Yuri Pysar (Ivano-Frankivsk, Ukraine) - Soul
Guarisce chi vuole (5)
di Cesare Verlucca
(seguito)
Le allucinazioni
Ritornando a quelle tre settimane di soggiorno nell’Ospedale civico di Ivrea, tra i ricordi che non si cancelleranno mai, primeggiano le notti popolate di allucinazioni, con i muri che sventolavano come lenzuola al vento, e dall’angolo in alto a sinistra partiva una coppia coperta di mussolina bianca che, avanzando serena verso di me, prima di raggiungermi si trasformava in un grande cespuglio di fiori, bianchi essi pure.
Quando sono rientrato a casa e ho narrato le mie vicissitudini, qualcuno ha cominciato a prospettare un’esperienza di premorte, di cui la letteratura è piena, basandosi su racconti di morituri che asseriscono d’essere arrivati nell’aldilà e di esserne tornati indietro.
Secondo un’indagine che non so più dove andare a pescare, circa il 4 per cento della popolazione occidentale ha sperimentato questo tipo di esperienze, e alcuni di questi le interpretano come la prova dell’esistenza sia di un’anima in grado di rendersi autonoma, sia di un aldilà verso il quale quest’anima cerca di dirigersi.
Capita di ascoltare racconti, come quelli emersi durante una conferenza a Genova del cardiologo olandese Pim van Lommel, famoso per le sue ricerche sulle esperienze ai confini della morte. Lo scienziato parla di una coscienza non locale in grado di sopravvivere al corpo e, soprattutto, di viaggiare separatamente rispetto al cervello, spiegando come nascita e morte siano due stati di passaggio di questa coscienza. In sostanza, secondo van Lommel, la coscienza non è prodotta dal cervello e, per lui, è perciò fuori di dubbio che esista una continuità di coscienza anche dopo la morte.
Io tengo onestamente a precisare che nell’aldilà non mi risulta di esserci stato (e, se ci fossi arrivato, quasi sicuramente non sarei ritornato solo per raccontarlo…).
Confermo altresì a cuor leggero che le due persone che mi venivano incontro avevano un’aria benevola e sorridente, procurandomi serenità e non timore. Essendomi apparse a parecchie riprese le riconoscevo appena si affacciavano, ma non hanno mai accennato a rivolgermi la parola; mentre è certo che il grande mazzo di fiori bianchi, in cui ogni volta si trasformavano, veniva ad adagiarsi come uno zefiro sul mio viso e la visione scompariva.
Pensandoci a bocce ferme, ritengo che mi avrebbe fatto piacere se i due esseri, che hanno popolato alcune delle mie notti brave, fossero stati angeli accompagnatori, inviati per portarmi in paradiso, ma a prescindere che non avevano le ali, non mi hanno mai fatto il minimo cenno di riaccompagnarli a casa.
Premorte sì, dunque, o premorte no?
La vasta letteratura su analoghe esperienze asserisce che queste supposte “visite” avvengono quasi sempre in condizioni di coma o di arresto cardiaco, spesso in conseguenza di gravi traumi o in presenza di malattie terminali: non ero e non sono malato terminale, almeno spero, ma coma, arresto cardiaco e vari traumi erano presenti alla grande.
Stando invece alle spiegazioni scientifiche, che sono andato a cercare nella letteratura ad hoc, queste esperienze non sarebbero altro che normali processi neurofisiologici e psicologici, dovuti all’assunzione di farmaci, alla presenza di un trauma cerebrale, a forti variazioni della pressione sanguigna e persino a strani meccanismi psicologici di autoconsolazione. Su tutto concordo, meno che sulla consolazione, autoprodotta o ricevuta: non ero né contento né triste; a pensarci adesso, ero un essere neutro affidato alle cure di signore vestite di bianco, che non badavano ai miei lamenti quando mi giravano nel letto per ragioni di pulizia intima, e le mie tre costole rotte gridavano pietà a tutti gli dei di un Olimpo lontano e distratto.
Sempre riferendomi a quell’infausto periodo, c’era invece una cosa che mi spaventava alquanto, ed era quando avevo l’impressione che il mio letto si drizzasse sul muro: io ero convinto di trovarmi in posizione verticale e temevo di cadere dall’alto andandomi a sfracellare sul pavimento che vedevo sotto di me e che nulla aveva perso della sua geometria.
E non solo, perché una volta che qualcuno aveva posato una bottiglietta d’acqua minerale sul comodino a fianco del letto, io vedevo la bottiglia sporgere ortogonalmente dal muro e, dopo uno spavento iniziale, mi tranquillizzavo pensando che, essendo di plastica, anche fosse caduta non si sarebbe rotta.
Scorgevo anche sulla parete di fronte al letto figure di Papi e mi divertivo a elencarli. Mia figlia, accanto a me, si divertiva di meno, essendo molto preoccupata. Mi ha raccontato che, anche in quelle condizioni di incoscienza, continuavo a parlare di lavoro, volevo il computer per preparare presentazioni che non erano assolutamente previste.
Ma altre allucinazioni mi aggredivano, che mi sconvolgono ancora adesso e sulle quali non riesco neppure a soffermarmi a distanza di tempo, né riesco a descriverle pur rivivendole nei dettagli: persone dell’ospedale che vedevo giornalmente, medici ma soprattutto infermiere che, accompagnati da persone sconosciute, volevano assoggettarmi a non so che gioco, che doveva essere molto sgradevole se cercavo disperatamente di cancellarli dalla mente.
Ricordo che una notte avevo chiesto a uno di quei personaggi che conoscevo benissimo, essendo un amico di famiglia, di prendere il mio cellulare dal cassetto e fare il numero di mia figlia, e lui aveva accondisceso senza fare commenti. A lei avevo chiesto se dovessi seguire le istruzioni che il personaggio mi stava dando, e lei mi aveva detto di sì, ma la sua voce era triste e mi sembrava stranamente amareggiata.
Ancora parecchie volte, nottetempo, durante la mia lunga convalescenza a casa, mi sono tornate allucinazioni che, grazie a Dio, si riferivano soltanto alla mia amatissima figlia, la quale pareva volesse continuare a vegliarmi; ma quando, aprendo gli occhi di colpo appuntavo lo sguardo verso la giusta direzione, vedevo soltanto la notte.