Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Tranquillo Cremona (Pavia,1837 - Milano, 1878) - Marco Polo incontra Kubilay Khan

 

Civiltà d'Oriente: Cina (5)

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Gli Yuan

Per oltre un secolo la Cina, l’intera Cina, fu governata da una dinastia straniera, una dinastia mongola, per la quale il fondatore, Kubilay, scelse il nome di “Yuan”, che in cinese significa “origine” o “primo inizio”; la scelta di una parola cinese per il nome della dinastia indica il desiderio dei regnanti di apparire Imperatori Cinesi a tutti gli effetti, anche se i mongoli rimasero sempre come una fascia di popolazione distinta, sovrapposta alla popolazione autoctona. Il periodo d’oro della dinastia coincise con il regno di Kubilay, poi il declino fu rapido.

    1. Kubilay Khan (1260-1294)

Kubilay nacque nel 1215, anno in cui Gengis Khan conquistava Pechino, figlio di Tolui, il terzogenito del Gran Khan e di una cristiana nestoriana, nipote dell’Ong Khan, il capo dei Keraiti, primo alleato di Temujin: dal matrimonio nacquero quattro figli, tutti destinati a posizioni di rilievo. Il primo, Monge, sarà Khangakhan dal 1251 al 1259, quando gli succedette Kubilay. Il terzo, Hulegu, conquistò Iraq e Persia, il quarto Arigh Boke regnò sulla Mongolia. I ragazzi persero presto il padre (1232), ma le sorti della casata furono amministrate con grande saggezza e lungimiranza dalla madre, che, dopo la morte di Ogodei, riuscì a costruire una rete di alleanze che portò il figlio maggiore, Monge, al trono di Khangakhan nel 1252.  L’ascesa al trono del fratello migliorò anche la situazione di Kubilay che ricevette in dote vasti territori nel nord della Cina e l’incarico di organizzare e condurre campagne militari, la prima contro il regno di Dali (nello Yunnan), un piccolo territorio nel sud, che si era reso indipendente nel X secolo; dopo i primi scontri Dali si sottomise senza opporre resistenza.

La Cina nei primi anni del regno di Kubilay; la zona in giallo denominata con il nome dei precedenti dominatori, i Jin, era già stata conquistata dai mongoli con Gengis Khan

Nel 1257 Monge decise di attaccare il regno dei Song che si era mantenuto indipendente e costituiva un ghiotto boccone per i mongoli, essendo un territorio molto prospero. Monge riunì un forte esercito, affidando a Kubilay il comando del contingente principale: inizialmente, con la presa di Chengdu, le operazioni sembravano poter procedere speditamente, poi le difficoltà ambientali e la strenua difesa dei Song ostacolarono l’avanzata dei mongoli. Infine, la morte di Monge nel 1259, conseguente ad una ferita o al colera, bloccarono tutto; Kubilay, fatta la pace con i Song, si precipitò a Kara Korum per partecipare al “kuriltai” per l’elezione del nuovo Gran Khan; Kubilay fu eletto Khangakhan nel 1260, ma la sua elezione fu subito contestata dal fratello minore, Arigh Boke che per quattro anni diede filo da torcere al Khan; sconfitto e fatto prigioniero rischiò la condanna a morte, ritardata dalle esitazioni del fratello: risolse allora lui il problema, morì nel 1266 di morte naturale.      

Liberatosi così della minaccia interna, Kubilay poté dedicarsi a consolidare la sua posizione: per tutta la sua vita Kubilay (nell’immagine sopra) pretese di essere riconosciuto sia come legittimo Khan dei Khan sia come Imperatore della Cina; riguardo al primo punto dovette rassegnarsi ben presto all’impossibilità di esercitare un qualsiasi controllo sui vari khanati, restava comunque solo un “primus inter pares”; ma anche riguardo alla Cina il suo appariva un titolo privo di grandi contenuti, se non fosse riuscito a sottomettere il regno dei Song, che rappresentava, di gran lunga l’area non solo più popolosa (50 milioni di abitanti, contro i 10 della Cina del nord), ma anche la più prospera per i ricchi traffici via mare che il governo era riuscito a sviluppare. Kubilay quindi decise che la conquista del regno Song era un obiettivo irrinunciabile.

La capitale del regno Song era Hangzou, città attualmente nello Zhejiang, non lontana da Shangai, ma l’accesso alla capitale era sbarrato dalla città fortificata di Hsiang -yang (attualmente nell’Hubei) che Kubilayy decise di investire con ingenti forze nel 1268; cinque anni durò l’assedio, uno dei più famosi della storia cinese, cui dice di aver partecipato lo stesso Marco Polo; la situazione si risolse solo quando due ingegneri persiani, inviati dal nipote, figlio di Hulegu, riuscirono a costruire possenti macchine d’assedio, catapulte, mangani e lanciafiamme che fiaccarono la resistenza dei difensori, consegnando la città ai mongoli. La guerra non era finita, resisteva la capitale Hangzhou che i generali mongoli dovettero stringere d’assedio impiegando anche una flotta costruita a tempi di record con l’aiuto di coreani e Jurchen (popolazioni della Manciuria), visto che i mongoli non avevano familiarità col mare; bloccata da ogni lato, Hangzhou cadde nel dicembre 1275; gli ultimi discendenti della dinastia Song muoiono tre anni dopo, annegati in un tentativo di fuga. Nel 1279, il regno dei Song meridionali non esisteva più.

Ora Kubilay può proclamarsi Imperatore di tutta la Cina e dedicarsi a riorganizzare il suo regno. Il primo problema con cui Kubilay si dovette misurare, e continuerà a confrontarsi per tutta la vita, fu quello di far convivere le aspirazioni ed i pregiudizi delle due principali componenti della nazione, i mongoli ed i cinesi, due etnie distanti per usi, costumi, tradizioni; i mongoli più tradizionalisti temevano la sua identificazione con la Cina e la sua cultura, i cinesi non tolleravano un regnante straniero; i mongoli non si fusero mai con i cinesi che consideravano dei sudditi a loro soggetti. Kubilay aveva bisogno di entrambi e trovare un “modus vivendi” non fu cosa facile, considerando che un milione circa di mongoli doveva controllare e amministrare sessanta milioni di cinesi. In termini generali, Kubilay affidò le responsabilità in campo militare ai mongoli, mentre per le attività produttive ed il commercio si impiegavano quasi esclusivamente dei cinesi, in qualche caso mercanti stranieri, arabi in primo luogo.

Ovviamente, secondo la visione politica dei mongoli, al vertice della scala sociale si collocavano i militari, l’esercito, e nell’esercito primeggiavano i mongoli; in primo piano veniva la cavalleria mongola e quella fornita dai loro alleati asiatici, tartari soprattutto; ogni mongolo maschio era tenuto a prestare servizio militare, anche coloro cui erano state concesse terre in compenso del valore dimostrato e dei servigi prestati. Ai cinesi era fatto obbligo di servire in fanteria, senza mai raggiungere i gradi di comando, che erano riservati a mongoli, o, in alcuni casi, a comandanti stranieri, come il turco Bayan che guidò la campagna contro i Song. A mongoli infine era affidato il controllo degli approvvigionamenti militari e degli allevamenti di cavalli, elemento critico per il funzionamento delle strategie di combattimento. Uno strumento importante, anche ai fini militari, fu l’efficiente sistema postale istituito dal governo di Kubilay, che consentiva   mobilitare rapidamente forze distribuite in tutto l’impero. Una elite di guerrieri mongoli costituiva la guardia personale dell’Imperatore.

Trovare un equilibrio in campo politico -amministrativo fu più difficile. Come prima cosa il Khan eliminò il sistema dei concorsi, perché non poteva permettere l’accesso automatico ai livelli più alti della burocrazia a cinesi; li impiegò comunque come consiglieri, però su sua scelta e senza mai fidarsi interamente di loro, affiancandoli spesso con consiglieri stranieri, in particolare musulmani in campo finanziario, e riservando le posizioni di maggior prestigio politico a mongoli. Poi, lo stato fu diviso in dieci province, più una metropolitana di proprietà dell’imperatore, amministrate da cinesi, ma sotto l’autorità della nobiltà mongola locale. Kubilay creò anche una funzione nuova, il Censorato, con l’incarico di controllare l’operato degli amministratori, sia cinesi che mongoli; i censori percorrevano instancabilmente le province, reprimendo malversazioni, corruzione, inefficienze: il sistema censorio mongolo deve essere considerato come il più capillare ed efficace sistema di controllo mai sperimentato in quello, come in altri paesi. Il suo funzionamento desta ancora ammirazione.

Dall’altra parte, sul versante produttivo, che spettava ai cinesi, uno dei cardini del programma di governo di Kubilay fu la promozione dell’economia del paese, a cominciare dall’agricoltura; anche se non riuscì ad eliminare lo strapotere dei grandi feudi o latifondi, si preoccupò della condizione dei contadini cinesi, che cercò di aiutare e proteggere in ogni modo, con varie iniziative di sostegno (scuole rurali, canalizzazioni, consigli di agronomi), soprattutto opponendosi alle mire dei nobili mongoli che volevano semplicemente sfruttare i contadini per trasformare i loro campi in pascoli: Kubilay ridusse il peso fiscale che gravava su di loro, stabilendo che le tasse fossero corrisposte direttamente allo stato, anziché al proprietario locale, che lucrava sull’intermediazione. Limitò anche l’obbligo delle corveé e delle prestazioni gratuite, che rappresentavano un onere gravosissimo per i contadini. Altro settore economico da lui protetto fu l’artigianato, per cui favorì la creazione di associazioni di mestiere con lo scopo di migliorare l’apprendimento e le condizioni di vita degli addetti. 

Anche la classe mercantile prosperò con Kubilay; la filosofia confuciana era contraria al commercio, i mercanti erano considerati dei parassiti, degli sfruttatori e le varie dinastie cinesi avevano sempre imposto limiti alla loro attività. Kubilay era estraneo a questi pregiudizi, anzi dette ai mercanti, soprattutto stranieri, uno status privilegiato; la tassa sulle transazioni era limitata al 3,33%, un’incidenza veramente ridicola, in confronto ad altri paesi: in compenso i mercanti stranieri erano obbligati a convertire monete e metalli preziosi in loro possesso in carta moneta cinese.

Abbiamo visto già con Gengis Khan un primo tentativo di corso forzoso della carta moneta, ma è con Kubilay che si registra l’applicazione integrale del sistema cartaceo ad un’economia vasta, complessa e progredita come quella cinese; l’Imperatore riuscì a convincere i suoi sudditi della validità della nuova valuta, di cui controllò con cura la circolazione, almeno fino ad un certo punto del suo regno. D’altro canto, l’uso della carta moneta era reso inevitabile, dalla ridotta disponibilità di rame; la moneta metallica non era più in grado di far fronte alla cresciuta richiesta di circolante, la carta moneta fu quindi il motore dello sviluppo dei traffici commerciali e quindi dell’economia.  E’ sorprendente come un mongolo, discendente da una razza di nomadi allevatori, abbia potuto sviluppare una tale sensibilità verso problematiche economiche e finanziarie, riuscendo a controllare i complessi meccanismi di un gigantesco impero. 

Gli interessi di Kubilay spaziavano anche in altri settori dall’arte, alla letteratura, alle scienze, matematica ed astronomia, per cui invitò alla sua corte scienziati di diverse origini, principalmente musulmani; a lui si deve la costruzione, poi completata dalle dinastie seguenti, dell’osservatorio astronomico di Pechino (sotto).

Merita un cenno l’atteggiamento di Kubilay verso le religioni praticate nel suo regno; di suo l’Imperatore era un agnostico, forse animista, come tutti i mongoli, ma si rese conto ben presto dell’importanza della religione come “instrumentum regni”; in particolare, a fronte dei sudditi cinesi, comprese che, se voleva governare la Cina, doveva dare di sé l’immagine di un sovrano confuciano; riportò quindi in auge riti e cerimonie confuciane, reintrodusse a corte musica e danza tradizionali cinesi, offrì posizioni ed appannaggi ai letterati confuciani. Ma non era sufficiente, vista la mescola di culture religiose presenti in Cina; quindi seppe dimostrarsi confuciano con i cinesi, ma anche buddhista con i tibetani, di cui si rese amico il Gran Lama, con munificenze e donazioni ai monasteri, protettore dell’Islam con i musulmani, che aiutò in ogni modo, concedendo loro quartieri riservati e libertà di riti e di culto, eleggendoli anche ad importanti cariche nell’amministrazione fiscale; ed infine cristiano con gli occidentali, non certo per un imminente desiderio di conversione, come volle far credere Marco Polo, quanto perché riteneva questo il mezzo migliore per aprire nuove relazioni con l’Europa.

Riguardo ai Polo, i fatti salienti sono il viaggio dei fratelli Matteo e Nicolò Polo partiti da Venezia nel 1256, per approdare alla corte del Gran Khan dieci anni più tardi, dopo aver attraversato i territori dell’Orda d’Oro; il fatto stesso che si potesse realizzare un simile percorso è un segno dei tempi, di quella “Pax Mongolica” che si era imposta in tutta l’area.

Kubilay fu felicissimo della visita dei due veneziani che intrattenne a lungo con la più grande cortesia; l’Imperatore dimostrò una insaziabile curiosità su costumi ed usanze occidentali, sistemi giudiziari, tecniche di guerra e soprattutto religione. Kubilay inoltre incaricò esplicitamente i Polo di chiedere al Papa l’invio di cento ecclesiastici, che avrebbero dovuto accompagnarli nel prossimo viaggio; purtroppo la vacanza della sede pontificia non consentì di esaudire questa richiesta ed i Polo fecero ritorno nel 1275, accompagnati solo dal giovane Marco (sotto a sinistra), figlio di Nicolò. Malgrado la delusione per il mancato arrivo dei cento canonici, il Khan accolse cordialmente i veneziani ed apprezzò in modo particolare le doti di Marco, che impiegò anche in missioni ed incarichi ufficiali. A Marco Polo dobbiamo una descrizione di eccezionale vivacità della corte e della società mongola, delle due residenze di Kubilay, Ta Tu, la capitale che Marco chiama Cambalù, e Xanadu, la residenza di svago nell’attuale Mongolia interiore, il cui nome è rimasto sinonimo di località di incanto; a Marco dobbiamo anche testimonianze preziose di usi e costumi, in particolare della carta moneta, di cui il veneziano visitò anche la stamperia. A Marco dobbiamo infine un ritratto di grande perspicacia del Gran Khan, che non appare affatto come un barbaro, ma come uno spirito curioso ed aperto, una mente capace di apprezzare la cultura e l’arte, ma anche una tempra che non aveva comunque perso le qualità bellicose della sua razza ed era pronto a mostrarsi inflessibile, risoluto e pronto al combattimento fino a tarda età.

 

La visita dei veneziani rimane evidenza inconfutabile dell’apertura mentale e dell’eclettismo di questo grande imperatore; in nessun altro periodo, né passato, né sotto le future dinastie la Cina fu così aperta e disponibile nei confronti degli stranieri come sotto la dinastia mongola.

Gli ultimi anni di regno di Kubilay furono funestati da disgrazie familiari, perdita della moglie prediletta e del figlio erede designato, infermità, sconfitte militari e difficoltà interne.

 Le sconfitte militari vennero dai due tentativi di invasione del Giappone, il primo nel 1174, il secondo nel 1181 (battaglia della baia di Hakata); il secondo fallimento fu decisivo, Kubilay, anche per difficoltà finanziarie, non riuscì a ripetere il tentativo.

In entrambi contribuì al disastro della flotta cinese un violento uragano; ”kamikaze”, vento divino, è il nome che i giapponesi diedero a questo evento  salvifico per la loro patria, anche se studi recenti attribuiscono la responsabilità del disastro anche alle carenze della flotta cinese: “kamikaze” è il nome dato ai piloti suicidi nell’ultima guerra mondiale, da loro ci si aspettava che respingessero la flotta americana, come un tempo aveva fatto il vento divino con i mongoli.

Altro grave smacco per i mongoli fu il tentativo di invasione di Vietnam e Cambogia, in cui l’esercito di Kubilay rimase intrappolato tra giungla ed acquitrini subendo gravi perdite. Il costo di queste onerose imprese senza ritorno economico gravò in misura insostenibile sulle finanze del regno, già provate dalle spese per la costruzione della nuova capitale, Ta Tu o Khanbaliq, che Kubilay volle erigere in una località differente dalle precedenti capitali, tutte situate lungo il fiume Giallo: la nuova città si situava più a nord, forse con un occhio anche alla Mongolia e coincide con il centro dell’attuale Pechino.

Per far fronte alle crescenti necessità finanziarie si cominciò a stampare carta moneta senza più controlli, determinando un’inflazione devastante, e ad imporre tasse sempre più gravose che saranno all’origine di un malcontento crescente.

Kubilay morì nel dicembre 1294 di gotta, probabilmente aggravata dagli eccessi alimentari ed alcolici, cui si era lasciato andare negli ultimi anni. Dopo la sua morte il declino della dinastia Yuan procedette inesorabile, il dominio mongolo in Cina durò meno di un secolo, ma questo non ci deve indurre a sottovalutare l’opera di un grande sovrano, che dette alla Cina uno dei periodi più fecondi della sua storia.

 

                                 

(Continua)

 

Inserito il:18/01/2021 17:16:26
Ultimo aggiornamento:24/01/2021 18:38:26
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