F. Dannenberg - Illustration aus einer Serie “Ausländische Kulturpflanzen”, 1894
Kakawa è un nome dolce
di Cesare Verlucca & Giorgio Cortese
Cari amici,
possiamo per una volta raccontarvi qualcosa di dolce?
Con le notizie mediamente tristi che accompagnano le nostre giornate, cercare di addolcirle dovrebbe essere una materia da insegnare dalla prima elementare, se non addirittura dall’asilo infantile.
Come sanno coloro che perdono un po’ del loro tempo a leggere i nostri testi sugli argomenti più vari, non è tanto alla situazione attuale che ci richiamiamo; ma, se possibile, al primo giorno della loro apparizione nel mondo, si tratti indifferentemente di persone, oggetti, azioni, eventi sempre che si riesca ad arrivare così lontano; e questa volta l’argomento che ci interessa è il kakawa, semplificato in “cacao”,
La storia di quel prodotto risale a 4000 anni avanti Cristo, partendo dall’America meridionale, dove l’albero del cacao cresce spontaneamente lungo il bacino dell’Orinoco e del Fiume delle Amazzoni. I primi a scoprirne le virtù nutritive sono i Maya, che l’hanno introdotto nella penisola dello Yucatan, dove ci procureremmo il piacere di invitarvi spesso perché la storia del mondo transita volentieri da quelle gradevolissime parti.
Grandi coltivatori ne furono anche gli Olmechi e i Toltechi che, prima dell’invasione degli Aztechi, hanno esteso ulteriormente la produzione del cacao fino alle zone interne del Messico attuale. Oltre a essere un alimento, il cacao era per i Maya addirittura una moneta, e ancor più con gli Aztechi, dei quali il sistema monetario era realmente basato sulle fave di questa pianta, entrando definitivamente nella storia.
Essa, infatti, prende il suo nome da una parola d'origine proto-amerinda pronunciata "kakawa". I primi agricoltori che ne iniziarono la coltivazione della pianta furono i Maya intorno al 600 a.C. Preparavano una bevanda chiamata Xocolatl, mescolando acqua e spezie alla polvere ricavata pestando i semi di cacao tostati.
Della parola xocolatl, la x iniziale corrisponde a un suono simile all’italiano “sc” in sciocco, che significa letteralmente “acqua aspra” e, per estensione, “bevanda aspra”, utilizzato in realtà per riferirsi a una bevanda a base di mais macinato e disciolto in acqua, il cui sapore aspro doveva essere occasionato da un certo grado di fermentazione.
Una leggenda narra di una principessa azteca che fu lasciata di guardia al tesoro del suo sposo, partito per la guerra. Un giorno venne assalita dai nemici che volevano costringerla a rivelare dove fosse il tesoro. La principessa preferì morire piuttosto che rivelare il segreto. La leggenda narra che dal suo sangue nacque una pianta con i semi amari come le sue sofferenze, forti come la sua virtù e rossi come il suo sangue: era così nato il cacao.
L’unità di misura standard del cacao che risale ai Maya è la “carga”, che equivale a 24.000 mandorle e al carico che poteva portarsi a spalla; la carga si compone di tre xiquipil di 8.000 fave, di cui ognuno equivale a 21 zontle di 400 fave.
Cortez, nelle sue memorie, riferisce che gli indigeni avevano una vita felice, non si preoccupavano del futuro e gioivano dei beni temporali della natura utilizzando i semi del cacao al posto della moneta. Allora un seme di cacao valeva l'equivalente di quattro pannocchie di mais; tre semi servivano per comprare un uovo di tacchino; con quattro semi di cacao si poteva comprare una zucca, con dieci un coniglio, con dodici una notte con una concubina e, con cento, si poteva entrare in possesso di una canoa, di un mantello in cotone o di uno schiavo.
Il termine scientifico “theobroma cacao”, cibo degli dèi, venne indicato da Carlo Linneo nel XVIII secolo per le numerose proprietà attribuite al cacao dai popoli dell'America centrale.
Per i popoli mesoamericani i semi erano un simbolo di prosperità nei riti religiosi; una medicina capace di guarire le malattie della mente e del corpo, eritemi, diarrea o mal di stomaco. Sotto l'aspetto alimentare il cacao era un ingrediente fondamentale per diverse bevande, classificate in base alla qualità dei semi e dei prodotti associati. Famosa era la “pasol”, cacao abbinato al mais, che confezionata in forma di palline diventava alimento corroborante di facile trasporto, da consumare dopo l'immersione in acqua calda.
Non si può stabilire con certezza il momento in cui il cacao sarebbe approdato in Europa; molti testi attribuiscono a Cortés questo merito, ma pare non esista una prova documentata di tale ipotesi.
Il primo scritto ufficiale dell’apparizione del cacao nel Vecchio Continente, proviene dalla relazione della visita di una delegazione di frati domenicani, ritornati in Europa nel 1544. I religiosi condussero una rappresentanza di nobili Maya in visita a Filippo di Spagna; sembra che gli ospiti, vestiti negli abiti tradizionali del proprio paese, abbiano offerto al principe molti doni, tra i quali una bevanda scura, pastosa, chiamata "xocoatl", proveniente dai semi del cacao.
Lo storico milanese Benzoni nella sua “Historia del mondo nuovo” (1565) così presenta il cacao e la mistura da esso derivata: “il suo frutto è a modo di mandorle, e nasce in certe zucche di grossezza e larghezza quasi come un cocomero… lo mettono al sole a sciugare, e quando lo vogliono bevere, in un testo lo fanno seccare al fuoco, e poi con le pietre… lo macinano, e messolo nelle sue tazze… a poco a poco distemperatolo con acqua, e alle volte con un poco del suo pepe, lo beono, il quale più pare beveraggio da porci che da huomini”.
Indipendentemente da chi avrebbe introdotto il cacao in Europa, bisogna ricordare che durante il ‘500 la Spagna e i territori del Nuovo Mondo erano in costante contatto, e il passaggio dei semi potrebbe essere avvenuto attraverso le linee di comunicazione fra i conventi del Centro America e le rispettive case madri spagnole. In ogni caso il commercio transoceanico del cacao iniziò solo nel 1585, anno in cui il primo carico di chicchi giunse a Siviglia dalle Indie, come si chiavano allora le Americhe.
Se pensate che il cacao sia piaciuto immediatamente agli europei conquistatori, vi sbagliate. Perché la cioccolata approdasse in Europa, fu necessario tempo e adattamento, e solo dopo svariati anni iniziò dalla Spagna il suo grande viaggio per tutta l’Europa, passando per l’Italia e la corte dei Medici; per l’Inghilterra quasi in contemporanea con caffè e tè; e per la Francia, soprattutto nel periodo in cui il re Luigi XIV e Maria Teresa d’Asburgo si sposarono. Grazie a queste nozze, il cioccolato fu introdotto ufficialmente in Francia e la bevanda si diffuse prestissimo tra tutte le classi sociali.
Bisognerà arrivare al 1800 e alla rivoluzione industriale per vedere il cacao trasformarsi nella cioccolata che tutti conosciamo.
Nel 1828, il chimico olandese Johannes van Houten, nel suo laboratorio di Amsterdam, diede vita alla prima pressa idraulica in grado di separare il burro di cacao dalla pasta di cacao, ottenendo una sorta di panetto di cioccolato riducibile in polvere.
Questo diede via a una sorta di rivoluzione del cioccolato, nel 1847 venne creata la prima barretta di cioccolato ad opera della famiglia Fry, un’invenzione così importante che durante il periodo vittoriano l’azienda Fry divenne la più grande produttrice di cioccolato al mondo.
Nel 1867 Heinrich Nestlè, chimico svizzero, scoprì il processo di evaporazione che permetteva al latte di diventare polvere per poi tornare in forma liquida se mescolato con acqua.
Daniel Peter, nel 1879, si servì della scoperta di Nestlé unendo il latte in polvere alla cioccolata, creando la prima barretta di cioccolato al latte.
La Svizzera divenne famosa con il cioccolato grazie anche a Rundolph Lindt, che inventò la macchina per il concaggio nella fase finale della produzione del cioccolato in cui la materia prima viene sbattuta contro le pareti di una conca, più e più volte, fino a diventare una sostanza cremosa, fluida e vellutata.
La parola concaggio deriva dall’inglese conching, e il significato va ricercato nella forma tipica, a conchiglia, delle prime macchine usate per il concaggio del cioccolato.
Da questo momento in poi la produzione del cioccolato divenne così grande e si rivelò così necessaria per l’economia dei paesi produttori, che passò direttamente a livello industriale senza mai fermarsi, ed è viva ancora oggi.
Giunti a questo punto, dovremmo onestamente concludere ricordando che Torino ha dato i natali al primo cioccolatino della storia, ma l’argomento è vasto e merita un testo autonomo che vi invieremo, come nei migliori feuilletons, al prossimo numero.
Promis juré qu'on la vivra, notre belle histoire.