Fausto Pirandello (Roma, 1899 - 1975) - Ritratto del padre Luigi Pirandello
Riflessioni su Pirandello - Parte Seconda - Costruttivismo e Relativismo
di Maurizio Merlo
Certo di aver suscitato il vostro interesse all’approfondimento sull’uomo e sull’autore Luigi Pirandello, mi spingo ad alcune riflessioni sulla cultura anti-dogmatica che è sostanza di pensiero del grande scrittore e drammaturgo siciliano: il Costruttivismo e il Relativismo.
Il mio intento è quello di dare al lettore titoli e coordinate per una ricerca in materia di Relativismo e Costruttivismo e insieme provare a consegnare i riferimenti culturali che segnarono la Storia, la Scienza, i costumi di quel secolo.
Il ‘900 fu fortemente segnato da conflitti bellici e di classe, da nazionalismi e militarismi, da colonialismi, da due grandi guerre nell’arco di un trentennio. Teoria e prassi del Totalitarismo e del Dogmatismo segnarono cruentemente il secolo: dal Fascismo e dalle teorie criminali sulla purezza della Razza, al Marxismo nelle sue declinazioni più violente a far tempo dalla Rivoluzione Bolscevica del 1917. Ma in Europa dentro questo conflitto manifesto e feroce tra Stati Nazionali e conflitti di classe, vi fu un conflitto più nascosto, intellettuale, tra anti-Totalitarismo e Totalitarismo, tra culture antidogmatiche e culture dogmatiche, proposto con vigore dal mondo delle arti, delle scienze, delle culture letterarie e politiche, del mondo spirituale e religioso. Un mondo intellettuale inizialmente invisibile che espresse un’energia non meno carica e importante della violenza e finì con l’armare il “secolo breve”, per dirla con Eric Hobsbawm, di una resistenza alla barbarie diffusa e pacifica, solo poi armata, quando divenne imprescindibile l’uso delle armi.
E dentro questo campo, accanto alla Cultura e alla Scienza, si schierò spesso inconsapevolmente il popolo dei semplici e degli umili; tante furono le gesta spesso eroiche che costituirono tutte insieme un patrimonio d’impegno, che salvò innanzitutto tante vite innocenti, colpevoli soltanto di essere nemiche involontarie, che sconfisse poi l’impero del male, che, in quel momento storico fu in modo inequivocabile il nazifascismo, rinviando di pochi decenni la resa dei conti con l’altro impero del male, quello sovietico.
E quella storia dell’anti-Dogmatismo nell’Italia del ‘900, nelle sue tante forme, fu presente come seme in tutte le culture anche all’interno degli apparati dogmatici del Fascismo, anche all’interno dello stesso Partito Nazionale Fascista e dei Gruppi Universitari Fascisti; anche all’interno della Chiesa Cattolica Istituzione, da distinguere dal prolifico impegno della Comunità Cattolica, spesso in conflitto in quegli anni con l’Istituzione.
Queste pagine intendono dunque costituire una cartina al tornasole dell’Antidogmatismo invisibile, che cominciò a manifestarsi forte in quegli anni, cultura a cui mi ispiro come senso della vita e della narrazione, cultura che mi sembra di grande rilievo nel sottolineare che il ‘900 non fu solo barbarie ma complesso crocevia della Storia dell’Umanità, dove accanto alla ferocia visse la vita, la resistenza dei popoli e la civiltà.
E nasce così la contraddizione profonda delle lotte popolari per il riscatto sociale che non poterono essere non violente, come magistralmente rievoca in versi immortali il grande Bertold Brecht: “Voi che sarete emersi dai gorghi dove fummo travolti pensate quando parlate delle nostre debolezze anche ai tempi bui cui voi siete scampati”.
Superate le “ideologie chiuse” di quel secolo rimane un patrimonio di esperienze e di idee, di letteratura e di cultura politologica. Non più ideologie chiuse, ma amore per l’anti-Dogmatismo e per il Relativismo culturale in tutte le sue forme.
In Italia questa fede ha prodotto la Costituzione Repubblicana, una fede gentile, utile e non chiusa, liberale e socialista, democratica e tollerante: la nostra Costituzione nata dalla Resistenza contro il Nazifascismo e la barbarie, quando la civiltà dovette ricorrere alla violenza per far valere le proprie ragioni primarie di civiltà.
Cos’è il Costruttivismo?
Il Costruttivismo è una scuola di pensiero filosofica ed epistemologica che considera la rappresentazione della realtà, e quindi il mondo in cui viviamo, come il risultato dell'attività costruttrice delle nostre strutture cognitive, assumendo una prospettiva fondamentalmente relativistica e soggettivista. Rispetto al Relativismo si distingue per una maggiore attenzione ai temi epistemologici e per una maggior applicazione ai campi della Psicologia e del linguaggio. Fondamentalmente si tratta di correnti di pensiero che spesso si intrecciano e si scambiano contributi e punti di vista, nei limiti in cui tra i grandi Autori non prevalga il gusto per la polemica e per la paternità delle posizioni.
Il Costruttivismo è quella corrente di pensiero che ha influenzato molte altre correnti e molte discipline nei tempi.
Qual è l’idea principe del Costruttivismo? La dimensione della realtà oggettiva non esiste e non può esistere indipendentemente dal soggetto, perché è il soggetto stesso che crea, costruisce, inventa ciò che crede che esista.
E vediamo i prodromi del Costruttivismo, da Giambattista Vico (XVI Secolo), rivale storico di Renè Descartes, agli empiristi inglesi, Locke, Berkeley, Hume.
Poi è Kant ad impegnarsi nel costruire altri mattoni.
Il movimento costruttivista esplode tuttavia nel ‘900 da diverse spinte e letture della Scienza e diventa un fiume in piena con molti immissari spesso ignari l’uno dell’altro.
Lo svizzero Jean Piaget fu forse il precursore novecentesco nell’ambito dello studio della mente dei bambini. Lui afferma che la conoscenza è un processo, non uno stato; un sistema di relazioni tra il soggetto conoscente e la realtà oggetto di studio; un processo che il soggetto cambia continuamente nella interazione tra soggettività e oggettività.
Anche il russo Lev Vygotskij sviluppa questa ricerca, forse mettendo maggiormente l’accento sul contesto socio-storico-culturale dei processi.
Su questo percorso anche il biologo austriaco Ludwig von Bertalauffy e nello stesso periodo, anni ’40, nasceva negli USA la Cibernetica con Norbert Wiener e quindi Heinz von Foerster.
Ma è alla fine degli anni ’60 che due neurofisiologi cileni, Humberto Maturana e Francisco Varela cominciano a studiare i sistemi viventi. È la nascita del sistema autopoietico, secondo cui gli esseri viventi sono dotati di un’organizzazione individuale e autonoma capace di mantenere e rigenerare nel tempo la propria autonomia e soggettività nei confronti delle continue modificazioni dell’ambiente.
Oggi il filosofo più coerente nel sostenere i principi del pensiero costruttivista è lo psicologo Ernst von Glasersfeld, con lui, nell’epoca contemporanea, tanti sono gli scienziati che aderiscono ai principi del Costruttivismo, tra questi George Kelly.
Per dirla con Luca Bertolotti: «Il Costruttivismo è sorto … dall’esigenza di superare la visione classica del metodo scientifico, e di offrire un’alternativa ad esso, dato che nell’ultimo secolo è divenuto sempre più evidente il fatto che il concetto classico di una scienza definitiva …. contiene delle contraddizioni. La realtà non può essere considerata indipendentemente da colui che la osserva, dal momento che è proprio l’osservatore che le dà un senso partecipando attivamente alla sua costruzione. Ciò che si ritiene essere vero deriva perciò da processi di costruzione del mondo, piuttosto che da una rappresentazione fedele della realtà formata attraverso informazioni provenienti dai sensi. …. Ciò che quindi è divenuto necessario …… era una teoria dell’osservatore; …. passaggio da un’epistemologia del “Che cosa conosciamo?” ad un’epistemologia del “Come conosciamo?”».
E il Relativismo?
Il Relativismo è una posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.
Nella antica Grecia muove i suoi primi passi con Protagora (486 – 411 a.c.) e successivamente con la Sofistica (V – IV secolo a.c.). L’idea fondamentale del relativismo, sia in campo cognitivo che etico, consiste nell’impossibilità di conseguire una conoscenza oggettiva e immutabile, con il rifiuto di ogni metafisica, e valorizzando al massimo la retorica, unico mezzo efficace di convinzione e persuasione.
È M. de Montaigne (1533 - 92), nel pensiero moderno, che ripropone il Relativismo in un contesto storico di rivoluzioni scientifiche e scoperte geografiche che mettono a soqquadro le antiche e assolute verità. Ne risulta evidente la sostanziale relatività storica in ambito scientifico e conseguentemente in ambito etico e di costume.
Da queste premesse durante l‘ ‘800 si consolida il Relativismo storico (W. Dilthey, O. Spengler) e lo stesso M. Weber, pur con premesse culturali positivistiche perviene all’inevitabile relatività dei valori in funzione del contesto storico.
Il ‘900 trasferisce alla Sociologia e alla Filosofia della Scienza le convinzioni del relativismo (K. Mannheim) ed è L. Wittgenstein ad applicarle in ambito linguistico e cognitivo. Poi la Storia della Scienza con T. Kuhn, in particolare nella sua “La Teoria delle rivoluzioni scientifiche” (1962), secondo cui ogni epoca ha i suoi salti qualitativi nell’organizzazione delle culture e dei sistemi scientifici e cognitivi, con specifici criteri e procedure di verifica.
Quindi in questa direzione K.R. Popper e altri, pur tra mille dispute fra scienziati e autori che sottolineano approcci differenziati di un comune approdo.
Popper definisce la Scienza un insieme di proposizioni "falsificabili", che sono ritenute verità solo perché nessuno le ha ancora confutate. Il progresso della Scienza consisterebbe nel fatto che le sue tesi vengono confutate e sostituite da nuove tesi.
Ed è ancora Relativismo in ambito antropologico e della Sociologia dell’organizzazione umana (F. Boas, B. Malinowski). E quindi la più grande tra le svolte novecentesche in campo scientifico “La Teoria della Relatività” di A. Einstein, madre di tutte le rivoluzioni scientifiche del secolo, in ogni campo.
In tutte le epoche il dibattito sul Relativismo, e sulla sua forma minore e specifica, il Costruttivismo, ha portato allo scontro tra svariate forme di “conservatorismo” e “progressismo”; con i progressisti portatori di nuove teorie utili alla conoscenza e i conservatori che temono il sovvertimento di vecchi equilibri che sono soprattutto equilibri di potere. In quest’ultima direzione l’anti-relativista I.C. Jarvie che ha sollevato il tema della minaccia portata verso l’equilibrio del sistema delle relazioni umane e che si è spinto ad accusare il Relativismo di Nichilismo, tema da sempre caro ai conservatorismi delle Chiese religiose. Segue appassionatamente questa tendenza, non molti anni fa, l’anatema di Papa Benedetto XVI che si spinse ad accomunare “Nazismo, Ateismo e Nichilismo”, avendo come vero e precipuo obiettivo l’attacco frontale al relativismo che, a suo dire, si annida nell’Ateismo e nel Nichilismo, ancor più se omologati addirittura al Nazismo (?!). (Il tema è stato diffusamente da me trattato nel mio “Il viaggio più lungo” e in particolare nel capitolo “Dio e la Teoria dei giochi”, dove argomento la mia distanza intellettuale dal Papa benemerito).
È fin troppo chiaro come e perché il Relativismo sia percepito come cultura inquietante da chi ha come scopo principale la difesa di posizioni di potere, in quanto tali di solito vetuste e antistoriche, insomma lo statu quo ante in tutte le sue forme. Cieli diversi sotto i quali vivere, con tolleranza relativistica.
Esiste un nesso tra il nostro Pirandello e ciò che accadde all’interno della cultura relativista e del suo impatto con la cultura in generale, tra la fine dell’800 e il ‘900?
Tra la grande cultura anti-dogmatica in genere e la violenza del ‘900 e il ritorno alle libertà e alla democrazia?
Sì, per il Pirandello che vedo io, il nesso è profondo. Ogni cultura ha le sue radici nel mondo in cui si manifesta. Essa a volte agisce come anticipatrice dei processi, altre come protagonista dei fatti in corso, altre come effetto imprescindibile.
Pirandello e il Relativismo novecentesco furono consustanziali ai grandi eventi del secolo e ne costituiscono un’anima nobile, pur nelle contraddizioni profonde dell’epoca che videro l’Autore aderire al Partito Nazionale Fascista, più per patriottismo garibaldino, che per autentica convinzione. Un’adesione politica che spesso imbarazzò il regime, che mal tollerava il relativismo esistenziale del Maestro, al quale fu sempre preferito e senza riserve e imbarazzi Gabriele D’Annunzio, decadente e avanguardista, Vate, "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina.
L’adesione al Fascismo di molti intellettuali, tra ingenuo patriottismo e calcolo di bottega, fu un fenomeno assai diffuso negli anni ’20 e ‘30, ma fu altresì una spina nel fianco del Fascismo. Era infatti improbabile che un’autentica libera produzione intellettuale non costituisse, come nel caso di Luigi Pirandello, una contraddizione profonda del sistema.
A questa considerazione fanno in qualche modo eccezione, lo riconosco, tutte le applicazioni intellettuali ad attività produttive in senso economico, scientifico applicato all’economia, al diritto, alle infrastrutture. È indubbio, infatti, che l’Italia di quegli anni seppe segnare una crescita del Paese in quegli ambiti, favorita da una logica unitaria e repressiva della dittatura, nonché da processi decisionali rapidi e semplificati in politica e in campo amministrativo.
Fino alla inevitabile, annunciata autodistruzione del Paese e dell’Europa, effetto di una esasperata logica di guerra contro gli uomini e contro Dio, contro cui la cultura poté soltanto produrre linee di fuga per una rapida ricostruzione delle libertà e della Democrazia, guardando alla prospettiva, ancora in atto, di un’Europa unita.
Luigi Pirandello fu tra i grandi intellettuali che dettero la giusta spinta allo sviluppo di questo processo.
Tratto dal libro “L’età del limo”
di Maurizio Merlo
Ed. Nerosubianco
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