Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Nani Tedeschi (Cadelbosco di Sopra, 1939 - Reggio Emilia, 2017) - Pietro Nenni nel dopoguerra

 

Il Socialismo democratico e liberale: un’occasione persa (2)

Epopea in due parti

di Tito Giraudo

(seguito)

Da sempre se chiedete agli italiani cosa per loro sarebbe il Partito ideale, quasi tutti vi diranno: il Socialismo. Un socialismo immaginario, mai esistito che fa il paio con il Cristianesimo anch’esso sempre invocato, il più delle volte, in antitesi con la Chiesa. Dunque, la chiesa socialista oggetto di tante speranze, qualche errore deve averlo commesso, se non l’istituzione certo gli uomini più rappresentativi.

In due parti cercherò di focalizzare, glorie e miserie di due socialisti che a mio parere furono i più rappresentativi: Filippo Turati e Pietro Nenni, naturalmente non dimenticando, l’ombra, ma solo l’ombra, del terzo: Bettino Craxi.

 

Seconda parte

Pietro Nenni

Nenni l’avevo visto di persona solo nei congressi, quel pomeriggio però mi trovai al tavolo con lui per un incontro in una sala dell’Università con gli studenti, ero lì non perché fossi importante, semplicemente ero uno dei candidati per il Senato (Collegio di Poirino, il peggiore d’Italia).

La sala era gremita di ragazzi tutt’altro che emozionati di trovarsi di fronte un monumento della politica italiana, era il 1971 in piena contestazione studentesca, Nenni mi pare fosse Vice presidente del Consiglio. Quando iniziò il suo discorso partì la reazione che doveva essere stata accuratamente preparata. Ogni studente aveva uno di quegli aggeggi per fare le bolle di sapone, si levarono centinaia di bolle colorate in contemporanea con i soliti slogan dell’epoca: servo dei padroni, traditore della classe operaia. Tutto questo sghignazzando e rumoreggiando. Nenni tentò più volte di parlare, non era né spaventato, tanto meno sorpreso, forse stava chiedendosi chi erano quei fessi che l’avevano sbattuto in quella fossa dei leoni.

Il vecchio combattente che era finito più volte in galera ai tempi delle grandi lotte contadine, che era stato esule in Francia, aveva fatto la guerra di Spagna, perso una figlia nei forni crematori di Auschwitz, uno dei capi di quella resistenza che quei cretinetti definivano “tradita” dagli attuali politici, non meritava simile trattamento. All’epoca non ero d’accordo con la politica di Nenni che consideravo abbarbicato al centro sinistra, anch’io pensai all’inopportunità degli organizzatori. Non colsi però fino in fondo lo sfregio che commisero quei figli di papà che giocavano alla rivoluzione senza nemmeno sapere chi e cosa avevano davanti.

Riprendendo la storia di Pietro Nenni, mi è venuta in mente quella giornata, e quindi continuerò il mio racconto perché la figura di Nenni merita assolutamente un approfondimento storico.

Lo abbiamo lasciato con Carlo Rosselli esuli a Parigi, un momentaneo disimpegno dal Partito che l’ha deluso, è un impulsivo, non bada né agli interessi politici, tanto meno materiali. Rientra nel Partito, il fascismo è trionfante, immagino lo stato d’animo di molti di quegli uomini che lasciarono in patria la famiglia.

Pietro Nenni lo ritroviamo commissario delle “Brigate Garibaldi” nella guerra civile spagnola, di cui non parlo anche se lo meriterebbe. Con la ritirata delle brigate internazionali nel ‘38 gli esuli italiani, fra cui Nenni, rientrano in Francia. Io mi sono sempre chiesto, come mai Nenni che era stato convintamente “autonomista” abbia potuto partecipare al Fronte Popolare del ‘48. La spiegazione forse sta proprio dalla condizione di esuli che li fece partecipare unitariamente alla guerra spagnola, si combatteva contro il fascismo d’Italia e Germania e quindi non si andò troppo per il sottile. Quella condizione, forse non farà vedere con chiarezza come i comunisti e Stalin egemonizzassero quel conflitto, e come cinicamente i russi si apprestassero a fare il patto con Hitler.

Qualche anno dopo gli antifascisti torneranno in Italia. Togliatti nel sud parteciperà al Governo Badoglio. Nenni è a Roma con Saragat, saranno entrambi arrestati dai tedeschi, li faranno fuggire poco prima dell’attentato di via Rasella e le conseguenti Fosse Ardeatine, entrambi si rifugiarono insieme a tanti altri antifascisti in Laterano.

La Liberazione li vedrà tutti e tre impegnati nel ricostruire la politica del Paese. Togliatti è di gran lunga dei tre il più importante, è stato l’uomo di Stalin messo a dirigere il Comintern, sicuramente anche se probabilmente non partecipe in prima persona, sa bene come pensa il dittatore comunista, non poteva non essere a conoscenza di come Stalin gestisse il suo potere. Personalmente ho una mia tesi, Togliatti è un fine politico ma non è un uomo d’azione, non credo nemmeno disponesse di un grande coraggio. È possibile che i metodi staliniani non gli piacessero, si guardò sempre bene di mostrarlo, anche quando ne facevano le spese i compagni italiani esuli a Mosca. Quando fu rispedito in Italia da Stalin, eseguì alla lettera la strategia di infiltrazione nei Governi che andavano formandosi nei territori appena liberati. L’Italia era stata dichiarata a Yalta come appartenente alla sfera occidentale, si doveva partecipare ai Governi di qualunque colore fossero.

Parallelamente i quadri più importanti del PCI organizzarono quel movimento partigiano nato soprattutto dai militari sbandati dopo l’8 settembre, oltre le nuove leve che rischiavano, o la deportazione, o di combattere con i repubblichini. Nacquero le Brigate Garibaldi e di conseguenza i socialisti organizzarono le brigate Matteotti. Se questi ultimi avessero osservato attentamente come i comunisti egemonizzassero, e qualche volta non disdegnassero di scambiare per nazifascisti i partigiani non di sinistra, prima di fare il Fronte avrebbero almeno ponderato.

Negli anni che precedettero il “fronte”, Nenni fu anche Presidente dell’Assemblea Costituente. Collaborando con Togliatti avrebbe dovuto dubitare dei comunisti, i quali tatticamente cercavano di rassicurare i moderati italiani. L’indulto, la riconferma dei Patti Lateranensi, tutto giocava perché i comunisti apparissero moderati, a differenza dei Socialisti (Nenni divenne Segretario) e che laicamente votarono contro i Patti e in generale furono molto meno compromissori.

Stalin, ancora una volta diede la linea a Togliatti, si doveva tatticamente fare i fronti popolari coinvolgendo tutte le sinistre, soprattutto i Socialisti. Francamente non capisco come Nenni, anti fusionista, fautore del rientro dei socialisti di Turati negli anni 20, sia potuto cadere in quel trappolone. Non potendo più chiederglielo, e quel giorno al comizio non mi venne proprio in mente, una spiegazione può essere che forse fu ingannato dal moderatismo Togliattiano, forse probabilmente quello era il suo carattere che lo portava, di battaglia in battaglia, su posizioni contraddittorie. Eppure un campanello d’allarme poteva essergli suonato nel referendum Monarchia Repubblica: la vittoria di quest’ultima fu striminzita e alcuni dicono truffaldina (Romita docet).

Se nonostante quello che avevano combinato i Savoia dopo l’8 settembre, tanti Italiani fossero monarchici, era prevedibile che sommando a questi: la Chiesa, gli ex fascisti che erano ancora tanti e tornati in posizioni di prestigio nello Stato, oltre agli industriali minacciati (a parole) di espropri, o nelle migliori ipotesi di avere i sindacalisti nei consigli di amministrazione, si può comprendere come questa miscela potesse essere esplosiva. Lo fu.

L’autonomismo dal PC non ebbe questa volta grandi proseliti, nel Partito Socialista, nonostante la scissione di Saragat che sposterà il 7% dei voti dal PSIUP al PSD, non trovò altrettanti dirigenti e quadri disposti a lasciare il Partito che sotto le insegne di Garibaldi si presentò alle elezioni del ‘48.

La sconfitta del Fronte Popolare, se fu una mazzata per i comunisti perché venivano definitivamente esclusi dal potere, fu un disastro per i socialisti, era la dimostrazione che la pancia moderata del Paese, al di là delle pressioni americane o dagli eccessi di Papa Pacelli era, e come è ancora, dominante nel paese.

Si può dire che elettoralmente il PSI non si riprese mai, oscillando sempre poco sopra il 10% dei consensi. Fu a questo punto che Nenni ancora una volta ebbe la capacità di superare se stesso, proponendo quell’autonomismo di cui fu alfiere nel ‘22. Conscio che l’autonomismo non era sufficiente fine a se stesso, contemporaneamente scoprì ciò che non si era capito nel ‘19: il Partito dei cattolici, la DC, nonostante avesse imbarcato troppi reduci fascisti, conservava una grossa anima popolare che faceva capo alle correnti di sinistra. L’idea del Centro-Sinistra prese corpo.

Al solito nacquero nuove divisioni nel Partito, mitigate solo dall’ingresso degli ex Azionisti (Partito d’Azione), una sorta di tecnocrati di sinistra di cui Riccardo Lombardi fu il campione.

Ho conosciuto Riccardo meglio di Nenni, per aver militato nella sua corrente, era un gran personaggio che noi giovani socialisti amammo da subito, seguendolo quando il Partito dovette fare dei compromessi sulle “riforme di struttura” che portavano la sua firma. Riccardo, penso ora, aveva torto e noi con lui.

Contemporaneamente all’ingresso nel Partito di Lombardi e De Martino, iniziò nel PSI la diaspora a sinistra, riedizione, del vecchio massimalismo.

Quando aderii al PSI ero a Ivrea, il mio professore al CFMF, Ferdinando Prat, era il leader degli autonomisti di quella città, gran personaggio di nobili origini,. Antifascista, era finito a Mauthausen, portando a stento a casa la pelle. Insegnava educazione politica alla scuola della Olivetti, nel PSI di Ivrea era il capo degli autonomisti. Divenni Segretario della Federazione giovanile di Ivrea, quindi frequentai il partito a Torino che era saldamente nelle mani della sinistra carrista.

Carrista era il termine che si era dato a quei socialisti che avevano giustificato i carri armati russi intervenuti in Ungheria. Vagheggiavano di una controrivoluzione reazionaria, quindi per salvare il Socialismo erano giustificati i carri armati, in realtà erano le solite posizioni massimaliste e unificazioniste e quindi ci fu la solita scissione socialista.

Nonostante queste vicende l’ipotesi di un Centro Sinistra riformatore andò avanti. Il limite ideologico di questa posizione era che le riforme di struttura in senso statalista avrebbero portato all’agognato socialismo. Lo statalismo integrale intanto si consumava in Urss, la destalinizzazione aveva scoperchiato una pentola con un brodo di difficile digestione un po’ per tutta la sinistra. Va detto, e io l’ho scritto più volte, che le uniche riforme in qualche modo “socialiste” si sono realizzate negli anni del Centro Sinistra che iniziò con i Socialisti in benevola astensione e con Fanfani Presidente del Consiglio. La prima riforma di quel Governo fu l’introduzione della scuola media unica, ponendo fine ad una discriminazione di classe intollerabile.

Quando i socialisti entrarono al Governo il titolo di prima pagina dell’Avanti citò: “Da oggi ognuno è più libero”, forse era un’esagerazione ma da quel momento il clima nel paese cambiò come era successo a suo tempo con Giolitti. Sul piano delle riforme si partì nazionalizzando l’energia elettrica, una riforma bandiera che diede scarsi risultati se non di terrorizzare i conservatori. Poi fu la volta della riforma urbanistica in un’Italia dove il settore delle costruzioni era una jungla, Qui si apri uno scontro durissimo tra i Socialisti che avrebbero voluto requisire tutti i terreni edificabili per l’edilizia popolare, oltre naturalmente ad un riassetto dei vecchi piani regolatori con una normativa nazionale più ampia. Si passò poi allo “Statuto dei diritti dei lavoratori”, e poi la Legge Mariotti che accorpava tutti gli ospedali in un solo soggetto pubblico: le ASL che avrebbe aperto la strada alla più completa riforma sanitaria realizzata un decennio dopo e infine, la programmazione economica detta anche “politica di piano”.

Lette oggi queste riforme, rispetto ai governi imbalsamati degli ultimi quarant’anni, fanno impressione, alcune a mio parere furono demagogiche, altre mal realizzate, tuttavia sfido chiunque a dirmi quale coalizione di Governo, a parte quella, abbia mai messo in campo una simile azione riformatrice che culminerà con le leggi sul divorzio e sull’aborto.

Naturalmente non posso farla lunga, è interessante dare un giudizio di quell’azione. Furono riforme socialiste? A parte la nazionalizzazione elettrica le altre furono riforme tipiche del Laburismo o del Socialismo democratico pur con tutti i compromessi. Tuttavia non pagarono elettoralmente. Anche perché dopo la scissione del PSiUP ci fu l’opposizione lombardiana che durerà fino all’avvento di Bettino Craxi.

Non ho mai conosciuto Bettino, quando salì agli altari io ero tornato a lavorare. Dare un giudizio del craxismo, ancora oggi non è facile. Craxi ebbe il merito di essere un vero leader quasi mai contestato nel Partito, di aver sdoganato una generazione di quarantenni in un parlamento imbalsamato, di aver lottato con il PCI e messo in difficoltà. Nonostante ciò sul piano elettorale i risultati furono scarsi e sul piano del Governo, che durò una legislatura, non ci furono grossi mutamenti, anche perché il debito pubblico iniziava la “lunga marcia”. Si commise l’errore di far pagare allo Stato il prezzo delle crisi dei privati. L’IRI che era stato un esempio di efficienza nell’industria di Stato, diventò un carrozzone inefficiente e mangia soldi.

 

Conclusioni

Mani pulite certo diede il colpo mortale ai Socialisti, tuttavia, con un po’ di storia ho cercato di spiegare come, a mio parere, la crisi del socialismo in Italia venga da lontano, soprattutto per non essere mai stato un Socialismo liberale, forse Craxi sarebbe andato in quella direzione. Con i se, i ma e i forse, non si possono dare risposte. Abbiate pazienza…..

 

Inserito il:15/10/2020 19:22:19
Ultimo aggiornamento:15/10/2020 19:36:29
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