Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Andreij Rublev (Mosca, 1360 ca - 1430) - Trinità o Ospitalità d’Abramo

 

L’arte delle antiche icone russe

di Giovanni Boschetti

 

Vi propongo un estratto di un libro scritto da una signora che ben ha conosciuto le Antiche Icone Russe in quanto professoressa di russo all’università fin dagli anni ‘60 del secolo scorso e frequentatrice delle terre di Russia, la signora Duska Avrese.

L’ho conosciuta, l’ho apprezzata ed ho scambiato con lei non un’amicizia nel vero termine della parola, ma un affettuoso scambio di opinioni su queste stupende “creature” come amava definirle lei. La stima reciproca portò lei ad assegnarmi l’eredità spirituale della collezione di Antiche Icone Russe che possedeva. Sapeva che le amavo quanto lei e che la sua collezione sarebbe stata, almeno in parte, salvaguardata e consegnata alla storia dell’arte.

Parte della sua collezione ha trovato spazio presso il Museo Miniscalchi - Erizzo di Verona.

Questo scritto, estratto dal suo libro è un omaggio alla sua memoria ed al suo amore per queste opere d’Arte Sacra.

 

Appunti di un'amante dell'Arte delle Antiche Icone Russe

"Mi trovavo a S. Pietroburgo nel luglio scorso. Vi ero già stata di recente, ma, dopo tanti anni trascorsi in quel Paese, dopo tante esperienze vissute insieme ai miei amici russi, mi era difficile resistere lontana dalla...città della mia anima.

[...] Cosa significa per un russo un'Icona? È un attimo di tregua alla sua sofferenza, è una preghiera, una supplica, il tentativo di accostarsi a quell'invisibile in cui, finalmente, trovare un po' di quiete e di conforto. È un ancoraggio per la sua anima, è una finestra sull'Eternità. L'Icona, non dimentichiamolo, era, un tempo, il “personaggio” principale di una famiglia russa e accompagnava per mano ogni creatura dalla nascita alla morte.

[...] In ogni casa esisteva un angolo dove erano appese le Icone con un lume acceso davanti ed il primo gesto di chiunque entrasse era quello di accostarsi a quell'angolo e di rivolgere un saluto ed una preghiera a quelle immagini. I russi amavano molto il colore rosso e credevano che fosse di buon augurio, ragione per cui la parola rosso divenne, anticamente, sinonimo di bello. Da qui nacquero tante confusioni per cui si arrivò addirittura ad attribuire al colore politico il motivo, ad esempio, della denominazione della Piazza Rossa a Mosca, che non è altro che piazza bella, così come l'angolo delle Sacre Icone era l'angolo bello.

[...] L'Icona non è un quadro, è un oggetto sacro, un oggetto miracoloso. Le figure descritte non devono dilettare l'occhio, l'aspetto non dovrà mai essere bello nel senso comune del termine, dovrà allontanarsi dall'aspetto umano. Le membra si allungano, si spiritualizzano, l'incarnato diventa bruno, deve assomigliare il meno possibile all'incarnato umano, è un po' come se a queste figure, quasi sospese nell'etere, fosse stata estratta la linfa vitale; le labbra sono sottili, esangui, mai sensuali, le proporzioni falsate. Non esiste prospettiva, o meglio una prospettiva come da noi è abitualmente intesa. Del resto nella dimensione dell'invisibile non esistono né spazio, né tempo, né, tantomeno, prospettiva. L'immagine con cui avere un dialogo deve esserti vicina, sul tuo stesso piano, per poter entrare, sgusciare dentro di te.

[...] Ho tappezzato le pareti della mia stanza di Icone, è diventata una specie di guscio protettivo, un bozzolo dorato, uno scrigno segreto che mi avvolge.

[...] Mi alzo, è inutile che mi sforzi di dormire, mi accosto alle varie immagini, ne accarezzo le superfici, indugio col dito sul kocveg (incavo che si trova sulla superficie delle Icone) e, all'improvviso, mi sento magicamente introdotta in una dimensione diversa... Sarà, usando una parola di moda, la sindrome dell'Icona?...Ad un tratto la finestra sull'eternità si socchiude, si affacciano tanti visi amati, un po' nebulosi, un po' sovrapposti e accavallati, sembra quasi che si spingano l'un l'altro per aprirsi una breccia."

[...] Riterrei una grande conquista se il mio modesto lavoro contribuisse anche solo a scalfire un vecchio pregiudizio tuttora esistente in Italia nei riguardi delle Icone...

Qui da noi c'è spesso la tendenza a ritenerle ripetitive, monotone oppure tristi. Si sa poco o niente della Russia, anche per l'isolamento in cui è sempre vissuta; si sa poco delle sue sofferenze e delle sue tradizioni, non si tiene alcun conto della distanza che separa la pittura dall'iconografia e degli scopi diversi che queste forme d'arte si pongono […]

Nell'arte sacra russa il ripetersi dei medesimi soggetti attraverso i secoli e l'aderenza ai canoni potrà trarre in inganno e creare, in alcuni, degli equivoci. Inoltre il profondo spiritualismo dell'Icona russa non è, per chiunque, di facile comprensione.

I volti volutamente ascetici possono, ad un osservatore superficiale o educato alla pittura realistica, apparire privi di vita, le figure possono sembrare immobili. Ma è proprio tale apparente immobilità fisica, in contrasto con la mobilità e profondità dello sguardo, ad esprimere l'intensità dello spirito, lo sforzo di un'ascesa spirituale, il predominio dell'anima sul corpo che viene ritenuto soltanto un involucro [...]

L'oro, per esempio, più che un colore, è pura Luce, è il colore più amato e spesso le Icone sono dipinte su fondi dorati [...] Il dolore nelle Icone non viene mai urlato, ma trattenuto dignitosamente e solennemente [...] Le passioni sono rarefatte [...]

L'arte Bizantina è così perfetta nell'esprimere le Verità Divine che l'Oriente cristiano non sente l'esigenza di mutare alcunché.

È stata finalmente raggiunta l'indipendenza dal reale, ci si è finalmente liberati dalla prigione del mondo naturale, si è trovata la chiave per esprimere efficacemente l'ultraterreno, il soprannaturale. Perché cambiare? Avviene un arrestarsi voluto, consapevole, non frutto di fantasia, ma conseguenza della convinzione di aver trovato la maniera giusta per esprimere il mistero dell'Invisibile.

L'Invisibile è immutabile e per esprimerlo non bisogna desacralizzarlo ed in un certo senso "dissacrarlo"; non bisogna fare la "caricatura del sacro" come diceva lo storico dell'arte Fedor Buslaev.

Bisogna allontanarsi dall'umano. Anche gli eventi devono essere raffigurati nel loro significato trascendente, esprimere soprattutto l'idea, l'essenza dell'avvenimento più che l'avvenimento stesso.

L'Occidente, per sua stessa natura, non accetta ciò che considera od interpreta come una forma di staticità e di immobilismo e tende con inquietudine verso nuove idee e nuovi stili. Cosicché, mentre lo stile russo rimane per molti secoli invariato, in Occidente si susseguono il romanico, il gotico, il Rinascimento, il barocco, il Neoclassicismo.

L'Occidente tende ad illustrare l'agiografia, l'Oriente a rivederla. Avviene da noi un graduale allontanamento dall'arte della Chiesa d'Oriente ed una sempre maggior "desacralizzazione" dell'Arte Sacra.

In Italia, già Cimabue, Giotto e Duccio iniziano questo allontanamento pur conservando ancora tracce (soprattutto Cimabue e Duccio) dell'influenza dell'arte Bizantina. Giotto muta radicalmente la concezione della pittura a Firenze, mentre a Siena la rottura con la primitiva tradizione Bizantina avviene più gradualmente."

[…] Il più grande pittore dell'antica Russia fu indubbiamente Andreij Rublev (nato intorno al 1370), monaco, che trascorse i suoi anni giovanili nel famoso monastero della Trinità proprio a Zagorsk, dove dipinse il suo capolavoro, la celebre Icona della Trinità.

Le figure dipinte da Rublev sono piatte, allungate e quasi senza dimensione, il che sottolinea la loro spiritualità e crea una atmosfera ultraterrena; la sua arte è impregnata di un profondo senso religioso e di una fede fervida.

L'influenza di Rublev lascerà la sua traccia in quasi tutte le opere del XV secolo. Tuttavia i creatori di Icone restano anonimi; quasi sempre si tratta di monaci che, per umiltà e modestia, comprimono la propria personalità e si considerano soltanto degli intermediari tra il cielo e la terra, degli umili servitori di Dio e, dopo giorni di penitenza, digiuni e veglia, dipingono le loro immagini di culto pregando intensamente. Anche per questo il carattere mistico delle loro opere è particolarmente accentuato.

Il significato etico e religioso che caratterizza l'arte di questi iconografi, così lontana e autonoma dall'arte occidentale, le conferisce un fascino particolarmente intenso e suggestivo, che noi riusciremo a cogliere soltanto se ci accosteremo alle Icone non soltanto con senso critico, ma anche e soprattutto con una intensa partecipazione del nostro spirito e con amore, con un riflesso di quell'amore che ogni russo prova per queste immagini.

<da: l'Icona e l'anima russa - Duska Avrese >

 

Inserito il:20/05/2019 23:26:53
Ultimo aggiornamento:21/05/2019 00:11:56
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