Giulio Romano (Roma, 1499 - Mantova, 1546) - Banchetto nuziale di Amore e Psiche con Voluttà
Amore e Psiche
di Alessandra Tucci
Bella era bella, per carità, e come negarglielo.
Ci partivano da ogni dove per contemplarla quella sua bellezza. E rimanere come il Canova. Di marmo. Quello di Carrara, non l'olimpico. Indicibile, inclassificabile, inesprimibile. Di fatto, non c'erano aggettivi per descrivere quel suo tratto estetico.
Ce n’erano e a bizzeffe per le due sorelle maggiori, Graziosa e Carina.
Per lei, Psiche, nessuna. Cadevano sbriciolate ai pellegrini una volta giunti al suo cospetto completamente esterrefatti, colavano giù dai lati delle bocche spalancate precisamente, avete presente? Eh. Un narciso da appuntarsi al petto per madre e padre specchiandoci l'orgoglio per le altrui brame, un pisello sotto strati e strati di bambagia per le sorelle. Ah, l'invidia che non sa applaudire.
Un re e una regina i genitori, e ci mancherebbe altro, mai che la bellezza non sia da sempre esclusivo appannaggio elitario. Se non per nascita, per acquisizione nuziale o acquisto veniale che poi è uguale. E per amore autentico chiaramente, quello che guarda all'essenza e non l'apparenza, ci mancherebbe. Quel legame, per intendersi, pregno di sentimento per l'anima dell'altro e non, ad esempio, per il conto brillante in solitaria sull'anulare sinistro o per la reginetta da mostrare al mondo a mo' di trofeo. L'ennesimo. E a pensar male si fa peccato, sia chiaro a tutti e ci si prostri penitenti piuttosto che star lì ancora oggi a sfogliare le riviste patinate dal parrucchiere. Se poi, nel leggere che è amore vero, brutte malelingue! tra un canuto paperone e una graziosa donzella che fino all'altro ieri girava col cordone ombelicale in spalla, i capelli vi cascano per lo sconcerto dalla testa quello poi cosa vi pettina?
Insomma, indicibilmente bella. E irriducibilmente ingenua. Di quella ingenuità che, hai voglia a fare i santi tutti quanti, non chiamiamo stupidità solo perché sennò l'asterisco del politically correct finisce che ce lo stampano direttamente in fronte. La lettera scarlatta del malcostume, quello che ancora pensa autonomamente. E pace.
Ma di questo parliamo più avanti. Anzi, lasciamo che a parlarne siano i fatti direttamente e torniamo a lei, Psiche.
Dunque, dicevamo, incommensurabilmente bella, una dea, la vera venere eletta in pompa magna dall'umanità tutta intera, con una, c'è da dirlo, puntina di fierezza e di rivalsa nei confronti della razza divina che sta sempre lì in mondo visione a fare la diva. Punta più che puntina. Vabbè, uno sperone.
C’è solo da immaginarsela la dea spodestata da quel podio di Miss Bellezza che l'è costato e caro dover strappare a Minerva e Giunone. Sì sì, le è bastato mandare Amore a circuire Paride con due paroline, quelle giuste che solo lui sa arrotare, perché eleggesse lei e senza riserve, è vero. Ma quel dio con arco e frecce che proprio non vuole crescere l'ha messo al mondo lei con sommo gaudio dell'intero circolo divino che al solo sbattere delle sue ali si rattrappisce dentro un rosario di palpiti e tremori? E, dunque, il titolo di Miss Olimpo e del mondo intero non poteva che essere il dovuto ristoro, quello esclusivo ed eterno. Esclusivo ed eterno che significa esclusivo ed eterno: cos'è che a quella razza degli umani non era chiaro di queste due parole, l'esclusività che non contempla, ma manco per niente, che sul podio ci si possa stare in due o il fatto che non c'è più gara tra lei e le divine quanto a bellezza e questo per sempre, figurarsi se fronte a lei può essere ammessa una volgare mortale a competere! E che al mondo sia arrivata una servetta con ambizioni che manco Cenerentola a spodestare lei, l'unica Venere da venerare, era incommentabile, un oltraggio di quelli che a confronto lo scherzetto che Prometeo fece a Giove con l'illuminare l'uomo, mai sia d'immenso, era tutto sommato alla stregua di un dolcetto.
Eh. Tutte le Furie in Venere a rimescolarle vista e pulsioni non delle migliori nei confronti di quella bella che giusto Psiche potevano chiamare, la pazzia della mente umana che si permette di sfidare proprio lei, la gran divina, e pure convinta di emergere dal gregge con quella insopportabile stupidità stampata in faccia a mo' di ingenuità che la fa prudere ovunque per l'irritazione, serviva e immediatamente che il figlio intervenisse nuovamente. Ad estirpare quell'ortica umana, possibilmente dalla faccia della terra e per sempre. O lei avrebbe fatto una strage dell'innocente.
E dalla madre venne convocato Amore che, tra una lisciatina di quelle sue piume alate e qualche spruzzatina di lacrime per muoverlo a filiale compassione che ci sta sempre bene, venne incaricato dalla divina genitrice di far sparire dalla vista sua e di tutta la creazione umana quella bella senza l'anima di starsene seduta su una seggiola ad ascoltare senza interrompere come rimpiangerà l'essere venuta al mondo a competere.
Amore, c'è da dirlo, non è che avesse poi questa gran voglia di raccogliere la preghiera della diva spodestata, era sua madre, sì, e allora? Era o non era lui un eterno adolescente che l'arte del disobbedire ce l'ha praticamente nelle viscere? Lui era il dio dell'amore oltretutto - anzi, soprattutto! - e l'amore non conosce imposizioni e regole, proprio non le vede.
Solo che a vedere la madre in preda alle Furie lo fece rabbuiare e parecchio che quelle tre l'avrebbero portata dritta all'abbrutimento che le contraddistingue facendo abbruttire in tale modo tutto l'albero genealogico, lui compreso, e questo non è che gli andasse particolarmente a genio che essere bello e temuto da chi non mette in gioco il cuore è da sempre il suo tratto distintivo. Bello e impossibile a dire il vero, considerato che il cuore non lo cala in campo più nessuno. Già, una desolazione. E Amore scosse dalle ali l'insofferenza per i piagnistei e le lagne che gli avevano più che spiumato pazienza e filiale devozione e volò a scagliare qualche dardo in giro che senza un serio impatto emotivo in terra e sull'Olimpo una mossa a vivere ed amare non se la dava nessuno. Sarebbe intervenuto ma c'era tutto il tempo.
Nel frattempo la nostra Psiche assisteva allo sgranarsi di anni e devozioni come fagioli che essiccavano all'aria turbolenta della sua crescente angoscia del non ricevere neanche una proposta a dare un senso a quella sua bellezza: Carina e Graziosa, eh, la parentela, insomma, a nozze c'era convolata e lei stava lì a cucirsi la cuffietta per la vecchiaia che già se la sentiva l'artrosi addosso che le stava atrofizzando la pazienza nello gestire il senso di ridicolo che le formicolava ovunque ad ogni apparizione del sesso che si dice forte e non ha neanche il coraggio di recare con sé una qualche fede.
E già. Gli anni rotolavano sull'età della donzella e non è che all'epoca se ne avessero a disposizione chissà quanti da giocarsi sulla roulette del sempiterno status, quello sociale. E non c'erano in circolazione bisturi da agitare per far cadere dalla faccia, plastificandola ma poco importa, gli anni che si appendevano a peso morto dappertutto ma, per tutti gli dei, restavano tutti bene appiccicati. Gli dei dal canto loro di plastico hanno al più concesso agli umani soltanto il vespaio artefatto che gli aleggia nella testa ogni volta che si pongono una qualche domanda per uscire dalla selva oscura e rientrare lesti lesti nel giardino incantato e recintato. Su acclamazione generale, eh. Ma lasciamo stare e torniamo alla coppia reale.
L’iniziale punto d’orgoglio ad ogni mese snocciolato e ruzzolato nel campo santo del passato si conficcava sempre più spietato e assai veloce nel cuore genitoriale, questa figlia che nessuno si voleva prendere in moglie non è che rimaneva a loro sul groppone?
E niente, serviva una soluzione. Solo che la corona creava loro un tale cerchio alla testa da non riuscire a pensare di dover pensare un qualcosa di sensato. E senza un senso se non quello tanto caro a questa razza d'uomo che proprio non lo molla il primato del delegare azioni opere e omissioni partendo dal pensiero, re e regina si recarono a chiedere numi oracolari, privi di un qualsiasi manto di autodeterminazione ma con lo scettro in mano, sia chiaro. E pure infastiditi dal bisbiglio che gli aleggiava tutto attorno per quell'essersi platealmente denudati della dignità del comandare sulla propria vita e su quella della figlia, ma proni davanti all'oracolo prescelto, quello di Apollo. Eh.
Neanche a dirlo che la genialità regale pensasse di puntare su un qualche dio minore che avrebbero potuto più che agevolmente ignorare o almeno aggirare qualora il vaticinio fosse stato di cattivo gusto, due candele e apposto. E invece no, figurarsi, Apollo. E come lo disattendi un responso del dio solare se poi non ti piace? Eh, lo esegui. Mentre ingoi tutte le lacrime che salgono su a rimarcare la tracotanza del lanciare il dado della sorte in aria e puntando dritto al sole senza porsi minimamente il dubbio che quello poi ti ricade addosso. Liquefatto ma preciso.
Ad ogni modo, il danno era fatto, hai voglia adesso a liquefarsi tutti dentro quel pianto.
E con quell'insopportabile lacrimare per aver delegato ad un oracolo il destino umano, tanto per cambiare, la consorteria regale si mise in fila per tre, rispose di sì e scortò civilmente Psiche in corteo fin sulla cime della rupe indicata dal dio. E muti tutti per il vaticinio ricevuto indietro.
Piangeva anche Psiche, eh, e valle a dare torto in quella situazione e con indosso l'abito da letto funerario richiesto dall'oracolo che quell'Apollo ti verrebbe da mandarlo dritto nella bottega di un qualche sarto italiano e di filato per due nozioni base sul buon gusto, un calcio bene assestato dallo stivale mediterraneo e magari pure sull'Olimpo l'eleganza gli entra nell'animo, chi può dirlo.
Ma riprendiamo ad intrecciare noi i fili di trama con quelli di ordito e proseguiamo il racconto.
Questo l'oracolo: Psiche avrebbe dovuto essere condotta in cima alla rupe vaticinata bene agghindata per il suo funerale. Funerale, eh, testuale. Da lì sarebbe stata prelevata dal suo promesso sposo. Che poi - a volerlo leggere con onestà intellettuale e senza schieramenti che è sempre poi il terzo a raccoglierne i profitti - vagli a dare torto all'oracolo dell'Apollo lì dove accosta il matrimonio ad una eclissi totale che in questo nostro regno umano non abbiamo ancora ad oggi imparato a coniugare con l'amare il rispetto di un esprimersi diverso oltretutto da noi prescelto, ma questo è un altro capitolo, torniamo nuovamente a lei, la bella Psiche dal manto funereo.
Su una rupe dicevamo, alta e a strapiombo sull'ignoto che poi lo sconosciuto altri non era che il suo promesso sposo. Un tale, testuale: crudele, feroce e viperino. Insomma, il terrore dell'Olimpo intero, Giove per primo, un essere dalla freccia spietata che a dirla proprio tutta andava di traverso anche a questa nostra razza umana che, piangendo tutte quelle sue lacrime patinate che tira fuori dal cilindro senza fondo ad ogni pia occasione, lasciò la nostra bella sull'orlo del burrone tremante di terrore e si volatilizzò così istantaneamente che pure Odino ci si è giocato mezzo cervello nel tentare di capire come abbia realizzato questa sparizione.
E, tremante di quel terrore misto allo sdegno di essere stata lasciata sola da quella massa di cuor di leoni dei suoi colleghi umani, Psiche venne sollevata da Zefiro in persona e da questi trasportata in un palazzo il cui splendore è a tutt'oggi impossibile da descrivere a parole, un po' come la sua bellezza, inenarrabile e sublime. Lì davanti, il vento la adagiò con una delicatezza che proprio non si capisce da dove l'abbia presa, ma un mignolo lussato alla fanciulla da recapitare e il dio mandante avrebbe predicato all'infinito e lui aveva già il peso morto di quell'altra femmina di un'Eco da portare all'infinito in giro, le prediche per la Psiche umana intendeva fermamente risparmiarsele, almeno quelle. E Psiche quasi non si accorse di aver toccato il suolo tra mille foglie sparse.
Sui bei piedini intatti e senza calli, quindi, la nostra sposa bella bella varcò la soglia del palazzo e restò letteralmente a bocca aperta, stato dentro il quale si trovava a suo pieno agio, sia chiaro, ma qui chiunque al cospetto dell'inverosimile si sarebbe ritrovato imbambolato: il palazzo pullulava di ogni ben di dio che poi, a ben vedere, ci mancherebbe altro visto che il padrone lì era un divino e s'era circondato di esseri invisibili pronti tutti a servire ogni suo capriccio prima ancora che venisse verbalizzato.
Inutile tentare di mettere insieme una pur lontana e vaga idea di cosa voglia dire avere attorno tanti geni quanti sono i propri desideri senza il fastidio di vederseli balzare fuori da una lampada che prima o dopo il dubbio te lo mette che sarebbe il caso di farlo quello sforzo di far illuminare tu la lampadina che mantieni spenta tra spirito e cervello e, mai sia, diventare finalmente autonomo. A Psiche, poi. Giusto il lampadario che le dondolava sulla testa semmai poteva illuminarsi se le facevano la grazia di accenderne stoppini e candele che lei voleva guardarlo come si deve quel paese dei balocchi nel quale si era ritrovata ad attendere il consorte.
E, con la grazia per niente umana dell'intervenire senza apparire, qualcuno illuminò il salone dell'immenso sfarzo che colava giù da ogni dove così che la fanciulla - massaggiata, sventolata, confortata e rallegrata da quell'oscuro che ha in sé il tutto ma non si vede - potesse finalmente indossare l'abito da mille e una notte e coricarsi nel talamo nuziale in attesa di Morfeo. Non Orfeo. E neanche il dio suo sposo che a lei interessava quanto a Biancaneve l'ottavo nano, lei voleva sprofondare nell'abbraccio del solo dio che al momento riusciva a sedurla, quello del sonno.
E invece la nostra giovane bellina finì dritta tra le braccia del consorte apparso nel gran letto a riscuotere il pedaggio perché va bene tutto, ma tutto quel ben di dio aveva pure un prezzo che, questo c'è da dirlo, lo pagheremmo tutti e per intero: invisibile - e già per questo firmeremmo qualsiasi accordo in un lampo - dolce, adorante, di lui aleggiava solo la sua voce ed era amabile, eh, altro che crudele feroce e viperino, questo dio consorte davanti a Psiche era un agnellino che, tra un affondo e ed un sospiro, belava tutte le imbecillità tipiche del primo innamoramento, quelle che se le racconti in giro il tuo esser maschio è bello che rovinato.
Solo che in giro non c'era nessuno e Amore poteva inscenare il repertorio al completo. Ogni notte il grande amplesso, di giorno lui spariva lasciando la consorte alla cura della divina corte. Insomma, uno spasso. E qui Apuleio se lo sarà pure fatto un qualche scrupolo che prova a trovarlo nel giro umano un matrimonio tanto perfetto, qualcosa doveva pur narrare che riequilibrasse umanamente la situazione e, con sommo gaudio, ci tenne a rimarcare che la Psiche lì dal divino amplesso non traeva minimo godimento, una piccola puntura è tutto quanto ella sentiva, anzi che se ne accorgeva. Se non dormiva.
E tanto ha fatto che Amore stesso non se ne accorse affatto, Psiche per notti e notti ha taciuto sul nulla assoluto fingendo e così mettendo in salvo il matrimonio che l'esemplare del maschio aperto al confronto su questo minuscolo dettaglio è praticamente estinto. Sempre che sia mai nato.
Ad ogni buon conto, quello della serva con l'occhio lungo, infiniti ben di dio e mille voci a comporre ogni desiderio valevano bene l'appagamento di quello di Amore con un paio di sospiri al tempo giusto dentro quel palazzo che toglieva il fiato. Non Amore, eh. Tutto quel lusso.
Se l’è fatta andare bene quindi Psiche la notturna punturina del divino coniuge e bene avrebbe fatto a perseverare nel buon senso visto il bacio della dea Fortuna, ma figurarsi: strati e strati di bambagia e cosa è andata a sentire quella? Il pisello della solitudine in fondo a tutto. Ma proprio in fondo, tra una beauty-farm, un banchetto, uno sfilatino farcito, una sfilata di moda e un massaggio che il tempo in un modo o nell'altro doveva pur ammazzarlo.
E Psiche avviò la litania che ammazzerebbe un'intera mandria di bisonti per la noia, di quelle che si levano come il maestrale e iniziano a vorticare come spade dentro l’orecchio del compagno subito dopo l’amplesso, quelle, per intendersi, che va bene tutto basta che quel ronzio taccia del tutto che il post-coito è sacro e vuole silenzio. Ma andiamo oltre il nulla cosmico e mettiamo a fuoco il genio espresso in quella specie di parco giochi vinto senza muovere un capello che solo a vederlo si rischia un attacco isterico per non essere il prescelto.
L'isteria, del resto, notoriamente cova in ogni donna e il non avere modo di sfogarla - che una piccola puntura, diciamocelo, è poca cosa - non può che dare forma a quella nostalgia che ha sempre in sé il retrogusto della rivalsa: Psiche voleva vedere la sua famiglia. Una volta e basta, eh, tanto per dimostrare che era viva e, già che c'era, mostrare al parentado il palazzo che lei comandava con un sol cenno. Con modestia, chiaro, l'eleganza del trionfo.
E la sua insopprimibile dissennatezza mista a quella indicibile bellezza trionfò su Amore che provò, diamogliene atto, a mostrarle che stava camminando proprio sull'orlo di un burrone che da che mondo è mondo, Olimpo incluso, nel portare allo scoperto un tesoro se ne perde ogni controllo e il possesso, meglio il riserbo, magari estremo. Ma era innamorato e alla fine acconsentì ad esaudire quel capriccio senza neanche sospettare che non è che lei lo amasse poi chissà quanto. Eh, l'amore cieco.
Che poi c'è da dirlo, cieco sì, ma non completamente istupidito, comunque l'Amore lì era un divino e tra gli dei il più temuto, l'unico che sapeva leggere nell'animo umano, con eccezione per l'amato, e il malanimo delle due sorelle che Psiche voleva far condurre a corte lui lo leggeva come un libro aperto. Apertamente, dunque, invitò quel genio della consorte a temerne consigli e moine. Insomma, a mantenere le distanze.
E già che c'era, Amore ricordò alla sua Psiche che in quel palazzo dei balocchi regnava un divieto universale, uno solo ma inviolabile: di non provare mai a scoprire identità e fattezze del consorte o ella avrebbe perso lui e tutto il ben di dio al suo servizio. Che Psiche insomma non tentasse di addentrarsi nei meandri dell'Amore per cercare di capire come è fatto veramente che tanto è un'impresa impossibile. Ma l'impossibile è tutto quanto ogni umana mente vuole scardinare puntando macchinosamente a colonizzare istinto e irrazionale, quell'intelligenza che si crede onnipotente ma, scissa dal cuore, è solo artificiale.
E Psiche il cuore ce lo mise, negarlo sarebbe miope, uno sguardo lucido lo vede bene come il punto di partenza di ogni meccanismo umano è in fondo quasi sempre una buona intenzione, l'inghippo è tutto nel percorso costellato di ogni sorta di manipolazione a deviare il cammino fino all'inferno dove però, a conforto, passa Dante ogni tanto, eh, con quel Virgilio che solo a vederlo ti ricordi che lui l'aveva detto che l'Amore vince su tutto. Se solo lo ascoltassimo.
E chi ascoltò la nostra bella, talmente piena di ogni ben d'Amore da non saperlo rispettare come il cuore, ad ascoltarlo, chiede? Le due sorelle, chiaramente. E quel senso di catastrofe imminente infiltrato nel DNA umano fino alle viscere che non ci fa godere niente da almeno un paio di millenni a questa parte ma forse da sempre mentre stiamo lì a chiederci se il Bene noi lo meritiamo veramente e nel frattempo gli assestiamo noi un ferale colpo piangendo solo dopo sul latte versato. Ma lasciamo stare l'umano karakiri universale e torniamo a lei, Psiche.
Dicevamo. Strappato il consenso al consorte, Psiche convocò a corte le due sorelle, prodiga nel ricoprirle d'oro e gioielli a vagonate mentre mostrava loro l'umile dimora della quale era la regina, indiscussa fino a mezz'ora prima.
Già, perché l'ingenuità del volere apparire, che poi è quel bisogno inestirpabile di una esterna accettazione, rimbalza come un boomerang e dritto in faccia al non voler proprio comprendere che questo mondo è un nostro specchio che ci rimanda indietro esattamente quello che siamo. Per chi ha occhi per vedere oltre l'ego. Nel profondo.
Così, senza vedere l'acredine che impregnava ogni falsa intenzione di consigliarla e metterla in guardia, la nostra Psiche - caricata dalla Carina e dalla Graziosa che quasi ci si sono giocate il fegato nel tentare di trattenere secchiate di nera bile davanti al lusso sfrenato e oltremodo sfacciato nel quale era immersa quella mezza donnetta della sorella più piccola - cadeva nel sospetto, orchestrato dalle due sorelle come orrore certo, di giacere ogni notte con un viscido serpente e non con quell'essere che percepiva affabile e regale per la sua ineffabile eleganza di accoglierla nel suo regno e in ogni abbraccio con la delicatezza che c'è ma non si mostra. Eppure dovrebbe essere la prima lezione da apprendere qui su questa terra, che percepiamo con il cuore e il cuore non fallisce e non sa mentire, è la mente quella che mente.
Ma con il cuore stretto nella morsa dell'inganno apocalittico - che, questo c'è da dirlo a mitigare la stoltezza della fanciulla visto che riguarda l'intera razza umana, da tempo immemorabile è cavalcato da chi si crede il padrone universale e proietta in giro ovunque immagini falsate e catastrofiche spacciandole per l'unica realtà possibile per questa nostra bislacca umanità ridotta a trascinarsi nella melma dell'angoscia indotta a soggiogare, già, ma illusoria - la bella senza la grazia di affidarsi alla propria anima che saprebbe bene come guidarla si lasciò convincere dall'animosità delle sorelle a mettere lume e lamette sotto il guanciale così da illuminare il volto del consorte dopo l'amplesso coniugale e, già che c'era, tagliare a lui la gola e alla dea della fortuna la benda che l'aveva resa cieca nel cospargere di ogni ben di dio una tale inetta a vivere che a confronto il Cosini di quel tal Svevo è tutto sommato un eroe solo un po' timido, insomma, un Don Chisciotte con Zeno ego.
Ora. Non c'è da insistere sull'evidenza, bella ma non balla è da sempre un monito per chi vorrebbe far fare piroette ad una bambola col viso in porcellana ma per il resto tutta di pezza. Ma quantomeno un pezzo di buon senso si spera sempre di trovarlo in ogni burattino che aspiri a diventare umano. E umanamente viene da chiedersi dove fosse il problema in un serpente che lei a mala pena percepiva per una punturina e a mo' di zuccherino lui la inondava di ogni agio e conforto. Un serpente, eh. E dunque? Pur se così fosse, lo sfarzo che scintillava ovunque abbagliandole cuore e mente l'aveva forse resa miope? Eva col serpente c’aveva pure fatto amicizia. E c'ha perso l'Eden, sì, va bene, ma perché quel diavolo di un biblico serpente l'aveva circuita perché contravvenisse al dio che presiedeva l'Antico Testamento, mentre quell'essere viperino che a Psiche si era dato in sposo era lui stesso il dio che governava sopra tutto e dunque ascoltarlo non avrebbe comportato alcun peccato. Ma stendiamo un velo. E che sia pietoso.
Niente pietà però per la genetica idiozia di Psiche e per quelle lacrime che ora lei versava a bidonate, che le raccolga semmai per rianimarsi con i loro sali ogni qualvolta ella sarà travolta dal ricordo dello tsunami di bellezza che le esplose in faccia alla vista del consorte addormentato dentro l'amore. Perdindirindina, un dio! Eh, ma tu guarda un po' il caso profetico. E lasci stare ora e per sempre i suoi strali che per raccoglierli non si capisce proprio a quale scopo finì per pungersi un dito scrivendo, già che c'era e a lettere di fuoco, il karma di quell'altra illuminata di una bella e addormentata. E più o meno di mezza progenie femminile che proprio non se lo vuole ricordare di che pasta è fatto il vero femminino che viene dato in dotazione a tutte le donne e per lo più lasciato a rinsecchire. Quello sacro, non lo specchio delle autodistruttive brame.
Bramando, dicevamo, quel suo marito per la prima volta con tutto il suo essere ma feralmente, ferita dal suo strale e da quella erotica bellezza impossibile da contemplare senza stramazzare, la nostra Psiche, dal doppio fondo della sua intelligenza sopraffina, portò allo scoperto il lume riposto e lo accostò al bel dormiente bruciandogli il candido piumaggio ed auto-avverando la profezia che l'avrebbe portata a perdere l'incanto neanche meritato: bididibodidibù e sparì tutto. Marito, castello, pure l'anello. Lasciando lei nello sconforto dell'aver sbagliato il tempo dell'innamoramento che, non se ne capisce la ragione ma forse ha proprio da lei origine, si attiva sempre quando l'altro è perduto.
Perduta dentro un amore volatilizzatosi in un batter d'ali come sa egregiamente fare ogni maschio Alfa passando da una tacca all'altra e muta perché in fondo se l'era cercata, la bella e disgraziata iniziò a vagare alla ricerca di una qualche superiore alleanza che avrebbe riportato indietro il suo consorte dall'abisso dell'onore tradito perché va bene che gli aveva disobbedito, va bene pure che sul malanimo di quelle due sorelle che c'aveva sul groppone genealogico lei non gli aveva creduto, va bene tutto, ma dove stava scritto che per uno sbaglio così piccino lei doveva giocarsi il paradiso in eterno? Per quanto ne sapeva, il suo piccolo peccato non era neanche originale che vai a trovarla sulla terra una donna che obbedisce per davvero e non per finta ai dettami del sesso che si dice forte, neanche col cannocchiale. E pure quelle due a dirla tutta, sparite come neve al sole per sfuggire all'ira della sua vendetta perché lei sarà pure ingenua dalla nascita, ma non fessa ad oltranza.
Un'ira, quella di Psiche, che mosse a compassione la Legge Universale e questa indirizzò il boomerang del Karma dritto sulla Carina e su quell'altra, la Graziosa: travolte e fatte fuori tutte e due dal livore e dal malanimo che covavano loro in cuore e che prima o dopo, se non ti dai una seria regolata in quel cammino evolutivo che si chiama esistere terreno, ti rimbalza in faccia. Con precisione millimetrica.
E la nostra bella, rimpolpata nella vanità tutta terrena dalla giustizia appena fatta, riprese con più agio il cammino riabilitativo andando a bussare ad ogni uscio divino che avesse sulla targhetta in bella mostra il simboli del femminino che, da che mondo è mondo, vige tra le donne un tacito sodalizio sull'amore tradito e deluso. E, in fondo, ogni Olimpo è mondo e questo c'è da dirlo: Psiche bussò a tutte le dee che stavano sull'organigramma olimpico e queste – Tutte, da Cerere a Minerva fino a Giunone - le aprirono la porta e tesero le orecchie che quella storia che la bella raccontava era più avvincente della solita soap opera trita e ritrita della mezza mela come anima gemella che a forza di cercarla quella era bella che marcita. E ci provarono, sia chiaro. Anche se Mercurio stava lì ad urlare ovunque l'ira funesta di Venere che altro che il Pelide Achille, tutte tentarono anche di far ragionare la dea dell'amore che, a dirla proprio tutta, proprio non si capiva perché sbraitasse come una arpia del fatto che l'amore si fosse innamorato. Non l'aveva lei stessa generato? Eh, dov'era il punto che le doleva? Ma di sprecare miracoli non se ne parlava e mettersi contro Venere in persona significa esattamente perdere il potere di gestire le già rognose questioni di cuore.
E tutte declinarono l'invito a dare a Psiche l'aiuto supplicato.
Suppliche esaurite che a saperlo prima quanto le sarebbero tornate utili si sarebbe risparmiata quantomeno l'umiliazione, la nostra trapezista nel vuoto cosmico di una qualche sensatezza andò a bussare alla Venere in persona visto che, se proprio si doveva umiliare, tanto valeva calare l'asso dell'annuncio che in meno di un anno l'avrebbe resa nonna di un bel pupetto mezzo divino che magari somigliava proprio alla suocera e apposto tutto.
Solo che. Eh, solo che neanche due neuroni riuscivano a collidere nella mente di quella ingenuità da orticaria, in quel suo immenso pozzo psicotico Psiche finiva col distorcere ad ogni singola occasione la cristallinità dell'evidenza che neanche a Biancaneve sarebbe mai sfuggita: sullo scettro di Miss Bellezza di tutto il cosmo - che le era costato e non poco mantenere dritto perché, diciamocelo, essere madre, e non dunque una fresca adolescente in boccio, non è che fosse stato un segno a suo vantaggio - c'è solo da immaginarselo quanto ci stesse in totale agio il titolo di nonna che avrebbe oltretutto fatto in un lampo il giro di tutto il mondo e pure dell'Olimpo. Pupo a maggior ragione, quella Psiche lì andava cancellata, dappertutto.
E dappertutto Psiche venne spedita dalla suocera con una serie di incombenze che erano chiare condanne a morte. O, a guardar bene, prove iniziatiche, ma lasciamo perdere che parliamo dell'umana Psiche, il valore segreto di ogni incarico divino poteva pure mettersi a ballare la tarantella davanti alla nostra imbambolata tanto bella e questa al più avrebbe applaudito come si applaude al circo dove ogni umano è pure convinto che l'elefante gioisca da gran divo a fare le piroette su uno sgabellino, che diamine, sta su un palcoscenico, chiunque farebbe piroette per stare al posto suo. Il sempiterno ego odierno che dell'Io profondo non sa che farsene, gli è d'impiccio.
Creando scompiglio e impiccio ad ogni passo calpestato su terra ferma e sottosuolo, quindi, la nostra bella senza l'animo di voler riuscire davvero nelle prove che tanto Amore era perso, si iniziò al compito a lei affidato creando il panico dappertutto perché va bene tutto, ma quella Psiche non poteva farla fuori la dea Venere direttamente anziché far compromettere spiriti e colleghe che un alterco con quell'Amore non è che proprio lo bramassero?
Già perché non è che ci volesse questo grande intuito per capire che l'ira di Amore si sarebbe abbattuta su chiunque avrebbe sparso il sangue della bella Psiche e una mitragliata inferocita delle sue frecce avrebbe fatto secco non solo Giove in persona, ma il Fato stesso, quello che presiede cosmo e stelle. E pace a tutta la creazione.
Baciata ogni volta dalla buona stella dell'occasione praticamente servita, Psiche vide quindi le acque impietose del terribile torrente prenderle la coppa da quelle mani affusolate e riconsegnarla già stracolma e questa era fatta, le aspre rocce della rupe infame porgerle direttamente il fiore che voleva la dea Venere, la dea infernale rimandarla lesta lesta in superficie. Una catena di prontezza nel rimpallare la donzella a qualcun altro da togliere il fiato. Una palla avvelenata da scaraventare lontano. E in eterno.
Solo che l'oltranzismo di una Psiche totalmente incapace di portare in superficie il buon senso del comprendere l'aiuto panico che pioveva dappertutto e seguire le istruzioni a menadito le arrestò il battito cardiaco nel momento esatto in cui, dall'alto del suo genio indiscusso, ella aprì per una sbirciatina l'anfora che la dea Proserpina le aveva comandato di mantenere sigillata. E la giovane cadde a terra, bella e addormentata. Eh.
A dirla proprio tutta, non è che questo punto venga quella gran voglia di raccontare il seguito che il roboante bacio di Amore a risvegliare la bella imbambolata appena informato che era stramazzata ha un che di assai stucchevole e si rischia seriamente di giocarcisi il cuore davanti alla banalità dell'originalissimo narratore di fiabe, sempre le stesse. Ma questo è quanto e al cospetto del ritorno di quel dio e del suo bacio rianimante non resta che tentare di restare in piedi dentro un amen.
E amen è esattamente quanto ha detto lo stesso Giove - con un sospiro e qualche tuono di disappunto - alla richiesta del dio Amore di darsi una mossa ad intervenire e punto.
Il punto era che - per quanto quell'imberbe di un Amore non riuscisse neanche casualmente a mettere a segno un qualche dardo dentro un amore giusto e non rognoso - lui, il sommo, al piccoletto tutto sommato voleva bene e, ad ogni buon conto, quel così sia concesso valeva quanto il matto da calare qualora l'immortale dio erotico gli avesse d'ora in poi falsato in qualche modo il gioco del sedurre e poi scappare.
Così fu dunque l'ultimo atto, con tanto di sigillo del re olimpico:
Quale unica eccezione al classismo degli divi(ni) che l'inclusività la predicano ad ogni apparizione e coram populo perché siano appunto i popoli e non loro a mischiare stirpe e credo, rassicurata Venere che lo scettro di reginetta non gliel'avrebbe certo soffiato una mezza donnetta e comunque lui era il capo, la Psiche umana venne trasformata in dea per andare in sposa al dio Amore.
Grandi nozze, già, tra gli invitati anche i terrestri e tra questi sorge il sospetto che - bypassando lo spazio tempo che in fondo, diciamocelo, è solo un inganno - per l'album fotografico sia stato ingaggiato il Canova stesso e questi abbia strafatto come fa ogni umano. Fatto sta che il ritratto degli sposi lui l'ha scolpito dentro il marmo e a guardarlo ci si può solo togliere il cappello.
E a noi non resta, col cappello in mano, che sventolarci a fiato corto ogni volta che inciampiamo in Voluttà, la figlia nata dall'unione Psiche e del dio Amore, che appena apparsa sull'Olimpo è stata presentata al mondo intero come un subdolo peccato da tener lontano, quello che sa di buono e tu stai lì a chiederti Perché no? . Mentre ti cacciano dall'eden e in eterno per aver solo assaggiato quel nettare divino. E, come ogni frutto paradisiaco, proibito.