Rembrandt (Leiden, NL, 1606 – Amsterdam, 1669) - Ahasuerus, Haman and Esther
Storia della Persia - 4
di Mauro Lanzi
Da Serse al declino
Serse non era il primogenito tra i figli di Dario, ma fu scelto dal padre perché nato dal matrimonio con la figlia di Ciro, Atossa e fu proprio l’autorità della madre che consentì l’incoronazione di Serse, senza eccessive resistenze da parte dei fratelli. Già in questa circostanza però cominciò ad evidenziarsi una debolezza intrinseca del sistema politico persiano; la monarchia persiana non era mai stata di diritto un sistema dinastico, il titolo di Re era elettivo, quasi di un primus inter pares, anche se gli si riconosceva in generale il diritto di orientare la scelta del suo successore. La consuetudine, dopo Dario, di designare automaticamente uno dei figli alla successione porterà sul trono spesso personaggi inadeguati a reggere il comando di un impero così vasto ed eterogeneo; il più delle volte i regnanti si rifugiarono dietro gli orpelli di un protocollo improntato alla divinizzazione della figura del Re, sfuggendo alle proprie responsabilità, evitando di affrontare problemi reali come corruzione e cattiva amministrazione. Prova innegabile di questa realtà è che i sei ultimi Re di Persia dopo Serse morirono di morte violenta, a seguito di congiure di palazzo.
Serse non fu in principio un cattivo rettore: intervenne a più riprese per domare insurrezioni in Egitto ed in altre regioni, portò avanti con energia molti dei progetti iniziati dal padre, primo fra tutti Persepoli; la sua maledizione fu ancora una volta la Grecia.
I preparativi per una nuova spedizione erano stati iniziati da Dario, Serse li proseguì con impegno: già nel 483 a.c. fece scavare un canale nel promontorio della penisola calcidica, per abbreviare il percorso delle navi: fece predisporre guarnigioni e posti di guardia in Tracia, ottenne la sottomissione e l’alleanza del re di Macedonia, fece costruire un ponte di barche sull’Ellesponto, ponte che secondo Erodoto fu distrutto da una violenta tempesta. Incredibile la reazione di Serse che fece flagellare il mare per punirlo dell’affronto e poi fece decapitare gli ingegneri che avevano costruito il ponte.
La spedizione vera e propria prese le mosse nella primavera del 480 a.c.; attraversato l’Ellesponto su di un nuovo ponte di barche, Serse proseguì via terra verso sud con un’armata formata da 46 nazionalità, per un totale, secondo Erodoto di 2.600.000 combattenti, numeri decisamente poco plausibili. Nonostante ciò, era l’esercito più gigantesco che si fosse mai visto; se solo la guardia personale di Serse, gli “Immortali” ammontava a 10.000 uomini, il totale dell’esercito doveva contare alcune centinaia di migliaia di soldati.
I Greci, approfittando di una tempesta, avevano affrontato la flotta persiana all’Artemisio, riuscendo a fermarla, e contavano di sbarrare il cammino via terra alle Temopili, “le porte del caldo”, passaggio ai tempi molto più angusto di quanto non sia ora; i Persiani però, condotti da un traditore, Efialte, riuscirono ad aggirare lo sbarramento predisposto da Leonida; allora il re spartano, licenziati gli alleati, si sacrificò con la sua guardia, i trecento, per consentire al grosso dell’esercito di porsi in salvo. I Persiani dilagarono per la pianura, sottomettendo Tebe e distruggendo Platea; gli Ateniesi abbandonarono la loro città che fu occupata e distrutta di nuovo da Serse. A questo punto, in un consiglio di guerra, i persiani dibatterono sul da farsi; Artemisia di Caria, l’unica comandante donna tra i persiani, consigliava di avanzare verso il Peloponneso con le forze di terra, evitando un ulteriore scontro navale, vista l’abilità sul mare dimostrata dai Greci ma fu messa in minoranza dagli altri generali che non volevano rischiare di essere tagliati fuori dalla flotta greca. Così Serse ed i suoi generali caddero nella trappola organizzata da Temistocle nello stretto di Salamina, dove la migliore manovrabilità del naviglio greco compensò la prevalenza numerica dei Persiani, che schieravano 6/800 imbarcazioni, contro le trecento di Temistocle. Artemisia si batté con grande valore, al punto che Serse che assisteva allo scontro sul suo trono, su un’altura, esclamò: “Oggi gli uomini mi sono diventati donne e le donne uomini”, ma fu costretta a ritirarsi; si salvò con uno strattagemma, innalzando insegne greche sulle sue navi.
La sconfitta di Salamina portò all’annientamento della flotta persiana; Serse, sempre su consiglio di Artemisia, lasciò la prosecuzione della campagna al suo generale Mardonio, per non essere coinvolto in una eventuale sconfitta, e fece rientro in patria accompagnato dalla sua guardia. Mardonio svernò in Tracia, poi la primavera seguente ridiscese verso la Grecia centrale occupando di nuovo Atene, che mise nuovamente a ferro e a fuoco. Al sopraggiungere dell’esercito greco si ritirò verso la Beozia, dove pianure più ampie davano maggiori possibilità alla sua cavalleria. I Greci avevano riunito il più grande esercito della loro storia, quasi 70.000 uomini secondo Erodoto, ma i Persiani potevano contare con 300.000 uomini, compresi i loro alleati greci; i Tebani, ad esempio, combattevano con le truppe di Mardonio. Il contingente greco più numeroso era il contingente spartano comandato da Pausania, al quale venne accreditata una vittoria decisiva; mentre gli opliti ateniesi combattevano la falange tebana, gli uomini di Pausania affrontavano il grosso dello schieramento persiano; ancora una volta, la fanteria pesante dei greci ebbe la meglio sugli armati leggeri persiani, Mardonio fu ucciso in combattimento, l’accampamento persiano preso d’assalto: solo 40000 soldati riuscirono a fuggire verso l’Ellesponto. I Greci celebrarono la vittoria innalzando a Delfi la ”Colonna dei Serpenti”; fatta portare da Costantino a Bisanzio, i resti della colonna originaria esistono ancora ad Istanbul.
La contemporanea vittoria navale a Capo Micale segnò la sconfitta finale di Serse; negli anni successivi, la Lega Delio Attica riuscì a cacciare i persiani anche da Tracia e Macedonia. La pace di Callia firmata nel 449 a.c. pose fine alle guerre persiane.
La doppia sconfitta di Platea e capo Micale fiaccò il morale di Serse, che ritiratosi a Susa cominciò a dedicarsi unicamente a progetti architettonici per il completamento di Persepoli, oltre che a cerimonie e feste grandiose: lo sperpero di denaro lo costrinse ad aumentare le tasse, seminando malcontento tra i sudditi. Nel 465 a.c. una congiura di palazzo guidata dal capo delle guardie reali, Artabano, portò all’assassinio di Serse.
Serse compare anche nella Bibbia col nome di Assuero, avendo sposato una donna ebrea, Ester, che col suo matrimonio riuscì ad evitare lo sterminio della sua gente, ordinato da un ministro persiano.
Decadenza e fine dell’impero Achemenide.
Tombe dei Re Achemenidi
Con la morte di Serse inizia la decadenza della dinastia achemenide che dura circa un secolo, tanto quanto era durata la sua ascesa. Le cause del declino sono state in parte menzionate: sono innanzitutto di natura politica, non è fatto da poco che tutti e sei i successori di Serse morirono di morte violenta, a seguito di congiure di palazzo; esisteva una criticità di fondo nel sistema dinastico persiano, per cui il personaggio al vertice non sempre, o quasi mai, dimostrava qualità sufficienti a gestire un impero così complesso. Si aggiungano a questo la cattiva amministrazione, l’aumento della pressione fiscale, le forze centrifughe inevitabili, vista la molteplicità di etnie che popolavano l’impero, il declino dell’esercito, a cui mancava la coesione che animava, ad esempio, le file dei greci.
La valutazione storica dell’impero Achemenide ha sempre risentito del confronto con la civiltà greca, dalla quale discende direttamente la civiltà europea, non solo per gli aspetti di una cultura che ha prodotto Platone ed Aristotele, Erodoto, Sofocle o Tucidide, ma anche nelle sue forme politiche, come la democrazia, il cui primo esperimento è stato realizzato ad Atene. Inevitabilmente, a confronto di questi esempi, l’impero persiano ci appare come un mondo culturalmente arretrato ed oppressivo; ma non è proprio così, non del tutto.
In materia di democrazia, l’Atene dei tempi di Pericle contava con 18.000 cittadini aventi diritto di voto; a questi si aggiungevano 10.000 “meteci”, cioè immigrati che non partecipavano alla vita politica ed oltre 400.000 schiavi, che ovviamente non avevano nessun diritto e le cui condizioni di vita non erano certo migliori di quelle dei sudditi persiani. Questi limiti non possono, ovviamente, cancellare l’importanza basilare del primo modello di democrazia nella storia, ma, dall’altra parte, all’impero Achemenide, va riconosciuto comunque il merito di aver realizzato il primo esempio di stato multietnico e multiculturale, scevro da pregiudizi razziali o religiosi, cosa non da poco per quei tempi; sempre in termini di confronto, per Pericle, erano cittadini ateniesi solo i nati da madre e padre ateniesi, non erano ammessi matrimoni misti.
Anche sotto il profilo culturale non va sottovalutato il contributo dato dallo stato achemenide: i grandi matematici, astronomi e scienziati del tempo, pur non essendo persiani in senso stretto, ma babilonesi, caldei o egiziani, vissero e prosperarono sotto il governo degli Achemenidi, che ebbe cura di conservare il patrimonio di cultura acquisito e ne favorì la crescita e la diffusione in tutto il vasto impero, che divenne così un crogiuolo di conoscenze a cui attinsero tutti, gli stessi greci, i regni ellenistici ed infine i romani.
Da non sottovalutare l’aspetto religioso; abbiamo già illustrato il contributo dato dallo zoroastrismo, ma bisogna anche sottolineare che la maturazione di idee e dottrine religiose fu favorita dall’atmosfera di tolleranza instaurata dagli achemenidi ed è ad essa che dobbiamo, in ultima analisi, anche la nostra religione.
La fine dell’impero fu dovuta al declino, già descritto, della forza e della coesione interna dell’impero achemenide, dilaniato da lotte intestine e afflitto anche da una crescente inferiorità in campo militare. Sempre più di frequente gli imperatori persiani ingaggiavano contingenti di mercenari greci e questo non poteva non causare il decadere delle virtù militari autoctone. L’esempio più famoso di questa prassi è narrato nell’”Anabasi” di Senofonte, dove si racconta dello scontro a Cunassa (403 a.c) tra Ciro il Giovane ed il fratello Artaserse, a cui fece seguito, per la morte di Ciro, l’epica ritirata del contingente greco di 10.000 uomini guidati dallo stesso Senofonte.