Aggiornato al 21/12/2024

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Voltaire

 

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La Rivoluzione Francese (6) - L’Assemblea legislativa

di Mauro Lanzi

Come visto nel precedente articolo, l’Assemblea Costituente aveva terminato i suoi lavori il 30 settembre 1791, dopo aver dato alla Francia una Costituzione.

Secondo questa Costituzione, il nuovo organismo che avrebbe dovuto proseguire il lavoro della Costituente, l’Assemblea Legislativa, si riunisce primo ottobre 1791; in extremis, su proposta di Robespierre, la Costituente aveva deliberato l’ineleggibilità dei propri membri. Doveva essere una manifestazione di disinteresse, fu un errore capitale, perché tolse dalla scena i protagonisti della prima ora, quelli che avevano maggiore familiarità con la politica ed i problemi del paese.

I nuovi delegati all’Assemblea, visto il sistema censitario adottato per l’elezione, risultarono in maggioranza rappresentanti della media borghesia, commercianti, artigiani, piccoli possidenti: gli interessi che difendevano, erano quelli della loro classe di provenienza, la loro principale preoccupazione in quel momento era economica, legata alla svalutazione dell’assegnato, che ostacolava le loro attività e gli scambi con l’estero. Un gruppo particolarmente folto e combattivo di delegati proveniva dalla zona di Bordeaux, dal dipartimento della Gironda; sotto la guida di due personaggi, un ex giornalista, Brissot ed un nobile passato all’opposizione, il ci-devant marchese di Condorcet, che era stato anche un illustre illuminista (a destra) vennero a costituire una fazione compatta ed influente, nota con il nome di “Girondini”. I Girondini non disponevano di un proprio Club, molti di loro frequentavano

i Giacobini, dove però non arrivarono mai ad assumere una leadership; il loro focus politico erano i salotti, come quello di Madame Roland, moglie di un ministro girondino, e soprattutto quello di madame De Stael, al secolo Germaine Necker, figlia del ministro di Luigi XVI; Germaine De Stael fu l’ispiratrice della politica francese in diverse circostanze, fino a che Napoleone non ne dispose l’esilio; Germaine continuò la sua attività come scrittrice in Svizzera.

 

Nella Legislativa i Girondini rappresentavano, per così dire, la sinistra, mentre i Foglianti, più numerosi, rappresentavano la nobiltà progressista e la grande borghesia ed erano più vicini alla Corte.

L’inverno tra il ’91 ed il ’92 fu caratterizzato da disordini diffusi; la rivolta a Santo Domingo aveva fatto sparire dalla circolazione le merci coloniali, in particolare zucchero e caffè e questo causava il malcontento dei ceti mercantili che vivevano di questi commerci, ma molto più gravi furono i disordini legati al prezzo del grano, che lievitava in continuazione per la svalutazione dell’assegnato; in parecchie province si verificarono assalti ai convogli di grano, il calmiere invocato come soluzione veniva violato dai commercianti che si esponevano a ritorsioni, una situazione esplosiva. Brissot ed i Girondini erano convinti che i disordini e la svalutazione dell’assegnato dipendessero in primo luogo dalle disposizioni delle potenze straniere e dalle minacce degli emigrati; era quindi necessario obbligare i re stranieri a riconoscere la Rivoluzione e a disperdere gli emigrati, sopprimendo le loro trame: il tutto, in ultima analisi, anche con la guerra, che Brissot stimava facile e vittoriosa, i popoli di tutta Europa si sarebbero sollevati per accogliere gli ideali della Rivoluzione: all’interno, poi, bisognava colpire i complici degli emigrati, sopra tutti i preti refrattari. 

Appena pronunciata, la parola guerra attirò attenzione ed interesse da diversi settori; oltre ai Girondini che pensavano che la guerra li portasse al potere, si erano schierati in favore i seguaci di Lafayette, che essendo tutti ex militari, vedevano nella guerra l’opportunità di tornare in primo piano. Poi c’era la Corte: i Reali avevano mantenuto un atteggiamento prudente dopo la fuga a Varenne, nel timore di perdere il trono; scampato il pericolo, avevano ripreso ad agitarsi, Maria Antonietta tempestava di lettere il fratello, imperatore d’Austria, Luigi era giunto a supplicare il Re di Prussia, entrambi manovravano con i loro emissari per spingere l’Assemblea alla decisione fatidica.

Sorprendentemente, l’unico a dichiararsi contrario alla guerra fu Robespierre; Robespierre è stato a più riprese tacciato di estremismo e sicuramente si comportò come tale in tante circostanze, ma per ben altri motivi; in questo caso vide con lucidità le trame in corso e gli interessi di bassa lega che rischiavano di portare alla rovina la Rivoluzione e la Francia; vedeva l’esercito senza ufficiali e senza armi, le piazzeforti sguarnite, i battaglioni incompleti, non riponeva alcuna fiducia nell’insurrezione dei popoli stranieri (“I missionari armati non sono bene accolti”). La diffidenza di Robespierre infine si rafforzò quando il Re pose il veto ad un decreto dell’Assemblea che colpiva gli emigrati, cui doveva essere confiscata ogni proprietà ed i preti refrattari che dovevano essere rimossi; in questo modo la Corte favoriva l’estendersi dei disordini, indeboliva il paese, la spinta verso la guerra aveva secondi scopi. Tutto vero, ma i seguaci di Robespierre erano in minoranza.

Ormai si scivolava su di un piano inclinato; con una serie di decreti successivi, l’Assemblea prima intimava ai principi tedeschi di sciogliere gli assembramenti di emigrati, poi esigeva da Leopoldo d’Austria la sconfessione formale della dichiarazione di Pillnitz; sul primo punto ebbe soddisfazione, al secondo Leopoldo neppure rispose, strinse anzi i vincoli di alleanza con la Prussia. Leopoldo morì improvvisamente il 1° Marzo; gli succedette Francesco II, più giovane e incline a soluzioni militari, deciso comunque a farla finita; tutte le note da Parigi vennero seccamente respinte, ci si preparava al conflitto.

Ma la guerra non fu dichiarata dalle potenze europee; il 20 Aprile Luigi XVI si presentò all’Assemblea proponendo la guerra all’imperatore d’Austria; la proposta fu votata a larga maggioranza.

 

La guerra. Gli inizi

Difficile immaginare una guerra più inutile e pretestuosa; la Francia non era minacciata ai confini, il modesto pericolo costituito dagli emigrati era stato messo a tacere, non c’erano rivendicazioni territoriali da nessuna parte, l’esportazione degli ideali della Rivoluzione era solo una pericolosa chimera; come spesso accaduto, la guerra serviva solo a coprire difficoltà interne, era una manovra politica. Ma proprio questa guerra annienterà quelli che l’avevano voluta.

Chi aveva tratto un sicuro vantaggio dalla dichiarazione di guerra erano Brissot e i Girondini, che poco prima avevano costretto Luigi a licenziare i ministri Foglianti, per sostituirli con dei Girondini; avevano quindi conquistato il potere; ora, per conservarlo dovevano vincere la guerra.  La Francia disponeva in quel momento di una larga superiorità numerica rispetto al nemico 100.000 uomini contro 35-40000 austriaci; una rapida offensiva avrebbe dovuto fruttare almeno la conquista del Belgio. Ma i generali, Lafayette, Rochambeau, Luckner che in precedenza si erano enfaticamente espressi in favore della apertura delle ostilità divennero improvvisamente prudenti, dopo alcune timide avanzate richiamarono le loro truppe, poi il 18 maggio in una riunione congiunta, sospesero le operazioni, segnalando al governo che qualunque offensiva era impossibile; tacciarono anche i loro soldati di vigliaccheria (lo faranno anche altri generali sconfitti!!).

La comunicazione dei generali sollevò a Parigi un’ondata di sdegno; i Girondini tentarono invano di convincerli a riprendere l’attacco, ma vista la loro reticenza conclusero che dietro i generali c’era la corte, in particolare un comitato austriaco che faceva capo a Maria Antonietta e a quanto restava del partito Fogliante; fecero allora votare dall’Assemblea tre disposizioni, la prima contro i preti refrattari, la seconda per la costituzione a Parigi di un campo trincerato di 20000 “Federati”, cioè volontari provenienti dalle province, la terza per lo scioglimento del corpo di guardia reale. Il Re rifiutò di controfirmare i decreti; i Girondini, allora, per esercitare pressione sulla Corte, organizzarono una manifestazione popolare per il 20 giugno, anniversario del Giuramento della Pallacorda; una folla immensa si riversò davanti alle Tuilieries per protestare contro l’inazione dei generali, che sapeva di tradimento, e contro il veto reale ai decreti. Luigi, affacciato al vano di una finestra con la Regina ed il Delfino, con un berretto frigio in testa, brindò alla Francia ed alla Rivoluzione, esponendosi con calmo coraggio alle intemperanze della folla, ma rifiutò di ritirare il veto ai decreti.  A quella giornata assisteva un giovane ufficiale, Napoleone Bonaparte che ad un certo momento confidò ad un amico: “Fossi io al suo posto (del Re) saprei bene come spazzare questa marmaglia”: lo dimostrerà coi fatti!

Intanto la situazione militare precipitava; approfittando dell’inazione dei comandanti francesi l’esercito prussiano aveva completato la mobilitazione e si era portato sul confine del Reno; la guerra entrava in territorio francese. In questa situazione di emergenza Brissot e Robespierre dimenticarono la loro rivalità, il 28 giugno lanciarono insieme un appello all’unità nazionale; si promossero misure urgenti per gli armamenti, l’adunata dei Federati fu autorizzata aggirando il veto reale, fu reclamata la destituzione di Lafayette, si formarono nuovi battaglioni di volontari.

L’11 Luglio l’Assemblea proclamò la patria in pericolo.

 

La caduta del trono

Il dramma stava per avviarsi al suo fatale epilogo; l’intesa tra Robespierre e i Girondini non poteva durare a lungo: Robespierre andava battendo i quartieri di Parigi, arringava i federati, chiedeva a gran voce la deposizione del Re e la proclamazione della Repubblica; i Girondini non potevano prestarsi a  questa deriva intesa a distruggere le fondamenta della costituzione e tentano un ravvicinamento alla monarchia; Luigi licenzia il suo ultimo gabinetto Fogliante e richiama al governo i Girondini.

Su questa situazione, di per sé esplosiva, piomba il risultato dell’ultima sciagurata iniziativa di Maria Antonietta che da tempo tempestava i sovrani coalizzati per ottenere un nuovo proclama capace di intimorire i giacobini; il peggio fu che il proclama fu emanato non da un politico, ma da un militare, il duca di Brunswick (a sinistra), comandante in capo degli eserciti alleati: l’infelice testo del proclama minacciava di “passare per le armi le guardie nazionali e di mettere a ferro e a fuoco Parigi se i reali non fossero stati rimessi subito in libertà”; benzina sul fuoco, i reali avevano firmato la loro condanna!!

La gravità della situazione spinse allora Lafayette, che non navigava neanche lui in buone acque, ad intervenire; trasferite truppe nei dintorni di Parigi, il 15 luglio propose a Luigi XVI di farlo fuggire dalla città sotto la protezione dei suoi soldati. Luigi rifiutò: da un lato temeva divenire ostaggio del generale, dall’altro contava sul rinnovato appoggio dei Girondini; contava anche sulla corruzione, la Corte aveva distribuito somme ingenti per guadagnarsi l’appoggio di grossi calibri della politica, tra cui lo stesso Danton, la coppia reale si sentiva sicura, pensava non ci fosse nulla da temere da chi si lasciava corrompere; altro grave errore di valutazione!!

Robespierre, visto il ravvicinamento dei Girondini alla Corte, raddoppia i suoi sforzi; ora non basta più la destituzione del Re, si richiede lo scioglimento dell’Assemblea Legislativa e l’elezione di un nuovo consesso, la Convenzione, con la partecipazione al voto di tutti i cittadini, attivi e passivi.  Robespierre quindi non vuole neppure più trattare con i delegati, parla solo con il popolo, il Comune di Parigi. Il movimento è ormai lanciato, niente lo può arrestare; le sezioni siedono in continuazione, si forma un comitato centrale che coordina le iniziative ed infine, nella notte tra il 9 ed il 10 Agosto, invita i Federati ad unirsi al popolo.

La mattina del 10 Agosto le campane a martello chiamano a raccolta i faubourg, una folla immane si dirige verso le Tuileries; il Re disponeva ancora di un nutrito corpo di guardia che schiera a difesa della reggia; poi lo passa in rivista di prima mattina; se ai soldati si fosse presentato un sovrano a cavallo, in alta uniforme, sicuro di sé e del suo rango, gli uomini si sarebbero battuti con altro coraggio; davanti alla truppa invece compare un Re a piedi, in veste da camera, con atteggiamento dimesso; ma questo era Luigi XVI!!

 L’ultimo errore poi Luigi lo compie dopo i primi scontri: perde la testa e si trasferisce con la famiglia al Maneggio, poco distante, per porsi sotto la protezione dell’Assemblea. Saputo della fuga del Re i soldati si sbandano, resistono solo gli Svizzeri ed i gentiluomini, che saranno massacrati fino all’ultimo. 

Assalto alle Tuileries

L’Assemblea seguiva con inquietudine l’andamento degli scontri; finché le sorti furono in equilibrio trattò Luigi come Re, quando apparve chiaro che l’insurrezione era prevalsa, cambiò di colpo atteggiamento. votò la sospensione del Re e la convocazione di quella Convenzione richiesta da Robespierre. Il Re e la sua famiglia furono tradotti al Tempio, l’antica fortezza dei cavalieri Templari, ora una cupa prigione.

Trionfava Robespierre con il trono non solo crollava il partito Fogliante, cioè l’alta borghesia e la nobiltà liberale che avevano avviato la Rivoluzione, ma gli stessi Girondini, che avevano cercato in extremis l’intesa col Re ed avevano tentato di impedire l’insurrezione, uscivano sminuiti dalla vicenda.

Soprattutto il dramma stava per travolgere non solo la monarchia, ma anche la persona del Re.

La prigione di Luigi XVI: il Tempio

 

Inserito il:16/12/2024 16:24:09
Ultimo aggiornamento:16/12/2024 17:26:55
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