Deesis con Cristo in trono - Russia Scuola di M’stera - Inizio XIX sec. - cm 35,4 x 28,2
“L’Antropologia cristiana e l’Arte” - 3
di Giovanni Boschetti
Ora, per esprimere questo capovolgimento di prospettiva sono necessari all’immagine una struttura peculiare, delle modalità espressive particolari, uno stile specifico.
In questa struttura dell’Icona, che viene chiamata ‘prospettiva rovesciata’ o ‘inversa’, ciò che stupisce innanzitutto è una serie di particolarità formali, che sembrano talvolta un enigma insolubile all’uomo della moderna cultura europea. Per tale ragione, queste forme sono abitualmente liquidate come altrettante deformazioni, ma la ‘deformazione’ è tale solo rispetto all’occhio abituato alla prospettiva lineare e alla concezione del mondo che noi consideriamo oggi come normale, ossia paragonata alle forme che esprimono la visione del mondo propria del nostro tempo. In realtà non si tratta di una deformazione, ma di un linguaggio pittorico diverso, proprio della Chiesa. Da qui la difficoltà di un’analisi scientifica di tale linguaggio. Una spiegazione dell’Icona che sia esclusivamente estetica o razionale è impossibile, poiché la rivelazione cristiana che ne costituisce il contenuto, l’esperienza della vita divina donata all’uomo, non è accessibile all’analisi scientifica. Solo gli elementi per così dire periferici sono accessibili alla scienza e rientrano nella sua competenza. Sono, l’abbiamo già detto, l’aspetto artistico dell’opera, il suo contesto sociale e storico, la struttura dell’immagine, le influenze, le ispirazioni, ecc. Ecco perché la scienza si limita a evidenziare i parallelismi tra l’Icona e il folklore, le vite dei Santi e la letteratura profana. Ma allorché tenta di cogliere l’essenza dell’arte della Chiesa, utilizzando le categorie che le sono proprie, arriva a dire delle insulsaggini, quali: ‘pia immaginazione del pittore’, ‘astrazione’, ‘smaterializzazione del mondo visibile e del corpo umano’, ecc.
Questa ‘deformazione’ è naturale, perfino indispensabile al contenuto che l’Icona intende esprimere. Per un iconografo tradizionale, sia passato che contemporaneo, questa struttura dell’Icona stessa è l’unica possibile ed è imprescindibile.
Scaturita dall’esperienza liturgica della Chiesa, essa oppone (rispetto alle altre forme artistiche) l’esperienza cattolica della Chiesa al punto di vista particolare dell’uomo autonomo, all’esperienza individuale del pittore e alla sua ‘coscienza disgregata’.
Conviene prima di tutto precisare che nel termine tecnico generalmente usato di ‘prospettiva rovesciata’, l’aggettivo ‘rovesciata’ non è esatto, perché non c’è un’inversione pura e semplice della prospettiva lineare, una specie di riflesso inverso (speculare). Non esiste un sistema di prospettiva rovesciata che possa corrispondere al sistema della prospettiva lineare. Alla rigida legge di quest’ultima si oppone un’altra norma, un altro principio di costruzione dell’immagine, che dipende dal suo contenuto. Questo altro principio implica tutta una serie di procedimenti che danno una rappresentazione sia contraria (rovesciata) rispetto all’illusione, sia totalmente differente da essa (secondo il senso del rappresentato).
È stata constatata una superiorità dei principi strutturali dell’Icona su quelli dell’arte moderna. La ricchezza e le diversità nei procedimenti di rappresentazione dell’Icona sono palesemente superiori ai procedimenti artistici dell’epoca contemporanea. La struttura dell’immagine, in un’arte considerata ‘barbara’ fino a poco tempo fa, necessita, per essere decifrata, di un apparato matematico ben più complesso di quello necessario a decifrare la pittura rinascimentale, dotata pretenziosamente dell’unico metodo scientificamente valido per rappresentare il mondo visibile. Tuttavia, ciò che importa è che questo principio delle strutture spaziali sia diventato un sistema coerente e ben definito proprio e soltanto nell’arte cristiana.
Secondo la scienza contemporanea, da vicino noi non vediamo gli oggetti come li rappresentava Raffaello… Da vicino noi vediamo tutto così come lo raffiguravano sia Rublëv che tutti i pittori russi antichi. Ci permettiamo di precisare un po’ quest’affermazione. Raffaello disegnava, certo, in modo differente da Rublëv, ma guardava come quest’ultimo, poiché è una legge naturale della percezione visiva. La differenza consiste nel fatto che Raffaello sottometteva la visione naturale dell’occhio umano al controllo della sua ragione autonoma e perciò si discostava da questa visione. Gli iconografi, al contrario, non se ne allontanavano perché il senso di ciò che rappresentavano non soltanto non lo esigeva, ma non permetteva di valicare la percezione naturale del primo piano, al quale si ferma la struttura dell’Icona.
Tentiamo di illustrare con alcuni esempi questa corrispondenza fra la struttura dell’icona e il suo contenuto.
La rappresentazione dello spazio nell’icona ha questa particolarità: benché sia tridimensionale (e non bidimensionale), la terza dimensione è limitata dalla superficie della tavola e la rappresentazione è orientata verso lo spazio reale che si trova davanti all’immagine. Detto altrimenti, rispetto alla rappresentazione illusoria dello spazio in profondità, l’Icona ci mostra l’inverso. Se una pittura, costruita secondo le leggi della prospettiva lineare, rappresenta uno spazio ‘altro’, che non ha alcun rapporto con lo spazio reale in cui essa si trova, nell’Icona avviene il contrario: lo spazio rappresentato si include nello spazio reale, non c’è frattura fra i due. La rappresentazione è limitata al primo piano. Le persone raffigurate dall’Icona e quelle che si trovano davanti ad essa sono unite in uno stesso spazio.
Poiché la rivelazione si rivolge all’uomo, anche l’immagine si rivolge a lui.
“L’Arte nasce dalle costrizioni e muore di libertà”
(Pavel Evdokimov)