Nikolaj Astrup (Norvegia, 1880-1928) – Funeral Day in Jolster - 1908
La cuoca italiana - Ottava puntata - Addio Zia Pippa
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
- E’ morta la zia Pippa – aveva annunciato al telefono sua figlia.
- Oddio! – aveva esclamato lei con un singulto mentre le lacrime cominciavano a scorrere irrefrenabili.
- Mamma, non era neanche tua zia, aveva 94 anni, è morta dolcemente e senza dolori! Non piangere - aveva precipitosamente aggiunto.
Questa conversazione si era svolta all’inizio di quel mese di maggio così caldo e colorato, con le rose su tutti i cancelli del villaggio e gli uccelli che la mattina cantavano a squarciagola.
Era cominciata così la sua avventura italiana.
La signora Persi si era asciugata le lacrime che scendevano nonostante i rimbrotti della figlia e, poiché questo le impediva di parlare, dall’altra parte della cornetta la voce continuava a prodigarsi in rassicurazioni e parole consolatorie.
E’ vero la Zia Pippa non era neanche una vera zia.
Lo era divenuta come per adozione dopo che l’aveva conosciuta e amata nell’istante stesso in cui i loro occhi si erano incontrati.
Erano passati così tanti anni… lei era una bambina che, per una incredibile serie di circostanze, era stata affidata a una perfetta sconosciuta.
Le avevano fatto mille raccomandazioni/minacce che, insieme alla descrizione di quella signora, una gentildonna che non si era mai sposata, che aveva insegnato in collegi serissimi, che era severa e difficile, l’avevano spaventata al punto giusto.
Zia Pippa era veramente una gentildonna, vestita di nero con camicia dal colletto di pizzo bianco, come i capelli raccolti a crocchia, e un’aria così diversa da tutte le persone che aveva conosciuto.
Appena l’aveva incontrata aveva sorriso e guardandole bene gli occhi le aveva detto che li aveva belli, grandi e intelligenti.
Invece di sgridate, lavoretti, preghiere, compiti e altre cose noiose c’erano state solo lunghe giornate all’aperto senza impegni, né orari, né divieti.
Erano cominciate le vacanze più belle della sua vita, in mezzo ai prati e ai boschi e alle montagne, a far comunella con i bimbi del piccolo paese, portando le mucche al pascolo, cogliendo frutta dagli alberi, libera e felice come mai prima di allora.
- Insomma devi assolutamente venire al funerale! – questa frase che arrivava insistente dall’apparecchio la riportò di colpo alla realtà della cucina di casa Coldbridge (molti, molti anni dopo la sua più bella estate).
Rispose alla figlia che avrebbe chiesto un permesso, che le fu accordato senza problemi, e, poiché i suoi datori di lavoro si assentavano per una quindicina di giorni, poteva disporre dello stesso periodo per allungare il suo soggiorno in Italia.
Ritrovarsi nel piccolo paese che non visitava da anni, per una circostanza così penosa l’aveva molto commossa e abbattuta.
Tutti i ricordi lontani: emozioni, speranze, progetti, la se stessa di allora così diversa e ormai estranea, le erano corsi incontro sommergendola e sconvolgendola.
Rivide non solo antichi e amati luoghi, ma incontrò vecchi volti quasi dimenticati che le ricordarono giorni a cui non pensava più facendola struggere di nostalgia.
La morte di una persona amata è un dolore profondo che avvolge in un velo pesante e scuro tutte le ore delle prime giornate di lutto.
Ogni piccolo gesto, ogni compito, ogni pensiero è accompagnato da un’assenza per sempre.
Dopo l’accettazione di questo distacco, inevitabilmente, la mente guarda alla vita con altri occhi e nel sottofondo la presenza della morte sottolinea quella di tutte le inevitabili morti future, compresa la propria.
La signora Persi si scoprì a sospirare sul senso della vita molto più a lungo di quanto avrebbe voluto poiché credeva di avere liquidato, con la fine della giovinezza, questo genere di smarrimenti.
Pensava di avere accettato una volta per tutte la sua incapacità di trovare un punto fermo e di accontentarsi di amarla la vita, così come veniva, coraggiosamente e avidamente.
Mai più si sarebbe perduta in quei tormentosi labirinti mentali alla ricerca di certezze e assoluti che non trovava.
Aveva fatto suo un pensiero di Orazio in cui il poeta spiegava che nessuna saggezza ha la capacità di eliminare tanto peso negativo; contro le angosce e il dolore della vita si può soltanto ingaggiare una lotta virile – che richiede energia e conosce qualche eroismo – per trasformare l’inquietudine e l’amarezza della vita in accettazione del destino.
Tuttavia questo brusco tornare alla sua fanciullezza e la morte della zia, l’avevano provata ben più dei rovesci di fortuna che aveva subito.
Per fortuna c’era sua figlia che l’aveva accompagnata e sostenuta.
Non era abituata a questa inversione di ruoli e, anche se era grata e commossa per quelle attenzioni, si era sentita vecchia e inutile.
Le fu consegnata una lettera della zia Pippa, una lettera molto tenera e affettuosa in cui la vecchia signora la ringraziava dell’affetto ricevuto e le comunicava di averle lasciato la sua casa.
- Mi ha lasciato la casa! – aveva comunicato alla figlia, che comprese subito di che cosa si trattava.
Infatti la casa della zia Pippa era piccola e magnifica come quella delle bambole. Si trovava in cima al paese, quasi al limitare del bosco.
- Io lo immaginavo mamma – confessò sua figlia - la zia Pippa mi aveva telefonato circa un mese fa. Cercava te, ma non riusciva a comunicare. Le ho spiegato il come e il perché. Le è spiaciuto che tu non le avessi confidato i tuoi problemi poi però ha aggiunto che capiva il tuo riserbo, sapendo quanto sei orgogliosa, e che avrebbe cercato di fare qualcosa per te.
Mi ha tanto pregato di non dirti nulla, neppure che aveva telefonato.
“- Sono ormai tanto stanca e avrei voluto salutarla prima di andarmene – ha mormorato – ma l’ho sentita a Natale, al telefono, anche se non sapevo che fosse tanto lontana. Lasciala in pace, mi raccomando e abbracciala da parte mia quando la vedi. –“
Dopo queste rivelazioni la signora Persi aveva ricominciato a piangere come una bambina.
La figlia l’aveva consolata e confortata e infine le aveva fatto un regalo magnifico.
Per tirarle su il morale le aveva offerto una vacanza in un centro termale, specifico per le malattie respiratorie e in particolare per la sinusite di cui lei soffriva.
Così si era ritrovata a Tabiano, un paese che aveva sentito spesso nominare come “la città del respiro”, ma che non conosceva affatto.
Rimase incantata dal luogo sommerso dal verde, un giardino silenzioso, curato in ogni suo angolo, con ampi spazi, larghe strade ordinate, molti alberghi, silenziosi e ben tenuti, un po’ deserto forse, per la bassa stagione, ma senza avere l’aria desolata dei luoghi di vacanza senza villeggianti.
Soggiornava all’ Albergo delle Fonti, a pochi passi dalle terme, dove si recava ogni mattina.
Da subito si era sentita come a casa, una casa accogliente, pulita, semplice, dove mangiare era un vero piacere e un divertimento.
La cuoca, la signora Laura, era la mamma, una fantastica ottantenne, agile, carina, sempre sorridente, che guidava meglio di lei e soprattutto cucinava con fantasia e tanta cura.
Per la signora Persi trovarsi “dall’altra parte del tavolo” fu un’esperienza molto rilassante e piacevole.
La simpatia della persone che la circondavano, il riposo, il buon cibo le riportarono serenità e salute.
Pensare alla zia Pippa, al passato, all’infanzia e certo, anche alla morte, divenne più dolce e meno doloroso.
Facendo la valigia per il suo ritorno era ormai pronta per riprendere “la lotta virile” di cui parlava Orazio, ritrovandosi calma, forte, saggia.
La bravissima cuoca dell’albergo le offrì, alla fine del soggiorno, due ricette buonissime che la signora Persi si portò a Londra e preparò con entusiasmo.