia grafia come se fosse la voce: più spessa nelle rotondità, più sottile ed elegante nelle linee verticali.

E l’Aurora? Sarebbe rimasta nel cassetto del mio tavolino, non dimenticata, per qualche anno, fino a quando, calamai, pennini e bottigliette d’inchiostro sarebbero definitivamente scomparsi dalla circolazione. La stilografica sarebbe diventata un oggetto di uso comune in tutte le scuole, ma a quel punto, la mia Aurora avrebbe assunto un valore simbolico ed affettivo incommensurabile. Macchina da scrivere Olivetti e penna stilografica Aurora: due oggetti? Due prodotti di alta tecnologia? Sicuramente due marchi del designer italiano, destinati ad evocare sentimenti, emozioni e tanti ricordi: di atmosfere perdute, di persone scomparse, ma sempre “moderni” grazie a intuizioni di puro genio.

 

Inserito il:16/12/2022 17:57:04
Ultimo aggiornamento:16/12/2022 18:05:45
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