Roberta Pagani (Lovere, 1984 - ) - Bushido La via del Guerriero (2013)
Storia del Giappone (2) - Fine dell’età classica
di Mauro Lanzi
L’ultima fase dell’era classica della storia giapponese prende il nome di periodo Hejan (974-1185), derivante dal nome della nuova capitale Hejan Kyo (capitale della pace e della tranquillità): il trasferimento della capitale era avvenuto in realtà negli ultimi anni del periodo Nara, con l’imperatore Kammu (si parla di Hejan incipiente), ma i grandi cambiamenti intervennero anni dopo la morte di questo imperatore, con l’emergere del potere dei grandi clan feudali, proprietari di grandi estensioni di terreno, quindi capaci di imporre il loro volere all’autorità imperiale che si va gradualmente indebolendo: primo fra tutti il clan Fujiwara, che fra il nono ed il decimo secolo, riuscì a salire fino ad assumere la reggenza della nazione, invano contrastato da imperatori sempre più deboli perché i grandi proprietari sottraevano porzioni crescenti di terreni agricoli al controllo statale; i contadini preferivano condividere il raccolto con il signore locale, piuttosto che pagare tasse all’esoso fisco imperiale, che così veniva a perdere entrate e presa sull’economia del paese.
La principale novità di questo periodo fu però l’emergere ed il progressivo affermarsi di una classe di militari professionisti, originariamente dei mercenari, ingaggiati con lo scopo sottomettere le tribù barbare nel nord del paese, che rifiutavano di piegarsi al potere imperiale, successivamente passati al servizio dei grandi feudatari a cui l’imperatore aveva assegnato il compito di condurre queste campagne; nasce così il ceto militare che arriverà a controllare il paese, una classe di guerrieri nobili e colti, i samurai; il loro nome deriva dal verbo subarau, “servire”, erano “coloro che servono la nobiltà”. Ben presto acquisirono una loro identità, si raggrupparono in clan piccoli e grandi, sotto la guida di un daymio, (capo feudale), che seguivano nelle feroci contese che dividevano spesso la piccola e grande nobiltà giapponese; altro nome dato ai samurai è “bushi”, che significherebbe “uomo capace mantenere la pace con la forza e la cultura”, cioè il centro, il perno della società giapponese.
L’armamento del samurai includeva l’arco, un’arma molto potente capace di scagliare proiettili, anche frecce infuocate fino a 200 metri, di cui i samurai padroneggiavano l’uso sia a piedi che a cavallo; oltre all’arco i samurai impiegavano anche lo scudo e la lancia, ma l’arma tipica del samurai, quella in cui si pensava risiedesse l’anima del samurai era la spada, la “katana” fatta di acciaio temperato che i samurai portavano alla cintola insieme ad una lama più corta detta wakisashi: insieme formavano il daisho, portare il quale era una prerogativa inalienabile di questa casta guerriera.
Il periodo Hejan segna anche il progressivo distacco del Giappone dalla Cina, di cui aveva fino allora subito l’influenza, anche in campo politico ed amministrativo; l’ultima ambasceria giapponese ad un imperatore Tang risale all’838, poi il declino dei Tang e la persecuzione del buddhismo in Cina, allontanano i due paesi, pur restando sempre forte l’attrattiva della Cina come espressione di civiltà e cultura superiori. In Giappone si affermano modelli sociopolitici divergenti dal centralismo cinese, il sistema di tassazione centralizzata, copiato dalla Cina, tende a scomparire, l’autorità imperiale declina in favore dei grandi feudatari, soprattutto si afferma sopra ogni altro ceto sociale una nuova casta guerriera: in Cina, abbiamo visto negli articoli che la riguardano, i dotti sono sempre prevalsi sui militari, lo stesso sistema dei concorsi, introdotto e reso consuetudinario da Tang, oltre ad essere un sistema meritocratico, portava ai vertici dello stato uomini di cultura, sembra il realizzarsi dell’ideale platonico di uno stato governato da filosofi. I samurai, da parte loro, erano tutt’altro che dei rozzi mercenari, ma non era certo la cultura il loro primo strumento di affermazione, non era con la cultura, ma con la forza che controllavano e mantenevano stabile l’ordine sociale; il prevalere di una casta guerriera allontana definitivamente la civiltà giapponese da quella cinese, segna la frattura tra i due mondi.
Il declino dell’autorità imperiale in Giappone durante il periodo Hejan comporta il sorgere del potere feudale; i primi a spadroneggiare sul paese sono, come detto, i Fujiwara, ma il loro strapotere viene osteggiato da vari clan rivali; infine, un’alleanza tra i clan Taira e Minamoto distrugge le basi del dominio dei Fujiwara che vengono eliminati; si afferma a tutti i livelli il Bushi, cioè la classe samurai, che giunge a controllare anche l’amministrazione della giustizia. L’alleanza tra i clan Taira e Minamoto però dura poco, i Taira fanno un uso brutale dell’autorità nelle regioni a loro affidate; facendo leva sul malcontento popolare Minamoto no Yoritomo affronta i Taira e li sconfigge nella decisiva battaglia navale di Dan no Ura (16 aprile 1185, immagine sotto), facendosi nominare di seguito Shōgun a vita; nel 1192 stabilisce la sua base di potere a Kamakura, dando così origine al primo periodo di shogunato, detto appunto Kamakura.
- Medioevo giapponese- Shogunato Kamakura
Minamoto no Yoritomo, il primo Shogun
Con lo shogunato inizia il “Medioevo Giapponese”, che si estende fino al 1573, anche se lo shogunato sopravviverà, sia pure in forme diverse fino, al 1868.
Shogun significa letteralmente ”grande generale dell’esercito” ed era una carica conferita, in teoria, dall’imperatore, che rimaneva al suo posto, rispettato e venerato come una divinità, ma privo in pratica di ogni potere: si generò una specie di diarchia tra l’imperatore che risiedeva a Kyoto e lo shogun che risiedeva in un'altra località, sede del bafuku, termine anche questo di origine cinese, che sta per governo militare, e che esercitava di fatto tutto il potere sul paese. Inizialmente la sede dello shogun era Kamakura e da questa località prese il nome del primo shogunato.
Il titolo di shogun divenne di fatto ereditario e il Giappone incominciò a essere governato da una oligarchia militare: la popolazione fu divisa in caste, si creò un'organizzazione sociale per certi versi simile ai sistemi feudali occidentali, ma assai più rigida, controllata e mantenuta stabile dai samurai, sotto l’egida dello Shogun. La società civile, era cristallizzata, secondo una stratificazione ispirata al confucianesimo, in quattro ordini: al vertice c’erano i guerrieri, i samurai, da cui si traevano anche i quadri del bushi, la burocrazia colta (in questo differente dai baroni occidentali, tutti ignoranti come capre!!), successivamente venivano i contadini, rispettati in quanto produttori per eccellenza, ma sfruttati, sottomessi e, spesso, in miseria; quindi gli artigiani e infine i disprezzati mercanti, considerati dei parassiti, secondo il dettato confuciano (sotto l’immagine delle quattro classi). L'appartenenza a un ordine era di natura ascrittiva (per nascita) e non si poteva cambiare status, non c’era mobilità sociale. La differenza rispetto all’ordinamento sociale cinese era che, in Cina, al vertice della scala gerarchica si trovavano i dotti, gli uomini di cultura selezionati col sistema dei concorsi, i militari dipendevano da questi; il sistema dei concorsi assicurava anche una certa mobilità sociale. In Giappone il potere era detenuto da una casta militare, in una certa misura anche acculturata, ma non espressione paradigmatica della cultura e del sapere; la mobilità sociale era possibile solo all’interno di ogni ordine e comunque era frenata dalla struttura feudale.
Lo shogunato governò il Giappone per più di 600 anni, con diversi rivolgimenti, dovuti al cambio del clan che esprimeva lo shogun, quasi sempre a seguito di accanite guerre civili. Anche il potere dello shogun però era tutt’altro che incontrastato, al suo fianco, o immediatamente sotto, cominciò presto ad emergere nel periodo Kamakura la figura dello Shikken, una specie di primo ministro che veniva spesso ad assorbire molte delle funzioni dello shogun; anche la posizione di Shikken era ereditaria. Durante l’epoca Kamakura la posizione di Shikken venne quasi ininterrottamente occupata dalla famiglia Hojo, alla quale apparteneva la moglie di Minamoto; l’esponente più celebre di questa stirpe fu Hōjō Tokimune, ottavo Shikken, cui spetta il merito di aver respinto in due occasioni, 1274 e 1281, il tentativo di invasione mongola. In entrambi i casi l’attacco era stato preceduto da un’ambasceria di Kubilay, probabilmente intesa ad ottenere la sottomissione pacifica del paese; in entrambi i casi i messi mongoli erano stati decapitati (le loro tombe esistono ancora), in entrambi i casi la reazione armata dei mongoli non si era fatta attendere, 25000 uomini si erano imbarcati per conquistare il Giappone.
Il tentativo di invasione fu respinto due volte, anche grazie ai venti di tempesta che dispersero ed affondarono buona parte della flotta cinese: da qui il termine “kamikaze”, “vento divino”, che verrà usato nella seconda guerra mondiale per designare i piloti suicidi, che avrebbero dovuto fermare la flotta americana.
Il crescente potere dei daymio, capi clan di livello inferiore, ed il malcontento seguente al tentativo di invasione mongola, che aveva richiesto una ingente mobilitazione di tutto il paese, crearono i primi disordini, che sfociarono in un’aperta guerra civile sotto il secondo shogunato, detto Muromachi, in cui governò il clan Ashigawa.
- Periodo Edo - Shogunato Togugawa
Nel 1573 l’ultimo degli Ashigawa fu deposto e dopo alcuni anni di disordini il trionfo di Tokugawa Ieyasu (a destra) nella battaglia di Sekigahara (1600, sotto), combattimento caratterizzato dalle circa quarantamila teste nemiche tagliate, portò allo shogunato il clan Tokugawa, dando così inizio al periodo detto Togukawa o Edo, dal nome della nuova capitale (l’attuale Tokyo), mentre la sede imperiale restava a Kyoto. Al bagno di sangue iniziale seppero far seguire anni di riorganizzazione e pacificazione; lo shogunato divenne l'autorità politica più importante, ancora più di prima, mentre i daimyō conservarono il ruolo di governatori locali, soggetti al potere centrale ma detentori di maggiore autonomia nella gestione dei propri territori. Viene confermata e rinsaldata la ripartizione della società nelle tradizionali quattro classi, con al vertice i samurai, che, in questo periodo, raggiungono il numero totale di 400.000 guerrieri; alcuni di essi, di livello superiore, erano eleggibili per i vari uffici giudiziari ed amministrativi, il grosso costituiva la truppa. Lo shogun aveva ai suoi ordini 17000 samurai, i daimyo alcune migliaia. Una fase particolare nella storia dello Shogunato Togukawa è il periodo detto “Nanban” (barbari meridionali), che ha inizio ancora prima dell’ascesa al potere di questo clan, con l’approdo (1543) in un porto giapponese di una nave portoghese; i portoghesi avevano qualcosa che ad un regime militare interessava moltissimo, le armi da fuoco, che i giapponesi presero ad acquistare a prezzi assai elevati (un archibugio veniva pagato fino 40kg d’argento) e quindi a copiare dagli stranieri. Cominciarono così contatti e scambi commerciali anche assai intensi, per lo sviluppo dei quali si aprì il porto di Nagasaki: infine, dal 1549, arrivarono anche i missionari, gesuiti e francescani soprattutto, che avviarono una proficua opera di proselitismo; si calcola che in pochi anni i cristiani battezzati raggiungessero il totale di 300.000.
I portoghesi però erano dei mercanti ed uno dei commerci più proficui e più praticati da questi era il commercio degli schiavi; ben presto le navi portoghesi si riempirono di concubine, geishe o giovani donne giapponesi destinate ai mercati dell’Europa e del Medio Oriente: questa pratica destò la giusta indignazione delle classi dirigenti giapponesi, lo shogun prima si appellò al generale provinciale dei gesuiti, poi, non avendo ottenuto soddisfazione, bloccò l’accesso ai porti giapponesi di navi straniere, proibì i commerci e la pratica del cristianesimo; i cristiani furono duramente perseguitati, 168 martiri cristiani furono crocifissi in una sola circostanza, e si estinsero totalmente nel corso del XVII secolo. Misure così drastiche non potevano essere giustificate dalla sola indignazione contro lo schiavismo, è ragionevole pensare che il diffondersi di idee religiose tanto lontane dall’etica giapponese fosse percepito come una minaccia al potere delle classi dominanti.
Per inciso, vale anche la pena menzionare che i giapponesi, che giustamente condannavano il commercio delle schiave concubine da parte dei portoghesi, non si erano né preoccupati né vergognati di ridurre in schiavitù un gran numero di giovani coreane, nel corso di varie spedizioni sul continente; come tutti sappiamo, questa pratica si è ripetuta sistematicamente nel corso dell’ultima guerra.
La reazione alle influenze straniere culminò nella prima fase dello shogunato Togukawa (1615) che colse questa occasione per rafforzare il modello politico di sistema feudale centralizzato e controllato in toto dallo shogun e sancì il totale isolamento dall’estero; nel 1639 venne ufficialmente proclamata la politica del “sakoku” (paese chiuso) che eliminava ogni possibilità di contatto con il resto del mondo; ai giapponesi era proibito di viaggiare all’estero, mentre agli stranieri era proibito l’ingresso del paese. L’unico approdo consentito alle navi straniere, quasi esclusivamente olandesi, era il porto di Nagasaki, attentamente sorvegliato da apposite squadre di doganieri.
Il Giappone visse così per quasi due secoli come ripiegato su se stesso, il medioevo culturale del paese raggiunse il suo apice: si definirono in questo periodo molti dei lineamenti permanenti del popolo giapponese; nasce ad esempio il “kokugaku”, letteralmente “studi giapponesi”, una sorta di ricerca delle proprie origini, che diverrà in seguito una forma di filosofia, che predicava la superiorità del Giappone: il Giappone era, di sua natura, “puro” in origine; quindi, per raggiungere lo splendore assoluto doveva liberarsi da ogni contaminazione esterna. Soprattutto, vengono enunciati per iscritto, in questo periodo, i principi del “Bushido” (via del guerriero) una specie di codice morale per i samurai, in un certo modo analogo a quello dei cavalieri medioevali.
Sette era i principi basilari del Bushido; onestà e giustizia, eroico coraggio, compassione, gentile cortesia, completa sincerità, onore, dovere e lealtà; il venir meno per il samurai ad uno solo di questi principi comportava l’obbligo del suicidio rituale, il “seppuku”.
Il Bushido non terminò con la fine dello shogunato e l’inizio dell’era moderna per il Giappone, anzi: successivamente alla Restaurazione Meiji (1866-1869), il bushido si riaffermò, acquisendo come punto fondante il rispetto assoluto dell'autorità dell'imperatore; divenne così uno dei capisaldi del nazionalismo giapponese, non essendo più limitato all’ordine dei samurai, ma divenendo un codice di valenza universale, soprattutto tra le forze armate. Non tutti i princìpi del bushido erano positivi, come, tutto sommato, ci possono apparire quelli sopra enunciati; trai dettami di questo codice, compariva, ad esempio, l'assoluto disprezzo per il nemico che si arrende, che fu la causa dei trattamenti brutali, inumani e degradanti a cui i giapponesi sottoposero i prigionieri occidentali ed i popoli sottomessi nel corso della seconda guerra mondiale.
Quanto distante questo atteggiamento dal mos romano; per i Romani, dopo la resa, il nemico deve essere risparmiato (“parcere victis et debellare superbos”, il verso di Virgilio). Di conseguenza il nemico vinto era progressivamente coinvolto nel progetto politico di Roma, trasformato in alleato: così nacque l’impero. Questo precedente è divenuto paradigma fondamentale dell’etica politica occidentale, in tutti i tempi. come possiamo, ad esempio, constatare anche dall’ultimo dopoguerra.
L’etica giapponese non accetta la resa; l’altra faccia della moneta è che l'inaccettabilità etica della resa porta alla ricerca di una morte onorevole in combattimento, preferibile all’onta della resa; questo spinse al sacrificio supremo tanti combattenti giapponesi, che rifiutarono di arrendersi nel corso dell’ultima guerra, anche quando non c’era più speranza.
L’isolamento del Giappone, su cui sostanzialmente si fondava il potere dei Togukawa, ebbe bruscamente termine l’8 luglio 1853, quando all’imbocco della baia di Tokio si presentò una squadra navale americana (le Navi Nere) al comando del commodoro Matthew Perry. Questi, senza troppi fronzoli, comunicò agli stupefatti funzionari imperiali che non si sarebbe mosso di lì fin quando non gli fosse concesso di scendere a terra e presentarsi alle autorità; la flotta giapponese non era in grado di contrastare le navi americane, quindi Perry poté scendere e consegnare allo shogun la bozza di trattato commerciale proposto dagli Stati Uniti. La mossa americana era infatti motivata da intenti puramente commerciali, gli americani non tolleravano l’esclusiva commerciale concessa agli olandesi e pretendevano libertà di commercio, anche da posizione privilegiata. Perry lasciò un anno di tempo ai suoi interlocutori per riflettere; l’anno successivo si ripresentò a capo di una flotta ancora più robusta ed ottenne la firma della Convenzione di Kanagawa , cui fecero seguito trattati analoghi con Francia, Russia e Inghilterra.
Per inciso, la bandiera del commodoro Perry fu fatta giungere dagli Stati Uniti ed esibita alla cerimonia di firma della resa del Giappone nel ’45.
L'episodio delle navi nere rappresentò a lungo una macchia indelebile nella memoria storica giapponese, un’onta subita da parte di potenze straniere, espressione di imperialismo e colonialismo, oltre che il segnale della superiorità tecnologica occidentale.
Sul piano politico, in molti compresero come il punto debole del trattato fosse nell'autorità che lo aveva firmato; lo shōgun infatti, pur detenendo il controllo politico del Paese, traeva tale legittimazione dal mandato imperiale, e quindi per essere valido il trattato avrebbe dovuto essere firmato dall'Imperatore.
Il desiderio di riportare il Giappone alla dignità (percepita) precedente all'umiliazione delle navi nere condusse molti samurai a rinnegare lo shōgun sostenendo che non agisse più nel nome dell'Imperatore: questa reazione aprirà la strada all’età moderna.