Un commento al libro di Simone Fubini Oltre le occasioni perdute, Ed.Egea Milano
Simone Fubini racconta molto bene una storia basata su esperienze personali che analizza le vicende di Olivetti, di GEISI- Information Systems- Bull Italia e di Telettra, cioè dei maggiori protagonisti dell’industria informatica e di TLC in Italia, in cui è stato protagonista. Una storia che ha visto momenti di eccellenza ma con esiti per lo più negativi, con occasioni perdute.
La domanda che viene posta è perché tutto questo è avvenuto e se invece poteva andare diversamente.
Fubini cerca di dare risposte con riferimento alle vicende aziendali ma sopratutto con riferimento alle carenze della politica industriale italiana.
Su questo punto ricordo che anche i pesanti interventi pubblici di altri paesi europei non hanno salvato i loro campioni nazionali dell’informatica (un discorso diverso in parte riguarda alcuni gruppi europei delle TLC).
Credo che la risposta alla crisi che ha colpito tutte le aziende informatiche europee in specie quelle sostenute dai governi stia nel ruolo dato a campioni nazionali in Francia, Germania, Gran Bretagna, cioè alla mancata integrazione a livello europeo o internazionale e quindi al limite di mercati nazionali troppo piccoli, rispetto alla situazione delle aziende USA dove vi era un grande mercato e intelligenti politiche pubbliche, come dimostra anche il recente saggio della Mazzuccato.
Il libro di Fubini concentra particolare attenzione al caso Olivetti, in specie con riferimento alla vicenda della Divisione Elettronica Olivetti ed ai suoi seguiti come General Electric Information Systems, poi Honeywell Information Systems ed infine Bull, tutte aziende di cui Fubini è stato tra i protagonisti.
Una vicenda quella della fine della Divisione elettronica Olivetti ormai a lungo studiata e divenuta un caso emblematico del disimpegno della politica italiana verso non solo le tecnologie informatiche, ma in genere verso tutta l’alta tecnologia.
L’analisi di Fubini, ma anche il contenuto del bel libro su Mario Tchou edito sempre da EGEA, mostra chiaramente che, certamente la morte quasi contemporanea di Adriano Olivetti e di Mario Tchou hanno avuto un ruolo determinante, così come l’atteggiamento della Fiat e la passività delle istituzioni italiane, ma non vi è dubbio che soprattutto i gravi problemi di bilancio della Olivetti (e la debolezza finanziaria della famiglia Olivetti) non potevano consentire di proseguire quella straordinaria avventura e si andava verso la chiusura definitiva o la cessione, come è avvenuto, ad un gruppo come General Electric e poi Honeywell Information Systems che hanno potuto fortunatamente portare avanti in modo positivo quel patrimonio tecnologico.
Ma oltre a quanto sviluppato poi da General Electric e poi da Honeywell Information Systems, è importante sottolineare che la Divisione elettronica ha portato alla nascita della Programma 101 ed all’entrata grazie a Perotto dell’informatica in Olivetti.
Credo che anziché rammaricarsi delle occasioni perdute sia importante scoprire i semi prodotti dalle diverse esperienze e studiarne i frutti, come Fubini ci aiuta a fare.
E infatti nel titolo del suo libro ha messo davanti alle occasioni perdute un bel “oltre” che significa guardare avanti e vedere come far fruttare i semi.
Credo sia importante vedere i semi che sono venuti anche dopo nelle alterne vicende della storia Olivetti, piuttosto che limitarsi a vedere le sconfitte e le occasioni perdute.
Il 1964 ha segnato un grande momento di svolta per Olivetti, non solo per la cessione della Divisione elettronica, ma per l’entrata del Gruppo d’Intervento che di fatto ha congelato il capitale dell’azienda per quasi 15 anni sino all’intervento di De Benedetti nel 1978 con gravi problemi finanziari in una fase di radicale trasformazione dalla tecnologia meccanica a quella elettronica e dell’evoluzione verso l’informatica, a cui Olivetti ha comunque risposto negli anni 60 e 70 con notevole impegno sia tecnologico che commerciale, anche se limitato dalle sue carenti risorse finanziarie.
La domanda è: quale sarebbe potuta essere Olivetti nel periodo 60-70 se ci fosse stata un’adeguata ricapitalizzazione o l’intervento nel capitale e nell’attività aziendale da parte di un possibile partner internazionale?
Gli anni 60 e 70 della Olivetti sono stati finora analizzati per singole parti, ma credo che varrebbe la pena ripercorrere quegli anni ed è questo un tema che mi sta interessando personalmente.
Come si può leggere nel bel libro di Paolo Bricco sulla Olivetti dell’ingegnere, De Benedetti entrando ha trovato un buon sviluppo tecnologico e valide attività di produzione che ha saputo far crescere con una coraggiosa ricapitalizzazione e con il lancio di successo sia dei Personal Computer che della scrittura elettronica.
Le vicende accadute dopo, dalla fine degli anni 80 agli anni 90, sono note, peraltro avendo presente anche che tutta l’industria informatica mondiale subì in quegli anni una delle più gravi crisi di radicale trasformazione.
Fubini pone una questione di fondo particolarmente interessante, quando si chiede se alla base della crisi finale non ci sia stato l’errore di passare dal focus originale di azienda nata e cresciuta con competenze centrate su macchine cioè hardware verso attività molto diverse e cioè sviluppo software e sistemi distribuiti, attività estranee alla cultura di base dell’azienda.
E se non sarebbe stato più opportuno continuare nei personal computer e nelle apparecchiature terminali, come hanno fatto grandi aziende come HP, Dell, Samsung, ecc.
La questione ha certamente una motivazione reale, tenuto conto anche che la strada seguita nello sviluppo dell’informatica da parte di Olivetti è stata molto contorta con cambi frequenti e con costi elevati in un contesto di radicali mutamenti tecnologici ed applicativi tuttora in atto con effetti pesanti su gran parte degli operatori a livello mondiale.
Ma la strada dello sviluppo di hardware informatico e di telecomunicazioni ha visto ancor più numerosi soccombenti, a fronte dell’invasione dell’industria cinese e coreana.
Quasi tutti i produttori di macchine per ufficio in USA ed in Europa sono spariti da anni, come la produzione di mainframes, i personal computer sono ormai tutti cinesi. Negli smart phones vi sono le crisi di Blackberry e di Nokia, qualche problema lo sta subendo pure Samsung dalla concorrenza di Xiaomi ed altri cinesi.
Costruire PC in Europa o in USA era già all’inizio degli anni 90 una strada non più percorribile (le perdite annue di Olivetti nei PC erano elevatissime).
Certamente si potevano cercare soluzioni diverse da parte di Olivetti già nei primi anni 90 ad esempio attraverso accordi con produttori asiatici e con la stessa HP con la quale si erano avviati contatti, poi tramontati a seguito della decisione di andare con Digital, azienda quasi subito passata in ambito HP.
Credo che sia più importante oggi cercare di vedere se i semi derivati da queste vicende abbiano dato o possano dare frutti per il futuro.
Olivetti ha certamente lasciato molti semi, il primo quale grande scuola di management che ha contribuito a formare una classe manageriale per il paese (come anche Honeywell e Telettra) e nel settore della telefonia mobile, il successo di Vodafone è targato Omnitel. Quasi tutto il management dell’industria italiana del mobile trae origine da Omnitel.
Poi Arduino che nasce dall’IDI di Olivetti, dalla cultura del design e dell’innovazione libera e diviene un riferimento internazionale per lo scenario digitale. Ancora vi sono semi Olivetti in nuove imprese della meccatronica e del controllo numerico.
Né si dimentica che il seme della vecchia SGS ATES di Olivetti e Telettra ha generato ST Microelectronics grazie a Pistorio, un manager italiano proveniente da multinazionali USA.
E questo ci fa pensare cosa sarebbe potuto avvenire all’imprenditoria italiana dell’high tech se si fosse combinata seriamente al momento giusto con esperienze e presenze di mercato internazionale. Qualche tentativo vi è stato, ma forse non nella forma più conveniente.
Il messaggio di Fubini è che non è troppo tardi per valorizzare il patrimonio tecnologico che, se pur sotterraneo, esiste ancora in Italia e in questo modo dare occasioni di futuro ai giovani. Oggi le tecnologie digitali aprono nuovi spazi.
Come dice Chris Anderson è in atto una democratizzazione dei bit e degli atomi e nel recente Congresso AICA abbiamo voluto affiancare bit e atomi con la digital fabrication e le tecnologie di stampa 3D.
L’Italia ha delle opportunità straordinarie nel nuovo ciclo digitale, dalla manifattura ai servizi smart.
Come Prometeia e AICA abbiamo recentemente puntato l’attenzione sulla manifattura in cui l’Italia è il secondo operatore europeo. Una indagine di Confindustria mostra che l’industria manifatturiera italiana è innovativa. Il tasso di investimenti sul valore aggiunto è del 23%, tra i valori più alti in Europa, nonostante la crisi della domanda interna che ha fatto uscire tante piccole imprese. Il 74% della spesa di R&S delle imprese italiane è effettuata dalle imprese manifatturiere ed è peraltro ancora insufficiente. Vi sono investimenti nei processi e poco nei prodotti.
In questo il digitale potrà avere un influsso positivo, puntando a 3D printing, Internet of things, sensoristica, Big data, smart business.
Le nostre analisi in AICA hanno mostrato una carenza di formazione di competenze ed è questo un grosso limite allo sviluppo futuro.
Appare urgente investire per preparare competenze adeguate da inserire nel sistema manifatturiero operando interventi nelle scuole di formazione tecnica, ma anche nei licei con l’effettiva attuazione pratica dell’alternanza scuola-lavoro sul modello tedesco, così come nella promozione della formazione aziendale e per chi viene espulso dal lavoro.
L’obiettivo è la formazione di competenze, di intelligenze, di talenti integrando scuola-lavoro, università, laboratori, FabLab e nuova imprenditorialità creando ecosistemi di eccellenza e piena apertura ai rapporti con gli ambienti tecnologici internazionali.
Ed è in questa direzione che si deve operare e dobbiamo augurarci che finalmente le scelte di politica economica si muovano con questo obiettivo ed allora il racconto delle passate crisi ed occasioni perdute ma sopratutto dei semi rimasti può essere molto utile.