Behshad Arjomandi (Spain, Contemporaneo) – Romantic Landscape
Consolarsi del vivere
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
La passeggiata era un passatempo molto amato dalla signora Persi, lo era sempre, figuriamoci poi se il percorso era un viottolo sotto gli alberi lungo un corso d’acqua!
Greg la portava spesso su quella stradina poiché la percorreva fin dai lontani giorni in cui a Cambridge era studente e il fiume il suo rilassante amico.
In effetti si respirava un’aria magica, d’altri tempi.
Forse fu per quest’atmosfera o per il tramonto imminente che, improvvisamente, la signora si fece silenziosa e assorta, tanto che Greg cominciò a studiarne il viso, prima divertendosi poi preoccupandosi.
Sembrava lontana, sperduta e malinconica, mostrando un aspetto che lui non aveva ancora conosciuto.
Nel frattempo il cielo si era tinto di un rosa clamoroso con nuvole come pennellate messe ad arte: uno spettacolo da guardare col fiato sospeso.
Il sentiero si aprì in una piccola radura e Gregory guidò l’amica verso una panchina seminascosta da un cespuglio.
- Che succede?- chiese infine con apprensione.
- Chiedo scusa- rispose subito lei, riscuotendosi da quel suo strano assentarsi - mi sono perduta in vecchissimi ricordi e in un lontanissimo tramonto! -
Lo guardò con affetto e un po’ di vergogna.
- Ero una giovanissima adolescente, credo frequentassi la seconda media, so per certo che seguivo il turno pomeridiano. Mi sono rivista appena tornata da scuola, mentre toglievo la divisa davanti alla finestra del balcone. All’improvviso mi accorsi del tramonto.
Il cielo, come quello di stasera, proponeva uno scenario mozzafiato, un insieme di colori, trasparenze, disegni, sensazioni che suggerivano pensieri e messaggi profondi ed urgenti.
Rimasi bloccata, impietrita, ispirata, poi commossa e poi affranta, tanto che scoppiai in lacrime.
Sopra una ridda di sentimenti e pensieri troneggiava la consapevolezza della mia “inutilità”.
Mi rivedo spiegare in modo confuso e farfugliato, a una gentile sorella accorsa al suono dei miei singhiozzi, che avevo capito una cosa importante. E infine, alle sue richieste sempre più pressanti e preoccupate, sento la mia voce ancora infantile dire che non sarei mai stata un Dante Alighieri! –
La signora Persi sorrise impacciata dopo questa sconcertante confessione.
Poi aggiunse: - In realtà ero cresciuta di colpo e, dolorosamente, prendevo atto della realtà rendendomi conto che i grandiosi sogni di “Tutto è possibile” si sgretolavano miseramente.
Era finito il meraviglioso senso di onnipotenza che mi permetteva di fantasticare su quel che avrei fatto, sarei stata, avrei creato.
La struggente bellezza di quel cielo straordinario, l’intraducibile messaggio di quella trascendente bellezza aveva portato in superficie nella mia giovane testa il desiderio, il bisogno, l’urgenza di tradurre tutto quel mistero, di trasformarlo, di esprimerlo.
Ma avevo capito che non mi era possibile, come non lo era per la maggior parte degli esseri umani.
Non sarei stata capace di riprodurre quella bellezza, di trattenerla trasformandola in un qualche genere di capolavoro che avrebbe “consolato” la miseria della vita umana.
Questo era il compito dei Geni, quegli esseri rari che ogni tanto nascono e che con le loro eccezionali capacità aiutano la specie a progredire o a sopportare la vita.” -
Poiché Gregory la guardava stupefatto e pensieroso, la signora Persi riprese a parlare.
- Capisco che oggi una dichiarazione del genere mi fa apparire un po’ matta, vorrei perciò spiegare che ero in realtà solo una ragazzina piena di sogni e ignoranti concetti.
Piuttosto egocentrica, come succede a quell’età, misuravo il mondo attraverso me stessa e non ero ancora capace di distacco e separazione.
Amavo gli eroismi, gli assoluti, la poesia. Prendevo molto sul serio il migliorarsi e l’evolversi ed ero convinta che diventando adulta sarei diventata perfetta o quasi. Ancora ero convinta comunque che tutti gli adulti lo fossero….
In quel preciso momento il mondo degli adulti mi si spalancò e il mondo reale mi apparve molto diverso e la perfezione a cui ero certa di arrivare crescendo, divenne una chimera.
Sì, fu un tramonto memorabile.
Varcai un cancello faticoso e cominciò il lungo periodo della difficile adolescenza dove furono i Geni a consolarmi della vita.
Correvo da Giacomo Leopardi a farmi confortare attraverso la dolorosa, ineguagliabile bellezza dei suoi versi.
Rilessi cento volte Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia soffermandomi spesso a:
……
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
……
Certo in quegli anni alla luna ci si poteva rivolgere fiduciosi, dato che ancora non c’erano stati allunaggi e ripetere con il poeta:
…….
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
…….
Era ancora possibile.
Ecco tutto questo mi è tornato vivo alla mente e gli antichi interrogativi mai risolti e il senso della vita e del nostro patire è ancora così sconfortante.
Certo, consolazioni ce ne sono state tante e, aumentando la capacità cognitiva, gli amici Geni sono diventati più numerosi e magnifici.
Tutta la straordinaria consolazione dell’arte, in tutte le sue molteplici espressioni è stata fonte di gioia, di coraggio, di leggerezza.
Certi giorni però, come quelli vicino ai compleanni, quando fastidiosamente si tentano bilanci e le riflessioni si fanno più deprimenti, è più difficile distrarsi e la bellezza diventa “dolorosa” perché la sua splendida natura è così lontana dal nostro miserabile soffrire.
Ci sono giorni in cui la vita ci appare assurda con l’esplosiva violenza palese in tutte le sue manifestazioni: dalle collisioni tra galassie alla lotta tra due specie vegetali fino a quelle tra gruppi umani. Si arriva alla tragica conclusione che vita è inarrestabile battaglia di sopravvivenza.
E la sopravvivenza porta inevitabilmente alla sopraffazione.
Il Genio di Leopardi lo sospetta chiaramente sempre in quella sua splendida poesia:
…….
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale.
.......
Ecco il perché della mia improvvisa tristezza.” -
Gregory profondamente colpito dalla serietà della sua amica, volle sdrammatizzare alla maniera britannica e cominciò a canzonarla per l’imminente compleanno.
- Mia cara - disse abbracciandola - voglio essere io a consolarti del tuo compleanno, anche se sono lontanissimo dal Genio di Leopardi.
C’è ancora tempo prima della tua festa, tuttavia tornando in libreria troverai un anticipo ai doni che ho deciso di offrirti.
E’ un libro decisamente in tema con i pensieri che il tramonto ti ha portato.
Il titolo è IL NOSTRO BISOGNO DI CONSOLAZIONE e l’autore, svedese, è STIG DAGERMAN.
Un piccolo grande capolavoro che ho trovato tradotto in italiano e pubblicato dalla casa editrice Iperborea che come tu sai si occupa di letteratura del nord Europa.”-
La signora Persi non confessò di conoscere il libro. Non voleva deludere Gregory anzi desiderava ringraziarlo vivamente per il pensiero affettuoso.
Sapeva però che l’autore si era suicidato a 31 anni e che il bellissimo breve saggio non consolava affatto.
Tuttavia anche la poesia di Leopardi non era consolazione intesa come distrazione dal proprio dolore.
Consolarsi del vivere con la bellezza significava, per lei, sopportare meglio il peso dell’inutile e inspiegabile sofferenza grazie alla nobiltà e all’eccellenza che l’essere umano può raggiungere attraverso il dono dei suoi elementi migliori.