Riscoprire Ada Negri
di Gianluca Ferrando
In questo tempo di ritiro forzato si possono riscoprire scrittori e poeti che si erano dimenticati.
Ada Negri è certamente una delle più grandi poetesse Italiane del Novecento. Eppure a scuola non se ne fa menzione e se io non l’avessi conosciuta tramite le citazioni di un prete brianzolo forse anche oggi non saprei chi sia.
Fuori da ogni circuito di proposte letterarie dei maitre à penser di oggi, Ada Negri ebbe una carriera sfolgorante ad inizio del Novecento, arrivando a disputarsi il Nobel con Grazia Deledda nel 1913. Ma la furia dell’antifascismo a tutti i costi del dopoguerra la ha accomunata agli intellettuali del regime decretandone l’oblio.
Ho assistito il mese scorso, proprio in occasione del 150esimo anniversario della sua nascita avvenuta il 3 Febbraio 1870, ad un bellissimo spettacolo di lettura delle sue poesia inframezzate da arie di soprano sempre da lei scritte con le musiche al pianoforte scritte da Ottorino Respighi. L’ha proposto il Centro Culturale di Milano (www.centroculturaledimilano.it) in una della tante preziose proposte del suo programma.
E’ straordinaria la potenza espressiva dei testi di Ada Negri, così intrisi di vita e di desiderio, di dolore e speranza. Come per esempio in questa struggente poesia sull’attesa di maternità, vissuta sulla sua carne:
Il dono
Il dono eccelso che di giorno in giorno
e d'anno in anno da te attesi, o vita
(e per esso, lo sai, mi fu dolcezza
anche il pianto), non venne: ancor non venne.
Ad ogni alba che spunta io dico: "È oggi":
ad ogni giorno che tramonta io dico:
"Sarà domani". Scorre intanto il fiume
del mio sangue vermiglio alla sua foce:
e forse il dono che puoi darmi, il solo
che valga, o vita, è questo sangue: questo
fluir segreto nelle vene, e battere
dei polsi, e luce aver dagli occhi; e amarti
unicamente perché sei la vita.
In Ada Negri c’è un sentimento assoluto della vita come sacrificio: la legge del vivere è intrisa di una fatica da offrire per la grandezza del Mistero. E lei ha tale coscienza di ciò che lo chiede a chi vuole amarla:
Hai lavorato
Dunque tu m'ami. Hai confessato; or, trepido,
Taci ed attendi, e ti scolora il viso
Un'onda di pallor.
Vuoi dal mio labbro un bacio ed un sorriso.
Vuoi di mia fresca giovinezza il fior!...
Ma dimmi: L'ansie, le battaglie e gl'impeti
Sai tu d'un ideal che mai non langue?
Sai tu che sia soffrir?...
Che ti val la tua forza ed il tuo sangue,
L'anima tua, la mente, il tuo respir?...
Hai lavorato?... Le virili insonnie
De la notte in severe opre vegliata,
Di', non conosci tu?...
A qual fede o vessillo hai consacrata
La tua florida e bella gioventù?...
Non mi rispondi.... oh, vattene. Fra gli ozî
Lieti di sonnolente ore perdute
Torna, vitello d'ôr.
Torna fra balli, carte e prostitute;
Io non vendo i miei baci ed il mio cor.
Oh, se tu fossi affaticato e lacero,
Ma coll'orgoglio del lavoro in faccia,
E una scintilla in sen;
Se stanche avessi l'operose braccia,
Ma t'ardesse nel grande occhio un balen;
Se tu fossi plebeo, ma sovra gli uomini
Cui preme e sfibra il vile ozio codardo
Ergessi il capo altier,
E nel tuo vasto cerebro gagliardo
Avvampasse la febbre del pensier,
Io t'amerei, sì!... T'amerei per l'opre
Tue vigorose e la tua vita onesta.
Pel sacro tuo lavor;
Sovra il tuo petto chinerei la testa.
Forte di stima e pallida d'amor!...
Ma tu chi sei?... Da me che speri, o debole
Schiavo languente fra dorato lezzo?
Sgombrami il passo, e va.
Non m'importa di te—va—ti disprezzo,
Fiacco liberto d'una fiacca età!...
Ma come nella prima poesia insieme alla sua durezza per la coscienza del dramma della vita, ecco sbocciare il senso della grandezza della vita. Questa è una delle poesie che mi sono più piaciute:
Atto d’amore
Non seppi dirTi quant'io t'amo, Dio
nel quale credo, Dio che sei la vita
vivente, e quella già vissuta e quella
ch'é da viver più oltre i confini
dei mondi, e dove non esiste il tempo.
Non seppi; - ma a Te nulla occulto resta
di ciò che tace nel profondo. Ogni atto
di vita, in me, fu amore. Ed io credetti
fosse per l'uomo, o l'opera, o la patria
terrena, o i nati del mio saldo ceppo,
o i fior, le piante, i frutti che dal sole
hanno sostanza, nutrimento e luce;
ma fu amor di Te, che in ogni cosa
e creatura sei presente. Ed ora
che ad uno ad uno caddero al mio fianco
i compagni di strada, e più sommesse
si fan le voci della terra, il Tuo
volto rifulge di splendor più forte,
e la Tua voce è cantico di gloria.
Or - Dio che sempre amai - t'amo sapendo
d'amarTi; e ineffabile certezza
che tutto fu giustizia, anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male, tutto
per me Tu fosti e sei, mi fai tremante
d'una gioia più grande della morte.
Resta con me, poi che la sera scende
sulla mia casa con misericordia
d'ombra e di stelle. Ch'io Ti porga, al desco
umile, il poco pane e l'acqua pura
della mia povertà. Resta Tu solo
accanto a me Tua serva; e nel silenzio
degli esseri, il mio cuore oda Te solo.
Ma voglio concludere con la poesia che ogni volta che la leggo mi commuove fino alle lacrime:
Mia giovinezza
Non t'ho perduta. Sei rimasta, in fondo
all'essere. Sei tu, ma un'altra sei:
senza fronda nè fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un'altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno, entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un'età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice.
O giovinezza senza tempo, o sempre
rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quand'è spento il sole.