Juan van der Hamen y Gómez de León (Madrid, 1596 - 1631) - Tavola imbandita
La cuoca italiana - Quinta puntata -
Un dolce per Mr. Dunn
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
(seguito)
Gennaio era finito. Tutto sommato in un baleno.
Questa tragedia del tempo che fugge era davvero un tormentone per la signora Persi.
Ne aveva consapevolezza da quando si erano concluse infanzia e adolescenza, – Dio mio come era infinito,allora, il periodo tra Natale a Pasqua! – e i giorni avevano preso a correre come in una gara olimpionica.
Un’immagine le si presentava regolarmente alla mente, quando sospirava sul tempus fugit, ed era la sua faccia di diciottenne davanti all’enorme specchio dell’ingresso e gli occhi curiosi che si interrogavano sull’aspetto che avrebbe avuto quarant’anni dopo e la bocca che mormorava - passerà in un battito di ciglia -.
E così era stato.
Anche la visita di sua figlia era volata via in un baleno lasciandole un dolce amaro in bocca.
Dolce il ricordarla così bella e forte e amaro il pensarla lontana.
La vita dai signori Coldbridge aveva ripreso il suo regolare ritmo con i pranzi e le cene che si susseguivano senza ansia e senza imprevisti.
La cuoca italiana aveva imparato ad andare a fare gli acquisti da sola, dopo le prime volte in cui Charles, il maggiordomo, l’aveva accompagnata per indicarle i fornitori di fiducia.
In compagnia della figlia aveva gironzolato per il villaggio e i dintorni per conoscere i mezzi e i modi per muoversi autonomamente e anche per andare a Londra.
Cominciava a sentirsi più sicura e libera.
Si era iscritta a una scuola per migliorare il suo inglese, aveva trovato il parrucchiere giusto e scoperto che sulla piazza della chiesa, il giovedì, c’era il mercato dove si era inebriata dei profumi della frutta e della verdura perdendosi tra le bancarelle e ritrovandosi “a casa”.
Era una di quelle persone che trovano già solo il nome “ piazza delle erbe” (in Italia ce n’era una in quasi tutte le città) affascinante, fresco, pieno di buone promesse, sinonimo di luogo dove tutto può accadere.
Ricordava la piazza delle erbe di Padova, di Verona, di Trento…bancarelle di frutta e verdura, funghi,fiori….la musicalità dei dialetti….
I ricordi… altri processi inarrestabili che arrivavano per conto loro, come onde misteriose, o nuvole, o collane di immagini e pensieri telecomandati…
La signora Persi a questo punto di riscosse, raddrizzò le spalle e con quel gesto rientrò decisa nel presente ben sapendo come quella situazione, se si fosse lasciata andare, l’avrebbe portata sulle melmose spiagge del passato.
Il presente era una bella casa che l’accoglieva con calore, persone gentili e corrette, una micia tenerissima che anche in quel momento si stava strusciando alle sue caviglie portandole dolcezza e tenerezza.
Il presente era anche il dottor Dunn, il dentista amico dei suoi datori di lavoro che con grande gentilezza e competenza l’aveva soccorsa, alleviandole un villano mal di denti che una settimana prima l’aveva colpita con violenza.
I padroni di casa di fronte al suo viso sofferente si erano premurati di fissarle un appuntamento dal loro amico medico e ora il male era stato debellato.
L’incontro con il medico era stato sorprendente.
Aveva conosciuto un uomo mite e gentile, provvisto di un senso dell’humour irresistibile, almeno per lei.
Non solo aveva sapientemente eliminato il male, senza farla soffrire, ma l’aveva fatta ridere.
Che cosa meravigliosa era il riso!
Aveva del magico. Gli angoli delle labbra rialzati all’insù cambiavano ogni cosa.
Il cuore cominciava a battere con un ritmo diverso, una sensazione di benessere si espandeva su tutto il corpo, la tensione si allentava e tutto sembrava ben disposto e luminoso.
Bella cosa il riso, quello sano e pulito.
Toglieva cupezza, aggressività, smussava le punte, spingeva alla pace, alla solidarietà, alla voglia di perdonare e comprendere.
Riteneva che le persone che sapevano ridere, soprattutto di se stesse e dei loro guai, fossero esseri superiori da guardare con il massimo rispetto e da emulare.
Il dottor Dunn le era sembrato appartenere a questa categoria, suscitando in lei un interesse profondo.
Parlandole con calma, separando accuratamente ogni parola, guardandola con un apparente distacco, ma con un sorriso appena nascosto agli angoli della bocca, le aveva comunicato un piacere e un’allegria che non conosceva da tempo.
Alto, robusto, ma non grasso, con degli occhi clamorosamente azzurri, i capelli chiari e misti di bianco, le mani delicate e grandi…un bell’uomo insomma.
Tra una limatina e l’altra, un “ apra bene per favore”, un “ora sciacqui” e un po’ di stridente trapano, le parole del medico l’avevano distratta dal dolore e l’ora di cure era passata addirittura piacevolmente.
Naturalmente alla fine avevano parlato anche di cucina.
Le aveva chiesto qualche consiglio e il regalo di una ricetta particolare.
Desiderava preparare una torta che non contenesse farina, poiché la persona alla quale era destinata non poteva farne uso, ma fosse gustosa e allettante, un po’ diversa dalle solite.
Sperava che non fosse troppo complicata perché era per la cena di quella sera e anche se avrebbe avuto tutto il pomeriggio per occuparsene e lui se la cavava discretamente ai fornelli, una nuova ricetta era sempre un impegno particolare.
Lei allora si era sentita orgogliosa di offrirgliene una di sua invenzione, creata per la figlia – l’aveva chiamata in suo onore Torta Elisabetta – che non consumava cereali di alcun genere, che demonizzava il burro come fosse veleno, che aveva letto libri di diete disgraziate e così deprivanti da far passare del tutto la voglia di mangiare.
La sua torta aveva superato tutti i divieti e gli scrupoli, pur risultando gradevole e leggera ed era ormai il dolce d’obbligo ad ogni visita alla madre.
La signora Persi si era fermata alla scrivania della segretaria del dottore, aveva chiesto carta e penna e aveva iniziato a scrivere con diligenza e qualche esitazione per i soliti problemi di lingua, ma all'improvviso si interruppe, appallottolò il foglio mezzo scritto e ,rivolgendosi alla giovane donna dietro alla scrivania, la pregò di riferire al medico, il quale dopo averla salutata si era richiuso nel suo studio con il cliente successivo, che avrebbe provveduto a portargli la torta per tempo quella sera stessa.
La ricetta l’avrebbe allegata, ma per la prima volta, dato che il tempo era molto stretto, avrebbe pensato lei a prepararla.
Sperando di essere stata chiara nonstante il suo inglese zoppicante, uscì di corsa dal gabinetto medico e si diresse velocemente a casa Coldbridge felice di poter offrire un dolce a un uomo così amabile che l’aveva fatta ridere.
Torta Elisabetta
200 gr. di farina di grano saraceno
90 gr. zucchero di canna
70 gr di olio d’oliva extra vergine
50 gr di noci
40 di uva passa
40 gr di gocce di cioccolato fondente
5 datteri denocciolati
4 mele
2 uova
2 cucchiai di cannella in polvere
2 cucchiai colmi di alchermes
1 bustina di lievito vanigliato biologico
1 cucchiaio colmo di zenzero in polvere
un pizzico di sale
Frantumare in un frullatore i datteri, le noci, le mele sbucciate e tagliate a pezzetti, unire uova e zucchero già ridotti in una crema spumosa, aggiungere il grano saraceno, la bustina di lievito (consiglio di passarla da un colino per raffinarla al meglio), la cannella, lo zenzero, l’olio, l’alchermes, il pizzico di sale e per ultimo le gocce di cioccolato e l’uvetta.
Amalgare il tutto fino a renderlo una crema densa da versare quindi in una teglia foderata di carta da forno e leggermente unta di olio. Metterla nel forno già caldo per 50/60 minuti a 180 gradi.
Controllare comunque la cottura prima di estrarre la torta: dovrebbe avere una crosta croccante, rimanendo morbida all’interno.
(continua)