Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Louis-Charles-Auguste Couder (1789 - 1873) - Inaugurazione degli Stati Generali, 5 maggio 1789

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La Rivoluzione Francese (3) - Gli Stati Generali

di Mauro Lanzi

 

La convocazione degli Stati Generali fu, di per se stessa una dichiarazione d’impotenza, da parte di un esecutivo ormai allo sbando.  Gli “Stati Generali”, infatti, erano un istituto medievale, una forma di esprimersi della nazione attraverso i tre ordini, clero, nobiltà e terzo stato, rappresentati ciascuno da un pari numero di delegati, ciascun ordine titolare di un voto, anche se il terzo stato significava il 98% della popolazione. Convocati per l’ultima volta nel 1614, erano l’immagine della società medievale, nella quale l’individuo isolato non esisteva, se non inquadrato in una qualche struttura, un feudo, una municipalità, una corporazione, il cui vertice era quasi automaticamente delegato a rappresentarlo.

Questo mondo, questa società non esistevano più, mentre la suggestione dell’esempio Americano proponeva, soprattutto alle frange più liberali, un approccio nuovo, un procedimento basato su di un processo elettivo. Un simile cambio di rotta avrebbe richiesto la guida di un politico esperto, non certo un Necker, un parvenu mediocre e vanitoso, un modesto contabile, sempre pronto a lusingare tutte le fazioni. Necker, nel tentativo di bilanciarsi tra liberali ed ultraconservatori, commise tutti gli errori che poteva: prima concesse il raddoppio dei delegati del Terzo Stato (da 250 a 500, poi estesi a 600) nella convinzione che le decisioni sarebbero state assunte, come in passato, per ordini, dove ogni ordine valeva un voto. Poi permise che ogni ordine organizzasse le proprie assemblee elettorali, senza osare imporre criteri o procedure: infine, e questo fu forse l’errore più grave, mancò anche di proporre un programma vincolante dei lavori degli Stati Generali, una volta riuniti.

 I risultati furono inattesi e devastanti; mentre nella nobiltà i giovani progressisti erano una minoranza, nel clero, per la prima volta, prese il sopravvento il basso clero, i curees, quelli più vicini al sentire del popolo. Ma gli effetti più profondi si verificarono nelle elezioni del Terzo Stato. Qui il processo passò, visti i numeri, per gradi successivi: le sezioni o le assemblee di base selezionavano ciascuna due delegati o “elettori” che, riuniti nel municipio, designavano, per passi successivi i delegati agli Stati Generali e redigevano i famosi “cahier des doleances. Il Re, nell’editto di convocazione, aveva infatti invitato tutti i francesi a cogliere questa occasione per presentare le loro lamentele al Re: per la prima volta nella storia, quindi, gli umili, gli esclusi, i diseredati si sentirono invitati a far giungere la propria voce fino al vertice; le loro lamentele erano affidate ai delegati, che le filtravano e le raccoglievano nei “Cahiers”, ne discutevano in assemblee che divennero vere e proprie palestre politiche, nelle quali si trattavano i problemi di ogni provincia o regione, si forgiavano idee e programmi, si creavano intese ed alleanze. I delegati che emersero da questo processo si sentirono genuinamente investiti del compito di rappresentare i problemi a loro affidati, si sentirono gli unici veri rappresentanti dei loro concittadini, i delegati della Nazione.

Proprio sull’importanza di questa delega implicita, data dalla designazione popolare, vorrei richiamare la vostra attenzione, convinto come sono che, in ”nuce”, una rivoluzione non sia che un trasferimento traumatico di deleghe: nell’Ancien Regime, il Re e la nobiltà feudale che lo affiancava erano i delegati naturali della Nazione,  coloro dai quali ci si aspettava la giusta soluzione di ogni problema (Stato di Giustizia).  Adesso (Stato di Finanza), Re e nobiltà sembrano incapaci di assolvere a questo compito; altri personaggi, ai quali la nazione, attraverso un processo elettivo, affida la propria delega, sono chiamati a rappresentare problemi e “doleance” del popolo; si era quindi creata, senza che alcuno se ne rendesse conto, accanto alla sovranità ufficiale, una nuova sovranità, alternativa a quella tradizionale, che si rivelerà, nel tempo, incompatibile con la prima.

Sarebbe però totalmente sbagliato attribuire ai delegati del terzo stato intenti rivoluzionari o sovversivi: erano convinti monarchici, tutte le riunioni si concludevano immancabilmente con acclamazioni al Re, a nessuno passava neppure per la testa di proporre l’abolizione della monarchia, istituto al quale tutti i francesi si sentivano sinceramente legati. Anche l’estrazione sociale parlava per loro; da un censimento effettuato dagli storici risulta che su 600 delegati, poco meno della metà, erano magistrati, cioè giudici di vari tribunali e di diverso livello; altri 200 erano avvocati di grido (il più scalcagnato, un avvocato di Arras, un certo Robespierre); infine c’erano dei possidenti terrieri, dei commercianti, qualche industriale: del “popolo”, dei futuri sanculotti, proprio nessuno!!!

Non erano quindi dei facinorosi, i delegati del Terzo Stato, ma erano sì persone imbevute della cultura dei Lumi, cultura che aveva profondamente modificato il loro sentire e la loro mentalità; Voltaire, Diderot, Rousseau  avevano posto sugli altari una nuova divinità, la Dea Ragione, avevano educato i loro lettori al rifiuto dei dogmi o delle verità rivelate, avevano restituito alla politica una sua dimensione ideale, separata dal pensiero religioso, passaggio essenziale nel processo democratico!! Questi delegati non erano uniti in un partito od in un movimento, non avevano capi riconosciuti, ma condividevano una base ideale comune, che contemplava eguaglianza fiscale, pari opportunità di accesso a tutte le carriere, civili e militari, eguaglianza davanti alla legge, separazione tra i poteri dello Stato, libertà di pensiero, opinione ed associazione, laicità dello stato. Avevano quindi in mente un modello politico preciso, che si proponevano di attuare, ed è questo il punto che differenzia una rivoluzione da una semplice rivolta. Superfluo sottolineare il debito che le democrazie moderne hanno nei confronti di queste persone e dei loro ideali.

Non degli sprovveduti, quindi, non delle teste calde, né dei nullatenenti, anzi personaggi che con l’Ancien Regime avevano acquisito posizioni assai confortevoli, a volte pari o anche più redditizie di quelle della nobiltà, da cui li dividevano ancora soltanto differenze di prestigio sociale e accesso al potere politico. D’altro canto è bene premettere che anche nelle fasi successive della Rivoluzione, quando si giunse a prendere decisioni in principio impreviste e sconvolgenti, come la condanna a morte dei sovrani o la proclamazione della Repubblica, la composizione delle Assemblee, anche la più estremista, la Convenzione, non mutò radicalmente; scomparvero la grande borghesia e quella frangia di nobiltà progressista che avevano avviato la Rivoluzione, ma il loro posto fu preso dalla media e piccola borghesia, i notabili di provincia, a volte gli arricchiti, tutti comunque abbienti preoccupati di salvare i loro beni, non certo il “popolo” o i nullatenenti; in buona sostanza, quindi, è bene comprendere che la Rivoluzione Francese, nel bene o nel male, negli aspetti positivi, come negli eccessi, la fecero i ricchi!! 

Gli iniziatori, i rentiers, la grande borghesia non compresero, nel loro generoso slancio ideale, che i loro obiettivi non erano compatibili con il regime esistente e con gli uomini che lo rappresentavano, il Re innanzitutto, e che la caduta di questo regime avrebbe infine comportato anche la perdita, per loro, di privilegi e di status sociale: non videro il futuro cui aprivano le porte.

Si va ormai verso la conclusione del dramma e, inevitabilmente, verso un drastico rivolgimento della struttura politica che aveva retto il Paese per secoli: vale la pena ripetere che, a questo esito clamoroso, si giunge inavvertitamente, senza che alcuno cercasse o macchinasse un cambiamento politico dello Stato. Partendo dallo scollamento esistente da tempo tra realtà economica e struttura politica del Paese, l’inadeguatezza dei vertici non favorisce o non consente un riequilibrio tra le classi sociali ed una progressiva evoluzione del modello politico. Poi, una crisi finanziaria male gestita fa precipitare la Nazione in una situazione prerivoluzionaria attraverso i passi successivi che abbiamo commentato: falsificazione dei bilanci, quindi perdita di credibilità, scandali, veri o presunti, quindi perdita d’immagine per il Potere, inettitudine politica, incapacità di mediare i conflitti tra le componenti dello Stato per risolvere la crisi finanziaria assicurando l’equità sociale del fisco, e quindi trasferimento della delega popolare ad altri soggetti.

 I passi successivi si susseguono inarrestabili, come scivolando su un piano inclinato: il 5   Maggio 1789 si tiene a Versailles (non a Parigi, il Re non voleva perdersi le sue cacce!)  la seduta inaugurale degli Stati Generali: il Re pronuncia un discorso debole e confuso, in cui cerca di indirizzare l'attenzione dei delegati sui problemi finanziari dello stato; a lui fa seguito Necker, con una arida esposizione di cifre. I delegati, del Terzo Stato in particolare, si chiedono a questo punto perché li abbiano fatti arrivare fin lì; non  danno retta ad allusioni e dati contabili, vanno al concreto, chiedono innanzitutto la cosiddetta verifica dei poteri, nella buona sostanza la definizione delle modalità di voto, per ordini o per teste: interessante la dizione " verifica dei poteri": i delegati non pensano di essere chiamati ad una consultazione, come era nel costume degli Stati Generali, ma di essere investiti di un potere derivante dalla scelta popolare, per cui si esigeva una valida modalità di voto. Non trovando una soddisfacente risposta da parte del governo o un sostanziale apporto da parte degli altri due Stati, il 17 Giugno il Terzo Stato si costituisce in Assemblea Nazionale, contando infine anche sull’adesione di numerosi rappresentanti del clero e di qualche nobile progressista.

Jacques Louis David (1748 - 1800) Giuramento della Pallacorda

 

Il Re finalmente apre gli occhi e si rende conto che, accettando al suo fianco un’assemblea espressione della volontà della nazione, avrebbe implicitamente abdicato alle prerogative ereditate dai suoi avi, avrebbe rinunciato al suo sacerdozio; reagisce il 19 sera con un “letto di giustizia”, cassa tutte le decisioni prese dai delegati, intima agli Stati di tornare a riunirsi separatamente; il giorno successivo fa trovare sbarrata la sala destinata alle riunioni. I delegati però non demordono e decidono di riunirsi in un altro ambiente, la sala detta della Pallacorda (che è poi l’antenata del nostro tennis): qui, il 20 Giugno, i delegati del Terzo Stato, cui si erano aggiunti alcuni rappresentanti del clero e della nobiltà, giurano di non separarsi, fino ad aver dato alla Francia una Costituzione (Giuramento della Pallacorda). Lo strappo così è consumato, dell'obbiettivo originale, cioè la soluzione di una crisi finanziaria non parla più nessuno e non se ne parlerà fino a settembre, quando la conversione dell'Assemblea Nazionale in Assemblea Costituente e l'approvazione della Carta dei Diritti dell'Uomo non avranno spazzato via quanto restava dell'Ancien Regime e svuotato di contenuti lo stesso istituto monarchico, che si avvia ad un rapido declino.

Per il momento il braccio di ferro continua; il Re cerca di far sgombrare la sala dai soldati, ma i pochi nobili presenti, sguainata la spada, fanno scudo ai delegati; ancora una volta, Luigi, che avrebbe volentieri fatto sciabolare i borghesi, arretra davanti ai suoi nobili!

A questo punto entra in gioco un nuovo protagonista, il popolo; l’eco del “letto di giustizia” era giunta a Parigi, dove quattrocento “elettori”, cioè i delegati di primo livello, i rappresentanti delle “sezioni”, si riuniscono spontaneamente per discutere delle trame della corte contro l’Assemblea nazionale; nessuna sommossa, però, si preparava contro il Re. Fu Luigi stesso a forzare la situazione, facendo affluire truppe nei dintorni di Parigi; poi, l’11 Luglio licenziò Necker e fu proprio questa mossa a far scoppiare i disordini nella città; strano destino quello di un mediocre contabile, di un banchiere di discutibile moralità, che assurge ora a simbolo della volontà di una nazione, che non era neppure la sua!!

A questo punto, se Luigi fosse montato a cavallo ed avesse preso il comando delle sue truppe, la situazione si sarebbe potuta ancora recuperare; ma il Re non aveva l’energia, né la statura dei suoi predecessori; delle inutili cariche di cavalleria contro dei dimostranti provocarono la rivolta della città; guidate dagli “elettori” le “sezioni” cominciarono ad armarsi.   

Il 14 Luglio di ogni anno, la festa nazionale francese celebra la presa della Bastiglia; all’epoca era un’antica prigione, ormai svuotata da prigionieri politici o comunque  pericolosi e presidiata solo da una modesta guarnigione, un edificio talmente privo di rilievo o di importanza, che, 40 giorni prima dell’evento, il Re aveva firmato, ironia della storia, il decreto della sua demolizione, per far posto ad una piazza! Un evento in sé così modesto assunse un’importanza determinante nel contesto dei fatti sopra narrati: i delegati dell’Assemblea Nazionale, isolati a Versailles, fatti oggetto di pressioni di ogni tipo da parte del governo, ora si rendono conto di non essere stati dimenticati o abbandonati, ma di avere dietro di sé l'appoggio della Nazione: diventano invincibili!

La sera del 14 Luglio il Re, durante il giorno, come al solito, assente, sordo e cieco agli eventi che incalzavano, si cambiava d’abito per la notte, aiutato dal gentiluomo di camera, Le Rochefocault, che gli veniva narrando i fatti della giornata: ad un certo punto, come in un soprassalto di lucidità, Luigi esclama: “Ma allora è una rivolta!!”

 “Non Monseigneur, est une Revolution”

Qualcuno aveva capito!!

 

Jean-Pierre Louis Laurent Houël (1735 - 1813) - Presa della Bastiglia

 

Inserito il:19/11/2024 12:12:11
Ultimo aggiornamento:19/11/2024 15:10:15
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