Alfredo Rodriguez (Tepic, Nayarit, Mexico, 1954 - ) - Night Time Stories
Ex libris – William Shakespeare
di Andrea Tittarelli
Le classificazioni, si sa, sono sempre incomplete.
C’è sempre qualcosa che sfugge, qualche elemento che non rientra in alcuna categoria precedentemente definita, che richiede un ampliamento o un aggiornamento dei criteri di classificazione.
Nel mio precedente scritto sulle tipologie di libri, almeno due categorie, mi sono poi reso conto, sono rimaste escluse.
La prima è quella dei libri che vengono definiti “per bambini” oppure, nel tentativo forse di alzare un poco l’asticella anagrafica, “per ragazzi”.
Il primo approccio con l’entità “libro” avviene quasi per tutti con questa categoria. E di solito sono libri che altri – i genitori, i nonni, i fratelli maggiori, gli insegnanti – hanno letto per noi, quando ancora non ci era stata fornita la chiave di accesso allo straordinario mistero dell’alfabeto, delle lettere, delle parole. O quando eravamo ancora sufficientemente piccoli perché qualcuno comunque ce li leggesse, magari la sera come viatico per affrontare l’aldilà del sonno e del sogno.
Io non sono ovviamente in grado di ricordare i primi libri che mi sono stati letti nell’infanzia. Ricordo invece in modo nitido quelli che mio padre leggeva a me e mia sorella (qualche pagina ogni sera, seduto sull’orlo di uno dei nostri letti) quando eravamo nel periodo della scuola elementare.
Due titoli su tutti mi sono rimasti nella memoria e nel cuore: Il richiamo della foresta di Jack London e I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár. Anche se ricordo che ciascuno ci sia stato letto una sola volta, io e mia sorella li avevamo imparati quasi a memoria, e di giorno col nostro serraglio di pupazzi ripetevamo le gesta dei personaggi, o ne inventavamo di nuove.
Molto probabilmente – anzi, ne sono certo – il mio smodato entusiasmo per i libri e per la lettura ha le sue radici proprio in quelle letture serali di mio padre. è quindi colpa sua se ho preso questo vizio… Ma è senza dubbio una delle cose per cui gli sono più grato, anche se lui preferirebbe forse essere riuscito a trasmettermi altre sue passioni.
E il bello dei libri per ragazzi – che non reputo affatto una categoria minore: ci sono autentici capolavori, talmente numerosi e alcuni così famosi che non è il caso di citare dei titoli – è che vanno bene per qualunque età, anche se da adulti ci si vergognerebbe a farsi scoprire mentre se ne legge uno per conto proprio. Per fortuna, se la vita ti regala dei figli, non restano relegati al mondo fantastico della propria infanzia, ma c’è una seconda possibilità per avere la scusa di leggerli e – cosa ancora più bella – di poterli leggere ad alta voce, con qualcuno che ascolta e pende dalle tue labbra. Se vuoi farti ascoltare dai figli, prova a leggere loro un libro: funziona molto meglio di qualsiasi discorso, predica, raccomandazione.
E siccome il mio secondo figlio ha ora iniziato la scuola primaria, insieme alla commozione e all’orgoglio che pervadono il genitore quando sente mettere insieme le prime sillabe e poi le prime parole, vengo anche un po’ assalito dal timore che tra poco, ormai, non avrà più bisogno di me per entrare nel meraviglioso universo racchiuso tra le pagine di un libro.
Se sarò così fortunato da poter diventare un giorno anche nonno, forse mi sarà offerta una terza opportunità…
La seconda categoria che era rimasta esclusa è quella dei libri di teatro.
E' già di per sé affascinante il fatto che tali testi possano diventare copioni da mettere in scena, quando la lettura diviene studio del personaggio a cui cercare di dare voce, gesti, vita.
Ma un testo teatrale ha delle peculiarità che ne rendono speciale, anche se forse più faticosa, la semplice lettura.
Mentre per un romanzo o un racconto la fantasia del lettore lavora infatti ad un singolo livello, ovvero quello che consente di immaginare i personaggi, i paesaggi e gli ambienti che vengono descritti, con un testo teatrale i livelli diventano due.
Il primo è quello che fa vedere gli attori che recitano, che si muovono sulla scena, immaginando di essere seduto in platea. Ma essendo il teatro a sua volta una rappresentazione della realtà, il secondo livello della fantasia, durante la lettura, cerca appunto di farti vedere, naturalmente con maggiore sforzo e minore efficacia rispetto alla visione di uno spettacolo, i personaggi “reali” invece degli attori, e il castello di Elsinore o le strade di Verona al posto delle quinte e del fondale.
Non so quanto sia riuscito a farmi capire: meglio aprire un testo teatrale e tentare personalmente questo gioco straordinario, questa sorta di lettura “stereofonica”.
E per concludere questa lunga – ma spero non eccessivamente noiosa – dissertazione, ecco come di consueto una poesia, che stavolta non è ispirata da un unico libro, ma dall’intera opera (o almeno quella da me conosciuta) di colui che per me (ma credo di essere in buona e numerosa compagnia) rappresenta la quintessenza della drammaturgia.
WILLIAM SHAKESPEARE
We are such stuff as dreams are made on; and our little life is rounded with a sleep.
Siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; e la nostra piccola vita è cinta di sonno.
(La tempesta, IV, I, 156-158)
Non mi importa sapere
se fosse uomo oppure donna
se fosse omosessuale
cattolico o protestante
se avesse sangue italiano
nell’inchiostro delle vene
se fosse uno oppure molti
o magari nessuno
Ciò che vorrei vedere
sono i sogni di Mercuzio
la paura di Banquo,
è se Ofelia e Cordelia
siano sorelle nella follia
nell’ultimo sorriso.
Ciò che vorrei avere
è la voce di Iago
mentre sussurra: il fazzoletto,
la risata di Oberon
in una notte di mezza estate