Sujit Giram (India, Contemporary) - Memory
Guarisce chi vuole (10)
di Cesare Verlucca
(seguito)
Quando la memoria dura a lungo
A distanza di tanti anni, mi stupisco come testi mandati a memoria un’ottantina di anni fa, possano tornare alla mente ancora oggi; mentre azioni accadute pochi minuti or sono scompaiano, come non fossero mai esistite.
Per mia cultura, (ma non per insegnarla ad altri, non potendo in alcun modo formulare suggerimenti per migliorare la situazione), sono andato a cercare ragione là dove si trova ciò che si vuole (e più non dimandare…), e ho preso atto che la memoria è un magazzino all’interno del quale l’individuo può conservare tracce della propria esperienza passata, a cui attingere per riuscire ad affrontare situazioni di vita presente e futura. È noto che esistono una memoria a breve termine, e una a lungo termine, e chissà quante altre destinate ad altri incarichi
La memoria a breve termine contiene le informazioni per una decina di secondi. Dopo questo periodo, la traccia decade e, se queste informazioni non sono state trasferite nel magazzino a lungo termine, ovviamente spariscono. La memoria a lungo termine è un archivio avente capacità quasi illimitata, dove sono conservate tutte le esperienze e le conoscenze acquisite nel corso della vita e quelle che corrispondono al proprio carattere o temperamento.
Da giovane era tutto più facile: durante la guerra, mi chiudevo nel fienile e studiavo poche ore per mandare a mente un canto al giorno della Divina Commedia.
E sono arrivato fino a metà del Purgatorio, quando una Valentina vera e disponibile aveva prevalso su una Beatrice dantesca, dalla quale non avevo, purtroppo, niente da aspettare.
Tornerei volentieri a quel tempo, non foss’altro che per farmi insegnare a trovare il cellulare che ho utilizzato pochi minuti fa. Dopo averlo deposto chissà dove, l’ho cercato dappertutto per mezz’ora: dalla mia scrivania, al bagno e persino nella camera da letto per trovarlo il mattino successivo sulla mia scrivania. Io continuo a pensare che i folletti esistano, e si divertano un mondo a farci scherzi praticamente idioti. Comunque, è una situazione che farebbe ridere, se non facesse incavolare di brutto anche solo a raccontarlo. Un esempio.
Mia figlia mi chiede di andare nella stanza di sopra a prendere qualcosa. Io, che sono per natura persona che ha piacere di fare piacere, salgo; ma quando arrivo a destino non ricordo assolutamente cosa debba cercare. La stanza è un locale, non un anfiteatro, ed io mi guardo attorno sperando che l’occhio incroci un oggetto che assomigli a quello per cui sono salito; ma, dopo avere girato a lungo a vuoto, scendo scornato, chiedendole di ripetermi di cosa si trattasse.
Lei, che è al corrente dei miei limiti, non fa una piega, e mi ridice l’oggetto, citando le stesse parole della richiesta di dianzi, e senza sbuffare. Torno nella stanza, e l’oggetto in questione è la prima cosa che vedo.
Questo, per quanto riguarda la mia dimenticanza. E non ho di che compiacermi.
Cosa succede invece riferendosi alla mia ricordanza?
Mi càpita spesso che al mattino, quando mi sveglio, mi venga in mente l’incipit di una poesia, di quelle che ho studiato a memoria nella lontana gioventù.
Chiariamo subito che nessuno s’è mai sognato di chiedermi di passare giornate intere a leggere e a mandare a memoria brani lunghissimi, che riempivano le mie giornate, in assenza di meglio: eravamo in piena guerra, e al paesello non c’erano molti diversivi altrimenti.
Ma tornando alle mattine attuali, quando m’arrivano all’improvviso l’inizio di vecchie poesie, che so, di Dante… (Amor, ch’a nullo amato amar perdona…); di Manzoni (Ei fu. Siccome immobile…); di Carducci (L’albero a cui tendevi la pargoletta mano…), io mi diverto a proseguire a mio incomparabile conforto.
Ho notato che è soprattutto recitando il Canto antico di Carducci, che il risveglio si fa più sereno: non chiedetemi perché questo avvenga, in quanto non ne ho la più pallida idea. Anzi dirò che, a ben riflettere, mi suona strano che la mia memoria preferisca un brano triste, di un poeta che piange il figlio morto e conclude la poesia in modo tristissimo: Sei ne la terra fredda, / sei ne la terra negra / né il sol più ti rallegra / né ti risveglia amor.
Non riesco invece a capire quello che succede ai nomi di luoghi, oggetti, date, e persino di amici, che svaniscono all’estremo confin del mar, come il fil di fumo di Cio Cio San, facendoti fare figure barbine, e totalmente a gratis.
Quando non mi vengono le parole, cerco delle parafrasi, per tentare di farmi capire: un’ambulanza diventa una macchina con la sirena che trasporta i feriti; la patente si trasforma in una tessera; il nome di una libreria, diventa il negozio dove lavora la signora che suona nel Gruppo Pifferi e Tamburi di Ivrea, e così via.
Sono situazioni che esistono da quando l’umanità ha iniziato a vivere fino alla tarda età. Ricordo una divertente serata tra amici, alla fine del secolo scorso. Era con noi Mario Soldati, scrittore, giornalista, saggista, regista, sceneggiatore e autore televisivo, che aveva più o meno la mia età attuale, e non riusciva a ricordare come si chiamasse una cittadina che aveva due nomi; era situata in una regione, ma portava un pezzo di nome della regione accanto. Stavamo bevendo e ridendo, ma abbiamo discusso a lungo prima d’arrivare a… Novi Ligure.
Ma, tornando all’attualità, non parliamo di quando mi accade d’incontrare qualcuno che non vedo da tempo, e quello mi saluta per nome e mi chiede notizie del lavoro, della famiglia e via informandosi. Come faccio a chiedergli: «Chi sei?». Al massimo gli rispondo gentilmente, gli fornisco i dati richiesti e lo tratto con tutta l’amicizia possibile, facendolo parlare del suo lavoro per riportarlo possibilmente ai tempi in cui ci frequentavamo, in modo che il suo nome venga fuori da solo.
Avete per caso notizie sul come uscire dall’impasse? Se sì, e me lo comunicate, offrirò volentieri un aperitivo con doppia, e magari anche tripla, ciliegina…