Paintings by an unknown Cantonese artist - Rare Chines Opium War Watercolor
Breve storia della Cina. 2
Declino e fine dell’Impero. Repubblica e guerre.
(seguito)
di Mauro Lanzi
La fine della dinastia Ming segna l’inizio del declino della civiltà cinese.
Si è discusso a lungo circa le cause di questo declino, che appare ancora oggi inspiegabile visto il livello di sviluppo raggiunto nel primo secolo di dominio di questa dinastia. Certo, volendo fare un confronto, il declino della civiltà del Rinascimento in Italia fu ancora più rapido, ma qui le cause sono molto più evidenti, guerre, invasioni, Controriforma, spostamento delle rotte commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico ed altro ancora.
Nulla di tutto ciò in Cina, non vi furono cause esterne, il declino della Cina è un fatto endogeno.
Giova ricordare che i secoli XVI e XVII segnarono il decisivo sviluppo della potenza degli stati europei, sviluppo trainato dall’imporsi di una nuova borghesia mercantile e capitalista; proprio il sorgere del capitalismo è la molla del progresso dell’occidente. Anche le guerre, frequenti e sanguinose non furono di ostacolo, anzi promossero la creazione e l’adozione di nuovi armamenti, sempre più potenti e micidiali, che costituirono anche la premessa della superiorità politica e militare dell’Europa. Le grandi navi, irte di cannoni, capaci di abbattere ogni fortezza, erano il simbolo di questo strapotere.
La Cina proprio in questo periodo sembra chiudersi in se stessa, in un isolamento più psicologico che materiale, perché i traffici continuano, le esportazioni conoscono un rapido incremento; è la convinzione di autosufficienza, l’autoreferenzialità che separano la Cina dal mondo occidentale, proprio mentre questo allunga il suo passo.
Si è detto che la debolezza, l’incapacità degli ultimi esponenti della dinastia Ming siano state tra le cause del declino; certamente in un sistema autocratico, fortemente accentrato, quale era il modello politico introdotto dai Ming, i problemi al vertice non possono che riflettersi negativamente su tutto il paese; questi problemi però si erano manifestati in diverse circostanze anche nel passato, il Paese era sempre stato capace di risorgere più forte di prima. Questa volta invece il declino continua inarrestabile, anche quando una nuova dinastia riesce ad arginare i disordini; evidentemente le cause erano diverse, in primo luogo il riaffermarsi dell’ortodossia confuciana a livello politico: la dialettica, che da sempre è la molla della civiltà occidentale, non è una componente del pensiero dominante in Cina, il fine per il seguace di Confucio è la ricerca dell’armonia nella società civile, che così si cristallizza nell’autoreferenzialità, rifiuta il confronto con il mondo esterno. La crescita di una borghesia mercantile, primo gradino dell’economia capitalista, non è ammessa dall’etica confuciana, che vede solo nel contadino il produttore di ricchezza, il mercante è un parassita. Così la civiltà più evoluta, avanzata e sofisticata del mondo si avvia al collasso.
Il malgoverno e la corruzione imperante negli ultimi anni della dinastia Ming ed i disordini che ne conseguono portano ancora una volta la Cina sotto una dinastia straniera, i Qing.
La dinastia Qing non fu fondata dall'etnia degli Han, che forma la stragrande maggioranza della popolazione cinese, ma dal popolo semi-nomade dei Manciù, che si era reso indipendente, acquisendo coscienza di sé per la prima volta, nell'attuale Cina nord-orientale, all’inizio del XVII secolo, dopo essere stato a lungo vassallo dei Ming. Il capostipite della dinastia Qing era stato un abile capotribù di nome Nurhaci, che si affrancò dalla soggezione ai Ming, riunendo sotto il suo vessillo le varie tribù mancesi. Il figlio Huang Taiji, rinforzato l’esercito incorporando unità cinesi, riuscì a sottomettere Corea e Mongolia, impadronendosi anche, dopo la morte dell’ultimo Gran Khan, del sigillo degli Yuan, gli antichi imperatori della Cina. Traendo vantaggio dall'instabilità politica e dalle ribellioni popolari che sconvolgevano la Cina ( l’ultimo imperatore Ming si era impiccato ad un albero della città proibita) , le forze militari dei Manciù, guidate da Kangxi, primo imperatore della dinastia, si riversarono nel 1644 nella capitale dei Ming, Pechino, e da lì soggiogarono progressivamente tutto il territorio dell’impero.
Gli inizi furono positivi, anche se i Manciù vollero imporre ai cinesi anche le loro usanze, come il codino (odiatissimo dagli Han) e la fronte rasata. Dopo un secolo e mezzo di sostanziale stabilità, però. anche i Qing ebbero a conoscere problemi di crescente gravità., dovuti, sia a disordini interni (rivolta dei Taiping, i cosiddetti “Adoratori di Dio”), ma anche e soprattutto allo scontro con le nazioni occidentali, in particolare la Gran Bretagna: questi eventi portano il nome, vergognoso per gli inglesi, ma anche per tutti noi occidentali, di “Guerre dell’oppio”.
L’oppio era stato introdotto in Cina dagli olandesi nel XVI secolo e successivamente bandito dagli imperatori cinesi, giustamente preoccupati per la salute dei loro sudditi.
Il 1700 vede una rapida espansione dei commerci con la Cina, scambi che si svolgono però a senso unico, dato che in tutto l’occidente, Inghilterra in particolare, cresce la richiesta di prodotti cinesi, diremmo oggi, di lusso, come tè, seta, ceramiche (i servizi da tè si chiamano ancora, in inglese, “China”), importazioni che non vengono compensate da acquisti di beni inglesi (la Cina era ed è autosufficiente), ma devono essere pagate in argento.
Per compensare questo squilibrio della bilancia commerciale, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali non trova di meglio che aggirare i divieti in essere, esportando in Cina l’oppio prodotto in India. Si realizza una sorta di triangolazione; gli inglesi si fanno pagare le loro esportazioni in India con l’oppio ivi prodotto e con questo pagano le importazioni dalla Cina.
L’imperatore, deciso a stroncare il triste commercio, invia a Canton, principale porto d’accesso, un funzionario onesto e coraggioso, il mandarino Lin Zexu, che, dopo aver scritto inutilmente alla regina Vittoria (che non si degna di rispondergli), fa sequestrare tutto l’oppio su cui riesce a mettere le mani e lo fa distruggere (1839).
Gli inglesi prendono questo affronto come “casus belli” e scatenano la prima guerra dell’oppio, che rivela tutta l’inadeguatezza delle forze armate cinesi a fronte dei cannoni e dei fucili occidentali. La guerra si conclude nel 1842 con il trattato di Nanchino; i cinesi devono riaprire agli inglesi il commercio dell’oppio in tutto l’impero, nonché i porti di Shangai e Canton: viene ceduta agli inglesi l’isola di Hong Kong. Nel 1856 scoppia la seconda guerra dell’oppio, inglesi e francesi giungono fino a Pechino ed impongono condizioni ancora più gravose ed avvilenti, tra le quali la possibilità per le navi occidentali di risalire i grandi fiumi, per estendere i loro traffici.
Il potere dei Qin, stretti tra l’arroganza degli stranieri e le rivolte popolari, conseguenza di una cattiva amministrazione, declina rapidamente; è evidente a tutti l’impotenza della Cina nei confronti dei barbari stranieri ed il malcontento aumenta di giorno in giorno, investendo chi è al governo. Si tenta di reagire: poiché gli stranieri giungono su potenti navi da guerra, l’imperatrice Cixi, di cui parleremo, impone una tassa speciale al paese per finanziare la costruzione di una flotta capace di confrontarsi con le potenze straniere: poi, ottenuti i fondi, li impiega per scopi personali, si fa costruire una residenza estiva alle porte di Pechino (Palazzo d’estate).
Qui, in un laghetto, si può ancora ammirare un vascello in marmo (nave del sollievo o della purezza), fatto costruire anch’esso dall’imperatrice con i fondi raccolti per la flotta, atroce sberleffo ai sacrifici del popolo cinese. Anche così cadono gli imperi.
Cixi, penultima regnante della dinastia Qin, è stata anche l’unica donna che abbia occupato il trono cinese per un lungo periodo; detta imperatrice madre o imperatrice concubina, regnò per 67 anni, dal 1861, all’indomani della seconda guerra dell’oppio, fino al 1908; era solo una concubina dell’imperatore, ma anche la madre dell’unico figlio maschio, del quale, alla morte dell’imperatore, assunse la tutela, per la sua minore età. Morto anche il figlio, prima di salire al trono, l’ex concubina divenne tutrice del nipote, ma quando questi raggiunse la maggiore età, Cixi non accettò di lasciare il trono e fece imprigionare il nipote, restando sola al governo.
Con Cixi l’impero cinese vive il suo ultimo travagliatissimo periodo, combattuto tra tentativi di modernizzazione, intrapresi dalla stessa Cixi , rivolte contadine e sommosse xenofobe, la più nota delle quali va sotto il nome di rivolta dei Boxer (1900). Boxer era il nome dato dagli occidentali alle società cinesi che praticavano le arti marziali (“Società dei pugni celesti”), collegate tra di loro da oscuri contatti e tutte ferocemente xenofobe; il loro obiettivo era la cacciata degli stranieri, con ogni mezzo. L’assassinio dell’ambasciatore tedesco e le misure repressive minacciate fanno esplodere la rivolta. Cixi, posta di fronte al rischio di essere detronizzata, si allea con i Boxer che assediano il quartiere delle “Legazioni” a Pechino, difeso da uno sparuto manipolo di soldati inglesi e statunitensi (c’era anche qualche marinaio italiano); poi l’esercito Qin e la folla dei boxer devono fronteggiare la spedizione internazionale di otto nazioni (tra cui l’Italia) inviata in soccorso dei residenti stranieri (la vicenda ha ispirato il film “55 giorni a Pechino”). I contingenti stranieri occupano Pechino, Cixi è costretta a fuggire vestita da contadina e deve accettare una pace umiliante, che estende la extraterritorialità delle “Legazioni” a vaste zone del paese, l’Italia ottiene, ad esempio, la città di Tientsin.
Cixi muore nel 1908 dopo aver designato al trono il figlio del nipote, che lei stessa aveva fatto imprigionare, un bimbo di due anni, di nome PuYi.
Oramai la crisi del sistema imperiale era all’ultimo stadio: si era sviluppato, inizialmente tra i cinesi residenti all’estero, un nuovo movimento politico che proclamava tre principi fondamentali, “Indipendenza nazionale” ( cioè cacciata degli stranieri), “Potere del Popolo” (cioè democrazia), “Benessere del popolo” (cioè riforma agraria); il movimento si costituisce come partito nel 1911, col nome di “Kuonmintang”, Partito Nazionalista, e con un leader il Dr Sun Ya Tse (ammiratore e seguace delle idee mazziniane) , che era stato fin dal principio l’ispiratore del movimento.
Nello stesso anno la rivoluzione Xinhai, iniziata a Wuhan dallo stesso Sun Ya Tse, rovescia il governo imperiale ed è lo stesso PuYi che firma l’instaurazione della Repubblica con presidente provvisorio Sun Ya Tse e capitale a Nanchino (1° gennaio 1912).
Il nuovo regime è assolutamente debole, inizia una fase estremamente confusa della storia del Paese: a Pechino si instaura un nuovo governo imperiale capeggiato da un generale del vecchio esercito Yuan Sikai, mentre Sun è costretto a fuggire in Giappone. Alla morte di Yuan Shikai, la Cina si frantuma; è il periodo detto dei “Signori della Guerra”, cioè i comandanti provinciali dell’esercito imperiale, che si dichiarano indipendenti dal governo centrale, ciascuno governa in autonomia la sua provincia, spesso in feroce conflitto con i suoi omologhi. Sun Ya Tse rientrato nel 1917, fonda di nuovo il Kuonmintang e cerca di organizzare la campagna contro i Signori della Guerra; alla sua morte nel 1926, prende il comando uno dei suoi più stretti collaboratori, Chiang Kai Schek, direttore della scuola militare di Whampoa.
Chiang, grazie anche agli aiuti che gli giungono dall’Unione Sovietica, riorganizza l’esercito ed inizia la “Spedizione del Nord” contro i Warlords: gli si affiancano i seguaci del “Partito Comunista Cinese” nato nel 1921 da una costola del KMT.
Ottenuti i primi successi e spostata la capitale a Nanchino, Chiang decide che è il momento di liberarsi della minaccia a sinistra ed inizia una selvaggia repressione del movimento comunista in tutti i territori da lui occupati. Nel 1928 viene nominato “Generalissimo” e presidente del Kuonmingtan e giunge ad occupare Pechino, debellando così i “Signori della Guerra”. La guerra contro i comunisti prosegue e con la quinta offensiva del 1934/35, Chiang sembra ottenere un successo decisivo, i comunisti, circondati, sono costretti ad una -drammatica ritirata verso il Nord, verso lo Yanan, detta “La lunga marcia”: in queste circostanze emerge la figura di Mao Tse Tung, che in breve assume la guida del partito.
La guerra sino-giapponese
- La crisi dell’Impero cinese aveva da tempo destato gli appetiti di un suo bellicoso vicino, il Giappone; con la guerra russo cinese (1905) i giapponesi riescono a mettere piede sul continente, occupano Shandong prima e, subito dopo, tutta la Corea. Non contenti di questi risultati, durante la prima guerra mondiale, pur essendo in teoria alleati dell’Intesa (come la Cina), inviano al governo cinese le “21 richieste”, che, se accettate, avrebbero trasformato la Cina in un protettorato giapponese: la dura reazione delle potenze occidentali costringe il governo nipponico a ritirarle, ma la crisi economica del dopoguerra ripropone alla classe dirigente giapponese la questione della Cina, il cui mercato appare come lo sbocco indispensabile per la produzione industriale del paese.
Già nel ’27 i militari al governo in Giappone tentano di espandere con la forza la zona di occupazione dello Shandong, ma la decisa opposizione di Unione Sovietica e Stati Uniti li costringono a far marcia indietro; nel 1931 si cambia obiettivo, la Manciuria, che era già un protettorato giapponese, viene occupata militarmente a seguito dell’incidente di Mukden, inscenato ad arte da militari giapponesi, e trasformata nel trampolino di lancio per il controllo della Cina.
Al fine di dare all’operazione un crisma di legalità i giapponesi instaurano nella regione lo stato del Manciukuò ponendo a capo dello stesso Pu Yi che era stato l’ultimo imperatore Qin, un manciù, quindi, almeno in teoria, rappresentativo della popolazione locale.
La condanna da parte della Società delle Nazioni non ferma il Giappone, che ne esce nel 1933, mentre prosegue la pressione sui confini della Cina, dilaniata dalla contesa tra il nascente partito comunista di Mao Tse Tung ed il Kuonmintang di Chiang. Si susseguono incidenti e provocazioni da parte giapponese, con lo scopo di intimidire la controparte, imponendo la demilitarizzazione di importanti città, fino all’evento decisivo, l’incidente detto “del Ponte di Marco Polo”, non lontano da Pechino, dove si scontrano la guarnigione del ponte con reparti giapponesi in addestramento (7 luglio 1937). Il ponte, costruito nel 1189, deve il suo nome alla stupefatta descrizione che ne fa il grande viaggiatore. L’incidente del Ponte fornisce il pretesto per l’inizio delle ostilità, il Giappone sbarca ingenti rinforzi e muove alla conquista della Cina.
Nella guerra sino giapponese si possono distinguere tre fasi
Prima fase: 7 luglio 1937 (battaglia del Ponte di Marco Polo) - 25 ottobre 1938 (caduta di Hankou). In questo periodo l’esercito del KMT non è in grado di confrontarsi con l’esercito giapponese, soprattutto a causa dell’arretratezza dell’infrastruttura industriale del Paese; è quindi costretto a cedere Pechino, Tientsin e, infine, dopo una sanguinosa battaglia anche Shangai. In pratica l'esercito cinese deve limitarsi a rallentare l'avanzata giapponese verso le città industriali del nord-est, cedendo spazio in cambio di tempo, in modo da permettere di smontare le (poche) industrie esistenti per ritirarle verso Chongqing ove ricostruire una base produttiva.
Seconda fase: 25 ottobre 1939 - luglio 1944. Stallo delle operazioni.
L’avanzata giapponese viene contenuta, ma questi sono anche gli anni in cui le atrocità giapponesi raggiungono il culmine, massacri di civili, campi di concentramento, lavoro forzato, esperimenti medici su cavie umane ed altro. Chiang Kai Tschek e Mao Tse Tung decidono di interrompere la guerra civile per far fronte comune contro l’invasore; grazie anche a questa cooperazione, le armate cinesi riescono a colpire l'avversario attraverso azioni improvvise miranti a tagliare le sue linee di rifornimento, bloccando così sul nascere anche eventuali manovre offensive.
L’attacco a Pearl Harbour del dicembre 1941 modifica il quadro strategico complessivo della guerra sino giapponese, facendola divenire parte del conflitto generale. Chiang Kai Schek che fino a quel momento aveva evitato di dichiarare guerra al Giappone per non perdere gli aiuti delle nazioni neutrali, Stati Uniti in primo luogo, ma anche Germania ed Italia (fino alla firma dell’Asse), formalizzò lo stato di guerra ottenendo un flusso crescente di aiuti americani e venendo riconosciuto come capo di tutte le forze alleate di quel settore.
Terza fase: luglio 1944 - 15 agosto 1945. A questo periodo corrisponde il contrattacco generale mirante alla completa liberazione del territorio cinese.
Gli Stati Uniti aumentano la loro presenza in Cina, aprendo anche numerose basi aeree, che il Giappone cerca di attaccare, ma è poi costretto a ritirare numerosi contingenti per affrontare l’avanzata americana nel Pacifico; la tragedia volge al termine, il 6 agosto 1945 gli americani sganciano la prima atomica su Hiroshima, il 9 agosto Stalin denuncia il patto di non aggressione con il Giappone ed inizia l’invasione della Manciuria: un’armata giapponese forte di un milione di uomini viene liquidata in pochi giorni. Il Giappone firma la capitolazione in Cina il 9 settembre.
Nel 1945 la Cina uscì dalla Seconda guerra mondiale facendo parte, almeno nominalmente, del gruppo delle grandi potenze che l'avevano vinta benché la nazione fosse prostrata da una grave crisi economica e travagliata di fatto dalla guerra civile. L'economia, messa in crisi dalla guerra, entrò in una grave spirale inflazionistica anche a causa delle attività speculative di molti membri del governo nazionalista, e subì ulteriori colpi a causa di fenomeni naturali aggravati dalla mancata manutenzione del sistema idrico della valle del Fiume Giallo, il cui straripamento provocò milioni di profughi e condizioni di vita precarie in molte regioni.
La guerra lasciò il governo nazionalista indebolito e scarsamente popolare, mentre rafforzò il Partito Comunista sia dal punto di vista militare che come popolarità. Nelle "zone liberate" Mao Zedong fu abile nell'applicare i principi del marxismo-leninismo alla particolare situazione cinese. Egli ed i quadri dirigenti del partito si proposero alla guida delle masse contadine vivendo in mezzo a loro, mangiando lo stesso cibo e cercando di pensare alla stessa maniera. A queste tattiche si unirono anche campagne di indottrinamento politico, di alfabetizzazione e di coercizione nei confronti delle classi "agiate". L'Esercito di Liberazione Popolare si costruì un'immagine di fiero combattente della guerriglia in difesa del popolo cinese, entrando in sintonia soprattutto con i contadini, cui si lasciava intendere che gli espropri della proprietà terriera sarebbero tornati a loro vantaggio .
Con queste premesse era scontato che la guerra civile, scoppiata all’indomani della resa del Giappone volgesse rapidamente a sfavore del Kuonmintang, malgrado gli ingenti aiuti provenienti dagli Stati Uniti, letteralmente divorati dalla crescente corruzione dei ceti dirigenti; il 21 gennaio 1949 Chiang rinuncia alla posizione di presidente della Cina, il 10 Dicembre un aereo militare americano lo porta a Taiwan da cui non farà più ritorno.
Il 1° ottobre 1949 viene proclamata la Repubblica Popolare Cinese, con presidente Mao Zedong.
Dopo anni di divisioni e guerre civili, la Cina ritrova infine unità e concordia sotto un nuovo Imperatore, capostipite di una dinastia di imperatori socialisti.
Si chiude il circolo aperto con la destituzione di Pu Yi: dopo un vago tentativo di instaurare una repubblica parlamentare, la Cina torna ad essere quello che era sempre stata, un Impero.