Nour Nasser, aka nourish (Alexandria, Egypt) – Sky full of Stars
Di recente vincitore di un Concorso Letterario, indetto dall'ANLA Toscana, che prevedeva l'incipit obbligatorio "...quindi uscimmo a riveder le stelle!"
“...e uscimmo a riveder le stelle..."
di Margherita Barsimi
Con questo verso, pieno di speranza e di poesia, la maestra della sesta elementare ci aveva lasciati alla fine di giugno; nessuno poteva sapere se ci saremmo rivisti un altr’anno, perché quella era una classe “supplementare”, voluta a gran voce dalle nostre mamme, preoccupate di vederci o per le strade a bighellonare o precocemente avviati al lavoro.
Iniziava, per tutti, la quinta estate di guerra, per noi, la prima dall’occupazione nazista, da quando cioè, nel nostro piccolo paese erano arrivati dei soldati che non parlavano la nostra lingua, che avevano occupato le case e le ville più belle, per trasformarle in caserme, in posti di controllo, o in prigioni ...
Fino a quel momento, a Ponte San Martino la guerra era stata una realtà lontana, un “fatto” riguardante i giovani di leva che partivano verso destinazioni sconosciute, non in Italia ... La mia generazione, d’altronde, era cresciuta in un clima “militarizzato”, fin dalle scuole elementari, il sabato mattina, anziché andare in classe, s’andava al campo sportivo, ribattezzato “di Marte” (nessuno però ci aveva spiegato che fosse il dio greco della guerra!), dove istruttori paramilitari facevano marciare i maschietti come soldatini, tutti vestiti allo stesso modo, mentre noi bambine, scoprivamo che le gonne potevano anche diventare “pantalone”, più adatte agli esercizi “ginnici”...
Da quando il Duce era passato tra due ali di folla osannante, tra archi di trionfo e ghirlande multicolori per andare a inaugurare la Provincia di Aosta, i pochi scettici rimasti avevano deciso di tenere per sé i tanti dubbi che li tormentavano; sola, la maestra Margherita, aveva continuato a praticare una sua contro-propaganda, che guardava ai grandi letterati e ai filosofi del passato; i suoi prediletti erano Manzoni e Dante: del primo ci aveva fatto imparare a memoria l’ode scritta in occasione della morte di Napoleone, il “5 maggio” (del 1821); del secondo, ci aveva spiegato la meravigliosa, fantastica, architettura della Commedia e qualche verso, tra quelli che più sembravano avere significato alla luce dei fatti contemporanei ...
Mi aveva colpito il particolare e raffinato escamotage per cui tutte e tre le cantiche terminavano con la parola “stelle”, anche perché noi, dovendo rientrare in casa prima del buio, per via del coprifuoco, le stelle non potevamo più ammirarle.
A essere sincera, il 10 agosto, festa di san Lorenzo, patrono del nostro paese, con altre tre coetanee, avevamo combinato di uscire di soppiatto, ciascuna dalla propria casa, per ritrovarci ai piedi del ponte romano e da lì, protette dalla sua sagoma imponente, cercare di cogliere al volo ... qualche stella cadente!
L'impresa riuscì, nessuno si accorse della nostra fuga notturna e io vinsi la scommessa, perché riuscii a scorgere ben tre scie luminose!
Il 23 agosto, verso le 17, con le stesse amiche, ci eravamo ritrovate nella via sottostante il borgo medievale, sorto attorno al ponte, si sognava ad occhi aperti di partire, per andare lontano ... All’improvviso un rombo mai sentito prima ci tramortì, prima che riuscissimo a renderci conto di che cosa succedeva, senza nemmeno riuscire a parlarci, a cercare un riparo qualsiasi, fummo travolte da una massa di pietre, di travi e di oggetti di uso quotidiano ...
Prima furono urla di paura, poi pianti di disperazione, infine tutto fu silenzio: io mi trovai, sola, in un anfratto su cui una trave aveva fermato il crollo dei muri delle case che si erano accartocciate su se stesse ... Dopo un tempo infinito, cominciai a sentire delle voci, dai concitati scambi di battute capii che là fuori, qualcuno stava cercando chi, come me, era rimasto sepolto sotto le macerie delle case del Ghet..
Intorno a me non avevo spazio per muovermi, il buio assoluto mi feriva gli occhi, lacrime copiose e non controllabili mi alleviavano dalla polvere che m’ impediva di respirare... Non ero in grado di dire quanto tempo fosse trascorso dal momento del rombo, pur sconvolta, poco alla volta, dentro di me si fece largo l’idea che dovevano essere stati degli aerei, arrivati da chissà dove a bombardare le nostre case. Ma perché mai?
Ero sola, vicino a me non sentivo il respiro di nessun altro: ma com’era possibile? In quel momento mi ricordai che a casa avevo lasciato il papà e la mamma: che cosa era successo a loro? E il mio fratellino, impegnato in una partita a pallone con gli amici, nel breve spazio aperto della piazza, da qualcuno sarà stato soccorso?
Dopo un tempo che non potevo calcolare, un boato sordo mi fece temere di dover ripetere l’esperienza vissuta, ma nulla si mosse intorno, sopra e sotto di me, in compenso dal ticchettio capii che stava piovendo, e alcune stille mi arrivarono sul capo, aprii la bocca e riuscii così a alleviare la secchezza che mi bruciava fin in gola...
Mi rassegnai, dopo aver cercato invano di urlare per richiamare l’attenzione: pensai di aver perso la voce e con lei ogni speranza, mi abbandonai al destino, senza più gridare, senza cercare di rimuovere le macerie che mi bloccavano, caddi in uno stato di torpore che mi permise di non impazzire per la paura e per l’angoscia.
Passò un tempo che mi parve infinito, quando ad un certo punto, mi sentii sollevare da due braccia gentili, che mi estrassero dalla vacuità in cui ero caduta e che mi portarono all’aperto.
Tra i sussurri di stupore di chi si chinava per verificare che respirassi e le esclamazioni di chi aggiornava il conto dei superstiti, con gli occhi sigillati, mi resi conto che mi consideravano una miracolata, senza pensare che io potessi capire, mi misero in condizione di realizzare la tragedia che aveva sconvolto il paese: tra le centinaia di vittime, erano morti anche i miei genitori, il mio fratellino e le mie amiche ... Pensai di essere morta anch’io. L’unico modo per capire la verità era aprire a forza gli occhi e guardare in faccia la realtà.
Nel buio assoluto, alla luce delle stelle, mi resi conto che il paese era stato cancellato, con le sue case, le sue botteghe e trecento dei suoi abitanti, quello che si era miracolosamente salvato era il Ponte Romano da dove solo qualche giorno prima, mentre cercavo di vedere una stella cadente, io mi ero ripetuta come in un mantra: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.