Ruddha (Rudolf Otto Schlieben) – (South Africa) – Never Despair
Guarisce chi vuole (9)
di Cesare Verlucca
(seguito)
Mai disperare…
Quello che ho raccontato finora, o che racconterò nelle puntate a seguire, o che non racconterò affatto perché l’ho dimenticata, è pur sempre una minima parte di quanto mi è successo in quasi un secolo di vita. Tenuto conto tuttavia che sto scrivendo adesso questo testo (maggio 2021) e non in un passato più o meno remoto, al quale tornerò magari indietro mano a mano che riemergeranno eventi meritevoli di essere raccontati, è in questo momento che devo precisare il mio stato d’animo attuale, sia a me stesso che e ai miei lettori (che dovrebbero essere più dei 14 di Tito Giraudo, amico d’antichi affetti…), cercando di constatare se le mie convinzioni continuino a essere più o meno credibili, e comunque degne di essere prese in considerazione.
Il mantra che mi accompagna è pur sempre lo stesso, concentrato in tre lemmi di alta valenza formale: Guarisce chi vuole. Devo perciò cercare la ragione, se ce n’è una, del perché e percome a un certo punto mi sia andata praticamente in tilt la percezione dei suoni, scaraventandomi talora in uno sgradevolissimo silenzio totale, il quale lascia tuttavia agli acufeni di approfittarne, continuando a suonarmi una qualunque marcia reale direttamente nel cervello.
E senza, purtroppo, soluzione di continuità.
Esistono altrove analoghe situazioni in grado di procurare gli stessi effetti dei miei maledetti acufeni? A ben riflettere, l’assembramento di suoni e rumori che entrano in un orecchio non gravato da rumori autoctoni, esistono sicuramente. Si tratta dunque di individuare quali diversità hanno rispetto a una vita che deve continuare a mescolare agli acufeni la quantità di rumori cortesemente offerti da un’esistenza costretta ad accogliere a malincuore le esigenze rumorose di una civiltà che si direbbe non sia più tale.
Non mi sono mai arrestato dallo studiare le soluzioni più stravaganti nelle varie circostanze in cui sono imbattuto, fatte non tanto per stupire coloro ai quali le stavo raccontando, quanto per studiarne l’eventuale applicazione al me stesso medesimo, disinteressandomi al pensiero che il mio prossimo avrebbe considerato queste idee una sorta di tranquilla follia.
Un’idea mi è venuta pensando al Canavese occidentale, che tra l’altro è la mia terra. Quel comprensorio è popolato di stabilimenti per produrre acciaio: fonte di ricchezza per le aziende che lo producono; di fatica per i lavoratori; di disturbo per le persone che abitano nei pressi. Il rumore cadenzato dei magli, infatti, può diventare un assillo comparabile ad acufeni assordanti e ritmati, ancor più debilitante pensando all’ambiente agreste che lo ospita.
C’è gente che, all’insediamento di imprese che utilizzino presse e magli, ha preferito cercare altrove la propria sede abitativa; ma la più parte – che spesso lavora proprio dentro quelle aziende – ha fatto di necessità virtù e s’è adattata, prendendo il positivo del lavoro e scordando il negativo del rumore. E, se gli si chiede quanto il rumore dia loro ancora fastidio, spesso rispondono: «Fastidio? E perché mai? Io manco lo sento, quel rumore».
Perché allora non far credere al cervello che quel suono assillante è come l’aria che si respira? L’ossigeno che entra nei polmoni, accompagnato dall’anidride carbonica e da chissà cos’altro ancora, hanno magari un suono anche loro, ma noi non lo sentiamo, né sentiamo tutti i “rumori” che accompagnano le infinite funzioni del nostro organismo.
Dopo quasi mezzo secolo che mi crea problemi, io credo di conoscere il mio orecchio (esterno, medio e interno) in tutte le sue componenti.
L’orecchio destro non è neppure da prendere in considerazione: il disastro risale a mezzo secolo fa, e cioè a quando, giocando con incudine, staffa e martello, il chirurgo aveva probabilmente sfiorato il nervo acustico che trasporta al cervello gli eccitamenti raccolti dal labirinto dell’orecchio: la lesione che ne era conseguita aveva comportato la perdita dell’udito destro per omnia saecula saeculorum.
Lungo il canale uditivo dell’orecchio esterno sinistro, invece, è sistemata un’esostosi (formazione benigna di una nuova escrescenza ossea rivestita di cartilagine). L’indesiderato oggetto diminuisce il diametro del canale, e parecchie volte in passato, non lasciando proseguire i suoni fino alla membrana timpanica, mi aveva creato sordità totali; ma dal controllo fatto nell’attuale circostanza risultava che, esostosi a parte, il condotto fosse sgombro.
Sono quarant’anni ormai che uso una protesi acustica e, da pochissimo, ne ho comprata una dell’ultima generazione, che risolve almeno uno dei miei tanti problemi: l’uso del telefono.
Negli ultimi tempi, ricevessi una telefonata o cercassi di farla, l’effetto era sempre sistematicamente lo stesso: sentivo grandi rumori, ma non capivo il discorso ricevuto, né riuscivo a trasmettere il mio. Pensavo che, se Alexander Graham Bell e Antonio Meucci non fossero esistiti (in fotografia sembrano uno la copia dell’altro…), né avesse avuto luogo la turbolenta storia che ha accompagnato una delle più grandi invenzioni dell’uomo, ora i collegamenti tra le persone sarebbero affidati ai servizi postali che, in verità, funzionano oggi come allora, cioè così così…
Nel mio caso, con il nuovo apparecchio, il bluetooth consente di ricevere il segnale audio del telefono cellulare direttamente all’interno dell’apparecchio acustico, così il suono entra direttamente dentro l’orecchio come nascesse dall’interno, risolvendo almeno per il 10% i miei problemi uditivi; il che, secondo i detti antichi, è sempre meglio di peggio.