Peter Howson (Londra, 1958 - ) – O Tempora! O Mores! (2021)
Do you speak Italian?
di Cesare Verlucca e Giorgio Cortese
Carissimi amici,
Vogliamo farci una sana risata?
Abbiamo deciso di scendere dal piedistallo sul quale nessuno ci aveva previamente invitato a salire, per renderci conto se la lingua italiana, che amiamo da sempre e della quale cerchiamo di individuare lo svolgimento dalla sua nascita nel XIII secolo, si sia talora lasciata tentare da acquisti che alla fine sono diventati parte integrante del discorso comune.
Dobbiamo prendere atto che, dalle sue origini, l’italiano ha accolto numerosi termini stranieri, prevalentemente francesi e inglesi, usandoli molte volte a sproposito nei dialoghi quotidiani.
La Treccani spiega che questo modo di parlare si chiama forestierismo e non ha nulla a che fare con l’esterofilia e tanto meno con la cultura. In linguistica, il termine è talvolta usato per indicare parole o espressioni di matrice straniera che più propriamente sono denominate prestiti integrali, siano essi non adattati come: charmant, jazz,top secret, caudillo, desaparecido, Zeitgeist, glasnost, o adattati alle strutture fonomorfologiche della lingua, ma non ancora completamente naturalizzati, tanto che conservano una connotazione o un certo carattere forestiero: menù, sciovinismo, dribblare, fiordo.
Forestierismi, dunque, distinti da quei prestiti ormai del tutto assimilati e acclimatati da secoli nell’italiano.
Oggi, certe parole riproducono il modello straniero con elementi presenti nella lingua, almeno superficialmente, e ormai non si differenziano più. Parole come: camionista, snobismo, sportivo, che non hanno alcun corrispettivo nella lingua di partenza (camionista in francese si dice camionneur o più spesso routier). Per non parlare dei nomi propri stranieri passati a nomi comuni solo nella lingua ricevente: montgomery, tipo di giaccone dal nome del generale inglese; mussolina, tipo di tessuto, dal nome della città irachena di Mosul; scotch, nastro adesivo, dal marchio Scotch-Tape, per non parlare del lemma francese recordman, nato dall’incrocio di record e sportsman, per indicare colui che in inglese si direbbe record holder. Per arrivare a quelle parole giunte in italiano decurtate della desinenza e scritte in forma abbreviata come dancing invece di dancing-hall; lift ivece di lift-boy.
Dal XVIII secolo, con il diffondersi dell’alfabetizzazione e di una sempre più estesa conoscenza delle lingue straniere, occasionata anche da scambi e rapporti fra nazioni, la trasmissione dei prestiti è avvenuta in situazioni di contatto culturale per via scritta. Tale condizione, insieme all’indebolimento delle capacità di assimilazione della lingua contemporanea, ha progressivamente accentuato la tendenza a mantenere i forestierismi nella loro originaria grafia e, specie a livello colto, a imitarne la pronuncia straniera.
Un tempo la scelta di usare una parola straniera era una moda: a inizio secolo si parlava alla francese e si italianizzavano tanti termini, come sandwich in “tramezzino”. Oggi siamo ormai invasi da parole straniere di origine inglese, anche se abbiamo in italiano delle parole con il medesimo significato.
Stiamo tutti diventando molto pigri: scegliamo le parole straniere perché sono più brevi, diciamo parking assistant invece che “sensori di posteggio”; webcam, invece di “telecamera per computer”; lo facciamo in maniera inconsapevole, ma così si rischia di perdere l’identità, la cultura e la tradizione che ci sono arrivate da secoli di Storia, molto prima del sommo poeta Dante Alighieri, padre della nostra lingua.
Oggi, ormai, non ci facciamo più caso, ma le parole inglesi sono tantissime e sempre più in aumento, anche se in italiano ne abbiamo di bellissime che esprimono lo stesso significato come:
Lockdown, confinamento; Green pass, certificazione verde; Partner, socio; Flyer, volantino; Nickname, soprannome; Like, piace; Feedback, opinione; Decoder, decodificatore; Font, carattere tipografico; Gossip,pettegolezzo; Random, casuale; Email, posta elettronica; Background, sfondo; Editor, redattore; Follower, emulatore; Fake, falso; Team, squadra/gruppo; Selfie, autoscatto; Default, impostazione predefinita; Backstage, dietro le quinte; Know-how, competenze; skills, abilità; Badge, tesserino personale; Location, posto/luogo; Gap, lacuna; Hall, ingresso; Intelligence, servizi segreti; Cash, contante; Outlet, spaccio aziendale; Preview, anteprima; Wireless, senza fili; Workshop, laboratorio, esperienza diretta, Part-time, a mezza giornata/interinale; Fan, tifoso/sostenitore; Self-control, autocontrollo; Check-up, visita di controllo; Designer, stilista; Merchandising, materiale promozionale; Stress, tensione; Nomination, candidatura; Fashion, moda; Mission, missione/obiettivo; Staff, personale; Shopping, acquisti; Store, negozio; Target, obiettivo/traguardo; Fitness, forma fisica; Gangster, criminale; News, notizie/novità; Deadline, scadenza; Relax, riposo; Report, resoconto; Problem-solving, capacità di risolvere problemi; Reception, segreteria/ricevimento; Sexy, sensuale, attraente; Test, prova/esame; Trend, tendenza/moda.
Come si vede l’uso dell’italiano è inquinato da tante parole straniere, ma ne conosciamo veramente il significato? Le sappiamo pronunciare o scrivere correttamente? Ma poi, siamo sicuri che il nostro interlocutore le comprenda? In inglese esistono parole dette “falsi amici”. Parole che somigliano incredibilmente a parole presenti in italiano, ma che non hanno lo stesso significato, quindi si traducono diversamente e molte persone le usano a vanvera, sbagliando.
Le più usate e comuni sono: Finally, che significa finalmente, e non alla fine, che invece si traduce con in the end. La parola library, non è la libreria ma la biblioteca, la libreria intesa come negozio è bookshop; invece il mobile si dice the bookshelf. Se diciamo Novel, la giusta traduzione è esattamente l’opposto di ciò che potrebbe sembrare in italiano. Infatti se novella corrisponde a racconto breve, novel è romanzo o racconto lungo. Novella in inglese si traduce con short tale o short story. A volte può essere non tradotto, rimanendo semplicemente “novella”. E lì il problema diventa degli inglesi!
Allora, se non siamo sicuri della parola e del rispettare quanto sopra esposto, andremo incontro a una brutta figura, usando un termine a sproposito. Molti per pigrizia e povertà di linguaggio passano direttamente a una emoticon!
Invece basterebbe poco. Con un solido vocabolario, si trovano cum grano salis le parole italiane o inglesi anche nel vecchio latino come il lemma inglese endorsement, che è una parola dalla etimologia complessa. Il verbo to endorse deriva dal latino contratto en(in)dossum e significa "firmare alle spalle, firmare dietro”, giunto in inghilterra con l’invasione dei Normanni.
Il concetto da quello della cambiale girata dietro, al sostegno politico di un candidato, è una dichiarazione di garanzia.
Peccato che alcuni abbiano usato l’orribile endorsare, e qualche fenomeno si è inventato l’ibrido sdorsement, per indicare in politica un plateale cambiamento di un appoggio dato precedentemente.
Con questo barbarismo concludiamo con la massima latina “O tempora o mores”, ma poi, rinsavendo, ci prendiamo la libertà di darvi un consiglio tra i migliori che abbiamo in saccoccia: «Ma perché non continuate a parlare come vi ha insegnato la mamma?».
Porgendovi, in via previa, le più accorate scuse.