Pierre-Edouard Frère (1819-1886) – La Petite Cuisinière – 1858 ca
Il pranzo della domenica
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
La sera della domenica venivo invariabilmente presa da uno spiacevole sentimento di intensa malinconia…. Probabilmente per il giorno di festa che finiva.
Il grande Giacomo lo conosceva così bene da scriverne un’indimenticabile poesia anzi due (La sera del dì di festa e Il sabato del villaggio) che trattano con struggente bellezza anche dello stato d’animo di cui parlo.
Una buona parte della tristezza dipendeva dalle mie aspettative deluse: quel giorno di riposo/festa era stato caricato di “grandi speranze” normalmente tutte disattese, dopodiché ci voleva un’altra lunga settimana prima di riprovare a sperare.
Ho scoperto con gli anni che non avere aspettative è una saggia decisione: nessuna disillusione, ma, spesso, gradite sorprese.
Di quel tempo ricordo il mento che mi pesava sul petto mentre ripassavo le lezioni per il giorno dopo e il groppo alla gola che mi stringeva senza un motivo palese, ma prodotto da un serpeggiare di incomprensibili sensazioni.
C’era un'unica consolazione alla desolazione della domenica sera ed era la cena.
Non si mangiava molto bene a casa mia: chi si occupava del cibo durante la settimana, lo faceva con fatica e noia e con occhi di riguardo più al fegato e al borsellino che al gusto.
Tuttavia mio padre era un cuoco appassionato e fantasioso e lo è stato fino alla fine dei suoi giorni inventandosi spesso dolci e torte a volte perfino bizzarri, specie negli ultimi tempi della sua vita: è morto a 101 anni.
Ad ogni visita di figli o nipoti c’era sempre una sua torta inventata ed era così felice delle sue creazioni che mentre la mangiavi ti spiegava quale particolare sostanza speciale ci aveva aggiunto.
La domenica con entusiasmo si metteva un bel grembiule bianco a coprire i pantaloni grigi, cacciava tutti dalla cucina e ci preparava pranzo e cena.
A quel tempo avrei fatto carte false per entrare nelle grazie di mio padre per cui mi proposi come aiutante.
Ero veramente molto, molto giovane…….
Mi sono guadagnata il posto di assistente il giorno in cui chiese alle mie sorelle se qualcuna fosse disposta ad imparare a disossare un pollo: ci fu un disgustato rifiuto generale e fu così che mi feci avanti io con molto orgoglio dicendo che a me non faceva né impressione né ribrezzo.
Come lui infilai un grembiule che mi arrivava ai piedi e assistetti compunta ed entusiasta alle spiegazioni.
Il fatto che arrivati all’estrazione di cuore e fegato (i famosi maghetti marchigiani) chiedessi dove era il posto in cui avrebbe dovuto trovarsi “l’anima” dell’animale la dice lunga sulla mia età.
Mio padre non si scandalizzò ma ricordo che mi tenne una lunga concione sul fatto che gli animali non avessero anima, cosa che mi lasciò comunque assorta e perplessa.
Un piccolo avallamento, una conca, un segno ..... ricordo di averlo cercato nelle preparazioni dei polli che seguirono per ancora parecchio tempo.
Comunque da quelle lezioni di cucina fatte per accattivarmi l’affetto di mio padre, nacque in me la gioia e il piacere di cucinare, anzi di inventare ricette, di “creare” qualcosa di buono e di bello.
Cucinare è ancora davvero un grande piacere, un divertimento, un gioco intenso e interessante purché io possa seguire l’estro del momento, ascoltando il suggerimento delle mie papille gustative e seguendo il desiderio di creare qualcosa che faccia piacere e se possibile, sia anche piacevole per gli occhi.
I pasti domenicali seguivano invariabilmente lo stesso menù: a pranzo pasta asciutta con il ragù e i “maghetti”, vitello o pollo arrosto con patate e a cena minestra di riso, patate e prezzemolo seguita da carne lessata coperta di olive tritate e contornata da carote bollite.
Mi piaceva quel cibo cucinato con cura e passione e la mia ritrosia per la tavola si trasformava finalmente in buon appetito.
Pensando di fare cosa gradita mi permetto di trascrivere qui di seguito la ricetta del bollito di mio padre, semplice e buono, a mio giudizio.
Lesso di papà
Dosi per 4 persone:
600 gr. di carne per bollito (cappello del prete o fusello o, magatello se lo si desidera magrissimo)
quattro carote medie
tre coste di sedano
una cipolla bianca
200g di olive verdi sott’olio
un bel ciuffo di prezzemolo
un bicchiere di vino bianco secco
sale q.b.
Preparazione
Fare cuocere la carne coperta di acqua fredda, in un recipiente dal fondo pesante, poiché ci vuole almeno 1 h, a meno che si usi la pentola a pressione. In questo caso il tempo si riduce della metà.
Nell’acqua si aggiungono subito il bicchiere di vino bianco, che sia un buon vino, le carote, la cipolla, il sedano ben lavato e pulito e il sale per il quale ci si regola secondo i gusti.
Controllare che la carne sia sempre coperta di acqua e aggiungerne appena si consuma.
Il brodo ottenuto servirà per la minestra di riso, patate e prezzemolo.
Una volta cotta la carne, la si fa raffreddare e poi la si taglia in fette non troppo alte che vengono disposte sul piatto di portata.
Tritare grossolanamente le olive e il prezzemolo.
Coprire la carne con il trito; tagliare le carote a rondelline e disporle intorno alla carne.
Versare un filo d’olio sul tutto e servire tiepido.