Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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I Fratelli Grimm e la Corte degli Incantesimi

di Alessandra Tucci

 

Che sarebbero stati segnalati era questione di tempo. Al Tribunale incantato delle anime belle e addormentate per la precisione. In piedi entrambi, Fratelli Grimm, entra la Corte degli Incantesimi, che tacciano tutti.

- Lor signori, ci dicano: cosa dunque potete sostenere sul vostro ardire?

- Di grazia, vostra grazia, aiutateci a comprendere cosa voi avete a pretendere.

- Nostra grazia è sua maestà. Di grazia è la persona sua regale che semmai tratta e concede.

Eccola sua maestà in persona, sta lì in prima fila, un filo d’angoscia per quel principe azzurro che si ritrova sul groppone a peso morto. Macigno più che filo da quando se ne va a fare il romantico a cavallo di questo tempo fosco brulicante di micetti che si credono leopardi e tutti scavano dentro l’umano per portarlo allo scoperto come se l’oscurantismo fosse mai davvero stato sconfitto.

- Vostro onore, la grazia è di sapere di cosa ci accusate.

- Lasciate stare l’onore, quello è di chi non spreca la vita a giudicare l’altrui operare.

- Perdonate, signor giudice.

Eh.

- Silenzio in aula!

Nell’aula in realtà non vola un fiato nell’attesa di sapere quale dado verrà da altri tratto. Tanto per cambiare.

- Procedete pure.

I bambini fremono sotto lo sguardo vigile delle maestre, già che non si sono alzati in piedi sincronicamente a battere le mani quando sua maestà ha fatto la sua comparsata le ha fatte rabbuiare, eppure tutte le mattine stanno lì ad insegnare a fare la fila per tre, risponder sempre di sì e comportarsi da persona civile.

- Signor giudice, perdonate, noi scriviamo solo fiabe per bambini.

Jacob, è lui, il maggiore dei fratelli.

- Fiabe, appunto. Fiabe e non favole. Vi rendete conto della gravità della questione?

- Gravità, signor giudice?

- Gravità, signori. In Cenerentola manca tutto quanto sia richiesto perché sia chiaro che ogni sogno è un desiderio che va espresso confidando in un qualche genio che compaia ad esaudirlo.

Sua maestà annuisce, imparruccato e ancora più impettito. Il posto riservato a quell’appendice di un romantico che si ritrova come figlio è vuoto, lui sconsolato.

- Consentiteci di dissentire, signor giudice, nella fiaba ci siamo premurati di metter tutti gli elementi disposti: la raccomandazione alla bambina di essere perbene che vuol dire remissiva e docile, le angherie delle sorellastre a ricordare che non bisogna mai fidarsi delle persone a noi vicine, il desiderio della giovane di tentare l’epifanico riscatto indetto a corte col sorteggio al gran ballo, la perfidia della matrigna che le impone prove impossibili per impedirle di offuscare le sue figlie.

- Vedete da voi, dunque: contro ogni indicazione, avete sottoposto Cenerentola a compiti impossibili che sono iniziazioni per risvegliare in ella facoltà e doti che la portano a pensare di poter prendere le redini della propria sorte. Comprendete bene la pericolosità di codesta inaccettabile illusione.

- Ma finanche Apuleio fa sì che la dea Venere richieda all’umana Psiche di affrontare prove al di là del possibile per poter riavere Amore, non vediamo ragione di non rendere omaggio a quel gran narratore.

- Avete ragione ma solo in parte, Psiche non riesce di per sé, cede alla tentazione di non seguire alcuna raccomandazione superiore e cade nel sonno di Persefone dal quale la risveglierà solo il bacio di Amore. Vedete quanto dal racconto che voi offrite tutto ciò diverge?

- Perdonate, signor giudice, si tratta solo di una piccola variazione nel copione, il pubblico sa essere inclemente se narriamo loro sempre le stesse storie e voi sapete bene che la Bella Addormentata e Biancaneve già sono state scritte.

Il pubblico lì in sala a dirla tutta si trattiene a stento, quei due sono gli unici che si prendono la briga di raccontare storie vere in questo mondo capovolto che chiamano adulto ma è solo addormentato.

- Non sono ammesse variazioni sul tema generale che vadano a ledere la salute della gente, quanto al ripetere sempre le stesse storie, quelle edificanti e sane, è un bene: questa è l’arte dell’insegnare.

- La salute della gente, signor giudice? E la tutela è nel farla incastrare in una sola narrazione di delegazione e autocommiserazione? Ma questo paralizza e fa ammalare.

- Quella mentale, signori, per tutelare la quale serve rigore. Che si racconti ai bambini che si possano affrontare e superare, senza avere alcuna parte né leva sociale, prove impossibili senza il filantropico intervento di una forza superiore è fuori discussione. Le menti dei più giovani devono esser rigorosamente disciplinate, di certo non illuse.

- Non leggete che in realtà sono le colombelle a svolgere i compiti che per Cenerentola sarebbe stato impossibile portare a compimento da sola in breve tempo? Ella si limita a chiedere con animo aperto e certo di ottenere. Tutti gli uccelli del cielo arrivano a darle aiuto: cosa abbiamo scritto di tanto inaccettabile lì dove mostriamo che la vera forza è nella cooperazione dell’intera creazione?

Vostra grazia sua maestà il sire si agita sul trampolo che gli hanno messo a mo’ di trono sotto il sedere, questa storia della cooperazione armonizzante va assolutamente regolata, è lui che lo decide cosa è giusto e cosa sbagliato pure nell’unione anzi a maggior ragione, lui e tutto quel nugolo di fanfaroni che c’ha al seguito e mai che riescano a stringere la trama della rete come si deve così da separare le persone lasciando però in piedi l’illusione dell’unione universale.

- Voi dite che la fanciulla si limita a chiedere con animo aperto e certo di ottenere e con ciò sconfinate in un terreno che non vi appartiene. La preghiera è faccenda di Chiesa, Merlino è altra cosa, maneggiarla non è questione vostra né a me compete. Questa è la Corte degli Incantesimi, non la Corte dei Miracoli!

Ah. Bene che l’abbia precisato.

- Non c’è Merlino in questa nostra fiaba, signor giudice. E non vediamo in cosa possa nuocere il credere di avere in sé il potere di creare, è una narrazione, è solo immaginare.

- Quindi, lo confermate: voi esortate a non confidare in maghi e fate per ottenere quel che si vuole, bensì a credere che in ciascuno risiede il potere di immaginare che poi è creare. Signori, non v’è chi non veda quanto ciò sia tutt’altro che privo di conseguenze.

No, infatti. Sua maestà e seguito in particolare lo vedono benissimo. Anche i bambini a voler essere completi, ma loro già lo sanno che possono diventare quel che vogliono, è un gioco. E non serve neanche uno sforzo di immaginazione, nel mondo c’è tutto, è magico. Proprio non lo capiscono perché gli adulti abbiano lo sguardo sempre basso frettoloso rabbuiato, perché guardano senza vedere quando loro gli indicano un qualche miracolo, stanno dappertutto. Crescere significa perdere vista e visione?

- Non abbiamo ritenuto necessario incomodare neanche la fata, signor giudice, è corretto. Cenerentola aveva già gli uccellini e il rametto di nocciolo chiesto in dono al padre. Le è bastato piantarlo, le sue lacrime l’hanno annaffiato, non vi sembra che per i bambini sia anche un buono stimolo bucolico?

- Il rametto non è la bacchetta magica.

- Ma è come se lo fosse, signor giudice, manifesta il potere della cura: se si dà attenzione a ciò che si ha nel cuore si riceve in dono amore che è l’unica energia capace di creare. Cenerentola si è presa cura del ramoscello di nocciolo e al momento giusto le è bastato chiedere ad esso perché apparisse l’abito, il più sfarzoso. Vedete l’incanto? A che serve dunque l’incantesimo di un altro?

- Orbene, facciamo il punto: una fanciulla docile e perbene, anziché affidarsi alla speranza di un qualche essere benevolo e superiore a risolverle la vita, decide di prendere in mano il proprio destino chiedendo quel che vuole e vedendolo apparire. E sposa il principe. Bididibodidibù, immagino.

- Immaginate male, signor giudice, nessuno nella fiaba pronuncia questa formula.

- Bene, manca anche la formula magica. È tempo di decidere.

E che la decisione sia la censura assoluta, su questo il re non transige. Non si è mai visto in nessun regno che un eccelso qualunque creda di poter creare il proprio destino con un pezzo di legno e senza intercessione regale, e lui che ce l’ha a fare lo scettro?

- Considerato, dunque, che non compare neanche un mago a compiere l’incantesimo.

- Ma cosa c’è di magico nell’attendere che sia un altro a giocare il nostro gioco?

- Considerato, altresì, che non vi è traccia di una magica bacchetta che un filantropo benevolo si premuri poi di usare per premiare l’anima perbene e ubbidiente.

- Il ramo di nocciolo, signor giudice, ve l’abbiamo appena detto.

- Considerato, infine, che non vi è alcuna formula magica.

- C’è. L’intera fiaba lo è.

- Ritenuto, ordunque, che vi è una sostanziale distinzione tra una favola e una fiaba, ossia la prima reca in sé la somma morale che ogni anima perbene può sperare in una forza filantropica ed esterna che intervenga a premiare un onorevole sopportare sacrifici e lacrime. Quanto alla fiaba, la sua forza è assai eversiva, essa dice di sorridere e avviare il proprio esistere senza fare affidamento in un qualche salvatore.

- È quanto dice anche l’esimio Goethe, signor giudice: quando l’uomo si muove, la Provvidenza lo segue.

- Questa è la Corte degli incantesimi, non quella dei poeti per di più romantici, e questa Corte ha norme ferree: ogni fiaba va sottoposta a revisione per il bene della gente perché non cada mai nell’illusione di puntare su di sé per attivare il vivere, questo è impossibile.

- Siete in errore, signor giudice, non c’è illusione nel proiettare fuori quel che i bambini hanno ben chiaro dentro, che tutto è possibile per la nostra mente, è questo l’educare, è portare alla luce il potenziale personale, quello che noi adulti tendiamo a conformare alle regole mondane sopprimendo quel che dentro abbiamo di diverso e rinchiudendoci in un carcere mentale di dogmi e di paure mentre l’istinto a vivere e creare, che poi è l’amore, lo iberniamo nell’attesa di un qualche salvatore mosso a compassione. È questo che vogliamo, lasciare in loro il segno dei nostri limiti che come burattini abbiamo reso dogmi, vogliamo insegnare ai bambini a rimpicciolire il proprio essere fino poi a farlo sparire dentro l’omologazione, quella perbene?

A parlare questa volta è stato Wilhelm, il minore dei fratelli, mentre il principe azzurro avanzava incespicando nel mantello. Anzi che è comparso, ora al re gli prende un colpo.

- Voi dite, Signori Grimm, che questo regno umano è un carcere.

- Mentale, principe, ed è asfissiante per le anime.

- La vita, lo sapete, è un percorso accidentato, recintarlo è un provvedimento doverosamente preso per il bene collettivo.

- Ogni percorso infausto può essere gestito con l’equilibrio, maestà.

- Sociale, signori Grimm?

- Immaginifico e spirituale innanzitutto, vostra grazia.

- L’equilibrio si perde di continuo, l’impossibile crea vertigine. Guardate Don Chisciotte.

- E dunque si addormenta ogni persona raccontandole la favola che se abdica da sé prima o dopo arriva qualcuno che la risveglia alla vita?

- Le favole sono scritte appositamente per far addormentare, conoscete un modo migliore del dormire e sognare un futuro più felice mentre tutto è lacrime e rinunce?

- Ricordare che si può sempre scegliere, maestà.

- Il rischio di assumersi la responsabilità del proprio essere?

- La fiaba. Che è la dignità di trovare dentro sé il senso autentico del proprio vivere.

- Già, ma è facile fallire.

- A prescindere dal risultato, sire. Si tratta di vivere il presente, è esso l’occasione.

Sua maestà senior prende appunti, deve assolutamente farsi quattro chiacchiere con quel Goethe che se ne va ad aprire i recinti alle sue pecore, pure con suo figlio che non si è minimamente accorto del plateale coming out appena fatto sulle favole che raccontano ogni giorno alla gente. Sua maestà junior nel frattempo prende fiato per emettere il verdetto.

- Che dunque sia così deciso. Sia resa ufficiale la favola di Cenerentola che ha in sé la fata e la bacchetta magica e che in essa l’inerzia dell’eroe venga chiamata resilienza. Quanto alla fiaba, sarà solo per chi vorrà cercarla. Se essa vuol mostrare il potere che ha ogni umano di creare ciò che vuole, che sia un percorso autentico di iniziazione e ciò richiede il chiaro intento di andare oltre una narrazione facile e generale. Nessuna censura, dunque, ma resterà celata a chi si ferma alla versione della storia propagandata e si accontenta senza andare oltre.

Adesso a prendere appunti è il signor giudice, mai che sia lui a decidere quanto poi deve firmare. Non che gli dispiaccia salvare la versione fiabesca di Cenerentola, gli darebbe lui il bacio a quel principe azzurro anche solo per aver servito al re lo scacco matto inserendo il senso autentico del vivere in un forziere a prova di inerzia e di inganno, ma manca la formula magica, almeno quella!

- Un’ultima cosa, signori. Avete fatto cenno ad una qualche formula magica presente nella fiaba, ma essa non si rinviene in nessuna riga.

- È nell’intera storia, maestà, in ogni suo vocabolo, questo mondo è tutto narrazione.

- Con le parole dunque creo la realtà che voglio.

- Abracadabra, sire.

 

Inserito il:21/12/2024 08:33:34
Ultimo aggiornamento:21/12/2024 15:13:44
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